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Un giorno … per caso …

Creato il 08 dicembre 2014 da Fashioniamoci

un giorno per caso copertina

2 CAPITOLO

Martina giorno dopo giorno, mi raccontava sempre un pezzo della sua vita, ed io amavo ascoltarla, soffrivo per lei, ma l’ammiravo, e forse un pò  la invidiavo, perchè non riuscivo, e tutt’ora non riesco a capire, come riuscisse a sorridere.

Martina era sempre allegra, piena di grinta, aveva dentro di se un’infinta voglia di vivere, quasi anormale direi; ma come ricordo questo, non posso ancora di più dimenticare come quel sorriso, quella luce che emanava dagli occhi si spegnesse non appena iniziava i suoi racconti, e forse era proprio questo che mi faceva più male.

Non so perchè, ogni tanto, mentre eravamo chiuse nella mia stanza a spettegolare, a provare nuovi trucchi e nuove acconciature, Martina iniziava a raccontarsi; oggi penso che più che uno sfogo, volesse “regalarmi” la sua vita, ed io ero sempre li, pronta a sciogliere i miei capelli, a posare i trucchi e mettermi accanto a lei ad ascoltarla.

La mia amica, il mio grande esempio di vita è nata così, un giorno, per caso.

La madre quando ha scoperto di essere incinta di lei ha pianto per due giorni perchè non la voleva, forse perchè sapeva a cosa sarebbe andata incontro, sia lei che quest’altro figlio, come il primo.

Fortunatamente questa gravidanza fù perfetta, senza complicanze e rischi e sopratutto senza scelta sul nome, bastava quello che era successo con la scelta del primo.

Passarono i nove mesi, e anche la splendida  Martina arrivò.

Bella fin dalla nascita, tanti capelli neri corvino, pelle candida e bianca, guance rosee e labbra rosse come se già le avessero messo del rossetto.

Era bella Martina da piccola, e la madre la guardava, l’accarezzava, e chissà cosa pensava, chissà se quell’iniziale rifiuto svanì non appena la prese tra le braccia, non appena le sfiorò le guance, non appena la sua piccola manina strinse il suo dito, questo solo lei poteva dirlo, ma non credo l’abbia mai fatto.

Si dice,  almeno ho sempre sentito dire che ognuo di noi inizia ad immagazzinare i propri ricordi dall’età di sei anni, non so se questo sia vero, ma se così fosse, Martina era fuori dal comune anche in questo, perchè lei ricordava tutto, ed oggi non sò se questo sia stato un male o un bene per lei.

Forse, almeno secondo un mio pensiero ,sarebbe stato meglio che lei immagazzinasse meno ricordi, anche se non lo so, forse se non avesse ricordato tutto oggi non sarebbe la donna che è diventata, e non sarebbe più la mia amica, Martina.

Martina è sempre cresciuta con la convinzione di non essere stata voluta, e credo che questo sottile particolare l’abbia segnata fino ad oggi, perché mai nessuno le ha dato la certezza del contrario; ma poco importava, Martina era nata, era al mondo, per il mondo.

Da piccola era una bambina testarda, capricciosa, ma in fondo quale bambino non lo è.

Mi ricordo che mi raccontava che da piccola, quando aveva all’incirca cinque o sei anni ed usciva con la madre voleva sempre comprato qualcosa, e guai se cosi non fosse stato, Martina si buttava a terra e piangeva a dirotto.

Ai tempi la famiglia di Martina viveva in un’appartamento in una delle vie principali della capitale, e lì si che c’erano tanti negozi dove potersi buttare in terra a piangere e sbraitare; ai tempi c’era la Standa, e quante volte, diceva Martina, la guardia giurata del grande magazzino cercava di raccoglierla e tirala su.

Questi episodi accadevano solo quando la piccola Martina era in compagnia della madre, sempre paziente e controllata; una volta forse perché ignorava, forse perché ancora non sapeva, forse perché non capiva, fece la stessa cosa in compagnia del padre, e forse proprio dal quel momento lei iniziò a capire ed i suoi primi ricordi le iniziarono ad affiorare nella mente.

Ricordi di un padre poco paziente, di un padre poco ragionevole, di un padre che mancava di sorrisi e parole, di comprensione e dialogo.

All’improvviso Martina si alza da quel letto e riprendeva ,come se nulla fosse, come se nulla avesse mai raccontato, a pettinarsi, truccarsi e scherzare, ed allora io stavo al suo gioco, senza fare domande, senza cercare risposte.

Uscivamo spesso io e Martina, eravamo quasi sempre insieme, e non sempre si finiva a parlare del passato, non sempre le nostre giornate finivano in racconti, ma io non so per quale strano motivo, aspettavo sempre che lei iniziasse a raccontare qualcosa, anche un piccolo particolare, forse per capirla, per comprenderla, per far totalmente parte della sua vita.

Dopo settimane di silenzio, mentre eravamo sedute in una panchina dei giardinetti, incantate a guardare le luci di Natale che addobbavano ed illuminavano tutto il nostro quartiere, tra una risata e l’altra, improvvisamente calò un silenzio, ed io capì che avrebbe ripreso a raccontarsi, ed infatti, fu proprio così.

Martina amava il Natale, lo trovava magico, amava i giochi di colori che riflettevano dalle finestre delle case, amava lo scampanellio dei finti Babbo Natale fermi negli angoli delle strade ad aspettare i più piccini per scattarsi una foto, e qui, tra musiche e luci, che forse per la prima volta, e forse per l’unica volta, raccontò qualcosa che la faceva sorridere, che le dava gioia.

Puntualmente, non un giorno prima, non un giorno dopo, l’otto dicembre, il padre di Martina tirava fuori dalla soffitta albero, luci, palline, e ogni tipo di addobbo per decorare la casa per le feste di Natale.

Era proprio in questo momento, in questa situazione, in questa ricorrenza, che la voce del padre chiamava dolcemente il nome della figlia per aiutarlo.

Aprivano insieme ramo per ramo, srotolavano minuziosamente e delicatamente tutte le piccole lucine, separavano per colore ogni sfera, ed insieme iniziavano ad addobbare l’albero.

Prima le luci, e dopo averle posizionate tutte, spegnevano tutto ed accedevano l’albero per assicurarsi che ogni piccola luce fosse messa al posto giusto, e allora via con le sfere, dalla più grande alla più piccola, e via con le ultime decorazioni, fili dorati e argentati.

Sistemavano tutto insieme, e poi, luci spente e albero acceso, un albero perfetto, un albero dove ogni minima lucina rifletteva tutta la felicità che la piccola Martina aveva vissuto in quel giorno, in quell’otto dicembre.

E’ stato proprio con questo racconto che io capì che la mia amica non chiedeva e non desiderava nulla di impossibile, nulla che ogni bambina non abbia avuto e vissuto, solo una voce, quella di un padre che la chiama dolcemente.

Dopo questo racconto non proseguì, si fermò, forse perché per quella serata, per quel pomeriggio, voleva rimanere nell’illusione che ogni giorno fosse l’otto dicembre, ed io come sempre stetti al suo gioco, e in quel giorno anch’io decisi di rimanere nell’illusione che per Martina ogni giorno fosse quel felice otto dicembre.



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