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Un popolo incolto merita le leghe

Creato il 13 settembre 2011 da Cultura Salentina

 

Il bisogno di creare un’identità culturale rappresenta oggi una delle urgenze più impellenti della società italiana. Si nota infatti che, usando le parole del filosofo statunitense Harry Frankfurt (1929), «uno dei tratti salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione. Tutti lo sanno. Ciascuno di noi dà il proprio contributo» (Stronzate, Milano 2005). 

In effetti tutti gli strumenti deputati a veicolare la cultura, intendendo quest’ultima come il complesso delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche, delle manifestazioni spirituali e religiose che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico, tendono a sfruttare la loro comunicatività al fine di strumentalizzarla. Di fatto la cultura generale che oggi ci caratterizza non è, secondo la visione umanistica, «l’insieme delle cognizioni intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza, rielaborandole peraltro con un personale e profondo ripensamento così da convertire le nozioni da semplice erudizione in elemento costitutivo della sua personalità morale, della sua spiritualità e del suo gusto estetico, e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo» (Dizionario della Lingua Italiana Treccani, III Ediz., Roma 2011) bensì una cultura i cui elementi si riducono all’inconsistenza e alla vacuità. Tale condizione non è dettata da un disinteresse generale della società nei confronti della cultura bensì è il risultato del dosaggio e del filtraggio delle informazioni che un individuo riceve. Difatti la cultura è uno strumento pericolosissimo perché è su di essa che si costituiscono, nel bene e nel male, le basi per un cambiamento sociale e pertanto chi accentra in poche mani il potere della cultura controlla la società.

Enfatizzando e travisando il concetto di cultura e di appartenenza ad essa, oggi si assiste in Italia al proliferare delle leghe territoriali ossia gruppi di individui appartenenti a specifiche aree geografiche che vantano qualità tali da renderli differenti dal resto della penisola. Alimentando politicamente e dirigendo argutamente questa convinzione si è creato un movimento d’opinione che oggi lede all’Unità d’Italia poiché lo scissionismo che tali movimenti sottintendono e mascherano nel termine di “federalismo” portano drammaticamente alla fine dell’idea di una identità nazionale. La risposta a questi movimenti, sia da Nord che da Sud, non è quella di creare una lega antilega bensì colmare il vuoto culturale, ovvero l’integrazione delle diverse culture generate da differenti situazioni storico-politiche dei nostri stati preunitari, che l’Unità d’Italia a 150 anni dalla sua realizzazione non ha ancora compiuto.

La cultura italica, difatti, non è mai esistita come elemento accomunante da Nord a Sud i popoli italiani perché la nostra Nazione, come il Salento e come la Padania, è stata da sempre una commistione di genti che hanno portato le loro culture arricchendone la precedente. Il risultato è stato proprio questo variopinto mondo culturale che oggi alcuni vantano come elemento di distinzione ma che di fatto connota l’essenza vera della cultura italiana quale sommatoria di così tante microculture. Se non ci fosse una cultura salentina, la cultura italiana sarebbe monca come allo stesso modo lo sarebbe se mancasse l’apporto culturale del nord e del centro Italia. Non deve esistere, dunque, un “federalismo” che sia anche culturale perché la cultura unisce e non divide i popoli e perché come affermò il filosofo tedesco Hans Georg Gadamer (1900-2002) «la cultura è l’unico bene dell’umanità che, diviso fra tutti, anziché diminuire diventa più grande».

 Il successo delle leghe è dovuto proprio alla mancanza del senso di appartenenza sul piano nazionale a un contesto storico-sociale condiviso, ovvero a una cultura condivisa, e pertanto il loro potere è incentrato sullo sforzo di creare un’identità nella quale riconoscersi perché come afferma il sociologo polacco Zygmunt Bauman (1925), «l’idea d’identità è nata dalla crisi di appartenenza e dallo sforzo che essa ha innescato per colmare il divario tra ciò che dovrebbe essere e ciò che è, ed elevare la realtà ai parametri fissati dall’idea, per rifare la realtà a somiglianza dell’idea» (Intervista sull’identità, Bari 2003).

Nel momento in cui diventeremo consci che l’unica arma per diventare italiani è la cultura solo allora saremo in grado di essere una civiltà e prenderemo atto che attraverso la cultura stessa, come afferma lo scrittore e politico inglese Henry Brougham (1778-1868), un popolo diverrà «facile da guidare ma difficile da trascinare; facile da governare ma impossibile a ridursi in schiavitù».

 


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