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UN ORSO ‘AMMARE, storia di un’isola di confine

Creato il 15 marzo 2016 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

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FUOCOAMMARE – OVAZIONE A BERLINO

Si sta molto parlando in questi giorni del prestigioso premio riconosciuto a Berlino al film di Gianfranco Rosi “Fuocoammare”.
In programmazione nelle sale italiane da un paio di settimane, il film ha riscontrato un discreto favore, probabilmente veicolato anche dalla notizia del premio ricevuto a pochi giorno dall’uscita.
Unico film in concorso, infatti, Fuocoammare si è aggiudicato l’Orso d’oro come miglior film, ricevendo pubblici plausi non solo di Meryl Streep (presidente della Giuria, che si è dichiarata intenzionata a promuovere il documentario di Rosi anche in terra americana) ma addirittura del Presidente Mattarella.
In attesa di sbarcare ad Hollywood (e magari agli Oscar), appare utile ripercorrere la storia di questo docu – film che, certamente, tratta di un tema molto attuale e dai risvolti politici e sociali spinosi.

ROSI: IL DOCUMENTARISTA NEOREALISTA

Il tema di Fuocoammare non è la descrizione della situazione dei migranti in sé, ma l’analisi del rapporto esistente tra la popolazione dell’isola di Lampedusa e gli sbarchi dei c.d. “barconi della morte”
Ciò è tanto vero che l’attenzione del regista si sposta continuamente, come in una danza muta, dalle operazioni di recupero dei migranti e la vita quotidiana di alcuni abitanti dell’isola.
L’incontro tra la popolazione e i migranti è rappresentato dalla figura del medico del luogo, il Dott. Pietro Bartolo che, senza alcun dubbio, è la figura centrale del film.
Ma andiamo con ordine.
Un pò come già avvenuto per la realizzazione di Sacro G.R.A., Rosi ha girato un documentario dettagliato della realtà dei flussi migratori verso le coste italiane, accostando il girato, però, ad un vero e proprio film neorealista.
La popolazione di Lampedusa, infatti, è interpretata da alcuni cittadini del posto, ivi compreso il Dott. Bartolo, il quale nel corso del film rende una testimonianza durissima sul proprio ruolo e sull’incidenza personale che i compiti cui ogni giorno è chiamato hanno sulla sua vita.
Dice, il Dottore, dell’orrore dei morti, ustionati dal carburante che in viaggio sono costretti a riboccare. Morti – uomini. Morti – donne, anche incinta. Morti – bambini.
Dice dell’orrore del dover prelevare “un campione” da quei corpi; dell’ulteriore oltraggio che deve infliggere loro. “Ma è utile e quindi lo faccio”.
Il film varrebbe solo per ascoltare la testimonianza di questo medico, che quotidianamente passa da questo orrore alla cura dei piccoli disturbi (immaginari) di un bambino dell’isola, Samuele.
Samuele è altro cardine del film.
Proprio la prima scena lo sorprende mentre si arrampica su un albero alla ricerca di un ramo adatto per costruirsi una fionda.
E’ un bambino che si diverte con niente, Samuele; un bambino degli anni’50 come mio padre.
Da grande forse farà il pescatore come il suo, di padre, anche se lui gli dice che quella vita – solo cielo e mare – è dura.

L’UMANITA’ DEL QUOTIDIANO

Rosi ha dichiarato di essersi fermato a Lampedusa per un anno intero perché “solo così, tra l’altro, avrei potuto comprendere meglio il sentimento dei lampedusani che da vent’anni assistono al ripetersi di questa tragedia”.
Il film restituisce proprio questo sentimento: nel corso dell’intero racconto i lampedusani non incontrano mai i migranti direttamente; la consapevolezza della loro presenza è restituita solo indirettamente, senza alcuna retorica narrativa.
Piccole scene di vita quotidiana, senza alcun accento pietistico: la commozione di una nonna che apprende l’ennesima tragedia dalla radio locale oppure l’ecografia che il Dott. Bartolo ci permette di spiare mentre cerca di comunicare (al di là di ogni limite linguistico) ad una futura mamma appena sbarcata, il sesso dei suoi due gemellini.
E’ un paese di pescatori, Lampedusa. Gente semplice, priva di sovrastrutture culturali, capace di accogliere tutto quello che il mare gli porta. La vita scorre lenta e ordinata, seguendo il ciclo delle stagioni, in completa armonia con la natura ed il mare.

