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Un inatteso best seller

Creato il 06 dicembre 2010 da Danielevecchiotti @danivecchiotti

Ho appena finito di leggere “La mia lotta (1)”, il romanzo del norvegese Karl Ove Knausgård, primo dei sei volumi che compongo l’autobiografia narrativa dell’autore, su un modello proustiano di racconto della vita per come essa si presenta, con tutti i piccoli ingredienti che la compongono e le mastodontiche domande senza risposta che la attraversano.
Il libro, caso letterario in patria e in una consistente fetta di Europa, è di recente arrivato anche in Italia pubblicato da Ponte alle Grazie, probabilmente – immagino io - sull’onda dell’interesse modaiolo che ancora l’editoria di casa nostra dimostra per la scrittura scandinava in conseguenza dell’enorme successo di Stieg Larsson.

Leggendo le quasi 500 pagine di questo torrenziale flusso di coscienza fatto di dettagli e descrizioni minuziose di gesti banali mischiate a pause gnomiche sul senso dell’esistenza e a ricordi di vita vissuta in tutti i suoi aspetti più grotteschi e tragicomici, a uno scrittore come me, che da anni la sua lotta la combatte contro i pregiudizi dei publishers - che sempre meno dimostrano voglia di sperimentare e investire sugli autori preferendo monetizzare immediatamente i risultati investendo su nomi e titoli che possano vendere facile - viene spontaneo chiedersi quale sarebbe stata la reazione di un direttore editoriale di casa nostra davanti a un mastodontico manoscritto di oltre tremila cartelle costruite sui minuziosi resoconti a proposito di ambienti, vestiti e gesti minimi se a presentarlo fosse stato non un venditore di diritti nordico forte di incoraggiantissimi dati di fatturato, ma uno scrittore contrattualmente debole come il sottoscritto.

Tutto, nella scrittura di Knausgård è incentrato su una maniacale attenzione al sé dell’autore, e proprio come nella Recherche (sebbene ci siano anni luce di distanza tra la qualità dei due testi), la cosiddetta autofiction ci porta nel cuore della vita del narratore, ci fa entrare nella sua testa, concedendo assai poco a quel ritmo e quella sveltezza tanto cari ai procacciatori di best sellers.

Eppure, a quanto pare, nonostante il suo fregarsene delle esigenze del mercato e dei gusti di un ipotetico lettore medio, a vendere oltre duecentomila copie Knausgård ci è riuscito lo stesso. E questo dovrebbe fornire un interessante spunto di riflessione a tutti i direttori di collana al costantemente inseguimento di manoscritti il più standardizzati possibile, e quindi a rischio zero.

Lo ribadisco: “La mia lotta (1)” non è certo “La strada di Swann”, e pur avendo una scrittura interessante Knausgård non può certo essere affiancato a Proust con tanta leggerezza e superficialità.
Ciononostante io credo che il libro vada letto, e senza dimenticare che si tratta di un testo baciato da un inaspettato successo di pubblico. Potrebbe essere utile a ricordarsi – da scrittori, da responsabili editoriali di case editrici o anche da semplici consumatori – che le leggi di mercato sono meno banalizzabili di quanto si possa credere e che spesso anche il pubblico inteso come massa può essere un soggetto imprevedibile e spiazzante.


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