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Un salotto popolare a Roma: Monteverde

Creato il 06 ottobre 2014 da Tiziana Zita @Cletterarie

IMG_4886Il quartiere di Monteverde, a Roma, sembra un paesino. Ci sono gli alberi, si può andare a piedi dappertutto e l’aria è buona perché è in cima a una collina. Nina Quarenghi c’è arrivata dodici anni fa, quando si è sposata con un romano, se n’è innamorata e ora ci ha scritto un libro. Nina Quarenghi è un’insegnante che al suo paese, Castiglione delle Stiviere, faceva già ricerca di storia. Si è laureata con una tesi sulla battaglia di Solferino, Henri Dunant e la nascita della Croce Rossa. Ecco la sua intervista.

Com’è stato scrivere questo libro? 

E’ stata molto bella la fase della ricerca alla Indiana Jones, poi c’è stata la scrittura che è bellissima e faticosa. Diventa quasi un’ossessione della frase, della parola. Vai a letto la sera che non sei contento e la mattina ti è venuta. Tutto questo inframmezzato dalla scuola in cui insegno e dai miei bambini. Infine mi piace moltissimo anche la condivisione: stare qui a parlare con te, con Monteverdelegge, a scuola con i ragazzi, con gli amici che ho ammorbato nel corso della ricerca, insomma mi piace molto parlarne e sentire cosa ne pensano gli altri. Tutte e tre queste fasi mi piacciono e ho già qualche idea per un’altra storia. Nel frattempo ho frequentato anche una scuola di scrittura perché ho in testa una cosa che sia un po’ storia ma anche un po’ romanzo. Mi piacerebbe scrivere qualcosa a metà fra storia e narrativa, tipo Pennacchi.

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Spulciando negli archivi delle scuole di Monteverde che cosa hai trovato? Com’erano i ragazzi allora? Da insegnante che differenze hai notato?
La cosa che ho trovato e che è universale è il rapporto tra l’insegnante e i ragazzi, cioè il modo di guardarli, il modo di lasciarsi coinvolgere da loro, il modo in cui si fa lezione. Alcune voci erano molto belle e molto poetiche. Ad esempio un maestro che parla dei ragazzini distratti, quelli che ti fanno arrabbiare, quelli che sembra che non ti ascoltino perché fanno tanta confusione, poi tu li interroghi ed è come se ti avessero guardato fisso negli occhi mentre spiegavi.
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Siamo cresciuti con l’idea che le scuole dei nostri nonni erano assolutamente rigide, severe, ma ad esempio io ho trovato dei documenti del 1934 dove la direttrice dice che è severamente vietato bacchettare i ragazzi e bisogna istruirli usando dei sistemi più umani. C’era molta severità ma anche molta umanità.

Come nasce Monteverde?
Fino ai primi del Novecento non c’era niente. C’erano le mura della città, ma era tutto chiuso. L’unico varco era a Porta San Pancrazio e fuori, dove ci troviamo ora, c’erano solo campagne, vigne, casali, casaletti, tenute e poi Villa Sciarra, Villa Pamphili e tutte quelle mega ville seicentesche, Villa Spada, Villa Corsini. Solo campagna e una villa qua e là.

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Villa Doria Pamphili

Poi con il sindaco Ernesto Nathan, nel 1909 è entrato in vigore il piano regolatore per cui tutto intorno alle mura hanno cominciato a costruire.
In quel periodo in Francia sono stati chiusi tanti ordini religiosi perché la Francia laica aveva messo un po’ i bastoni tra le ruote alla Chiesa. Aveva requisito i beni della Chiesa e quindi tanti ordini religiosi francesi dovettero andarsene e vennero a Roma, sotto la protezione del Papa. Allora delle suore francesi che avevano come missione la scuola sono venute a Roma e sono andate dal Papa Pio X a chiedergli: “Dove possiamo andare a costruire una casa?”
Il Papa ha detto alla superiora: “Vada a Monteverde”.
Lei ha preso la carrozza ed è andata a Monteverde, ma è tornata dal Papa dicendo: “Lì ci sono solo pecore”. Il Papa ha insistito: “Vada a Monteverde e con voi verranno i bambini”. Infatti dopo qualche anno i bambini sono arrivati. Loro hanno pensato a una profezia ma probabilmente il Papa aveva visto il piano regolatore.