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IL MARE E’ VITA

Il mare è certamente un altro protagonista e un altro elemento di unione fra i due filoni narrativi.
Vi si può leggere un simbolo dai diversi significati.
Se una sintesi è possibile, certamente il mare simboleggia la speranza che accomuna gli isolani e i migranti che, per ragioni diverse, legano al mare la propria stessa esistenza.
Ed infatti, il mare è elemento centrale della quotidianità dell’isola; si ritrova nei racconti della nonna di Samuele, che ancora si ricorda di quando c’erano le navi militari e sembrava che ci fosse il “fuoco a mare”; nelle escursioni del pescatore subacqueo che studia le onde prima di tuffarsi dagli scogli per la raccolta dei ricci; nei vapori della cucina di Zia Maria, che ascolta la radio del posto e spera che il tempo migliori, così che suo figlio possa tornare a pescare.

OLOCAUSTO DI MARE

I migranti, intanto, continuano ad arrivare; le barche sono intercettate per lo più in mare aperto, cercate e recuperate a seguito di strazianti richieste di aiuto inviate via radio in un inglese stentato.
Rosi riprende numerosi sbarchi, le procedure di riconoscimento e accoglienza, il trasporto nei Centri, i sacchi neri con i corpi di chi non ce la fa.
Il lavoro instancabile di medici, forze dell’ordine e militari, ogni giorno in perenne emergenza grida silenzioso, dietro le mascherine, l’assenza del resto del mondo.
Di fronte alla enormità di questo orrore, non si può non sentirsi a disagio.
Eppure, mai una volta nel corso dell’intero film Rosi inserisce commenti o giudizi morali o politici, lasciando all’oggettività delle immagini e allo spettatore questo compito.
Ma ciò che più colpisce, sono i volti, i primi piani di queste persone senza nome e senza passato che fissano l’obiettivo. Minuti e minuti di immagini pressoché mute e, dunque, ancora più crude, che riecheggiano le atrocità dell’Olocausto e inchiodano l’Europa tutta a responsabilità non ulteriormente giustificabili.

IL REGISTA GIANFRANCO ROSI

E’ un documentarista e regista italiano. Classe 1964, nasce ad Asmara (Eritrea). Nel 1985 si traferisce a New York dove studia presso la New York University Film School. Gira Bootman, il suo primo mediometraggio, nel 1993.
Nel 2001 presenta alla Mostra del Cinema di Venezia Afterwords e nel 2008, Below Sea Level che si aggiudica i premi Orizzonti e Doc/It. Il film vince anche il premio come miglior documentario al Bellaria Film Festival, i Grand Prix e il Prix des Jeunes al Cinéma du Réel del 2009, il premio per il miglior film al One World Film Festival di Praga, il Premio Vittorio De Seta al Bif&st 2009 per il miglior documentario ed è nominato come miglior documentario all’European Film Awards 2009. Nel 2010 realizza il film-intervista El Sicario – Room 164, che narra la storia di un sicario messicano.
Nel 2013 raggiunge il successo vero e proprio con il documentario Sacro GRA, vincendo il Leone d’oro al miglior film alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Fuocoammare è uscito nelle sale il 18 febbraio 2016; mentre ancora era in fase di montaggio, il 20 febbraio 2016, si è aggiudicato – unico film italiano in concorso – il premio miglior film al Festival di Berlino, vincendo l’Orso d’oro.
Rosi il sesto italiano ad aggiudicarsi questo premio prestigioso.
Prima di lui, il premio è andato, nel 2012, ai fratelli Taviani con Cesare non deve morire; nel 1991 a Marco Ferreri con La casa del sorriso; nel 1972 a Pierpaolo Pasolini con I racconti di Canterbury; nel 1971 a Vittorio De Sica con Il giardino dei Finzi Contini; nel 1963 a Gianluigi Polidoro, con Il diavolo.

di Annalisa De Stefano



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