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Quanto ci corre tra Monteverde Vecchio e Monteverde Nuovo?
Solo dieci anni. Il primo nucleo di Monteverde Nuovo, quando ancora non c’era la Circonvallazione Gianicolense (quella dove passa il tram numero 8 e c’è l’Ospedale San Camillo), è stato intorno a via di Monteverde nel 1921.

Poi c’è Donna Olimpia che è una storia a parte
Ero attratta dai palazzi di Donna Olimpia. Mi interessava la storia di quando li hanno prelevati tutti da via della Conciliazione e li hanno portati lì.
Anche a Monteverde Vecchio c’era una manica di poveracci ma c’erano più strati sociali, invece a via di Donna Olimpia li avevano presi dal centro di Roma, dove vivevano nelle baracche e li hanno messi in palazzi di nove piani senza ascensore. Al quarto, quinto piano c’era una panchetta per riposarsi.
Negli anni Trenta ne sono arrivati altri, quando hanno costruito via della Conciliazione. C’è stata una vera e propria deportazione. A Monteverde Vecchio invece non c’è stato un trasferimento coatto. Anche per i più poveri è stata una scelta. C’era una mescolanza di classi che ha permesso di creare una identità nuova.

Maurits Cornelis Escher

Maurits Cornelis Escher

A Donna Olimpia c’è stata la costrizione del regime che ha caricato sul camion le persone con le poche cose che avevano dicendo: “Il Fascio fa le case nuove per gli italiani” con tutta una cerimonia ufficiale e il prete che benediva le case e le chiavi. Si sono ritrovati in mezzo alla campagna perché intorno non c’era niente. Donna Olimpia era isolata. Dei grattacieli di nove piani in mezzo al niente. Non avevano negozi, c’era solo un mercatino che non bastava al fabbisogno. Hanno preso 5000 persone e le hanno sbattute là, mentre a Monteverde ce n’erano 6000, ma erano più sparse perché le palazzine erano di due piani. Là erano tutti concentrati e se un bambino si faceva male bisognava arrampicarsi fino al San Camillo. Non c’erano strade ed era tutta salita.
Nei registri di classe di Donna Olimpia le maestre andavano fuori di testa e scrivevano: questi saltano sui banchi, fanno rutti, dicono parolacce. Erano tutti poveri e c’erano storie da libro Cuore. Poi, come succede nelle scuole di frontiera, dall’inferno passi al paradiso: tu diventi un punto di riferimento e ti s’incollano. Quindi alla fine era ancora più emozionante per queste maestre che non riuscivano a staccarsi alla fine dell’anno.

Perché un salotto?
Perché qua la sera le signore prendevano la sedia e si mettevano di fuori a parlare come nei paesi.

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Quali scrittori o artisti ospitava questo salotto?
Le persone famose e mondane allora stavano ai Parioli. Testaccio e Trastevere erano zone truculente, mentre Monteverde non c’è quasi mai nei giornali perché era abbastanza defilato.
C’è stato Escher che ha vissuto per dieci anni, dal 1925 al ’35, in una casa con la torretta in via Poerio, dove si è anche disegnato le piastrelle del pavimento. Ma i personaggi della cultura sono arrivati dopo la guerra: Gianni Rodari, Pasolini, Attilio Bertolucci, Miriam Mafai.
Pasolini si era innamorato di Donna Olimpia e dell’anima popolare. Lui ha vissuto prima in via Fonteiana, che incrocia via di Donna Olimpia, e poi a via Carini, a Monteverde Vecchio. Ci sono ancora le lapidi fuori dai portoni. A via Carini 45, nel suo stesso palazzo, abitava anche il poeta Attilio Bertolucci, con i figli Giuseppe e Bernardo. Pasolini rimarcava molto da differenza tra Donna Olimpia e Monteverde. Ho conosciuto anche uno dei ragazzi di vita, che chiamano “Il pittore”, che giocava a pallone con Pasolini. Ora ha una botteguccia in via Ozanam, tappezzata con ritagli di giornale che parlano di Pasolini. Sta lì che dipinge. “Il pittore” si gloria di essere uno degli ultimi ragazzi di vita e se ci vai ti racconta di Pasolini. Lui mi ha raccontato anche del prete che nascondeva gli ebrei nella parrocchia di Donna Olimpia.

Oltre a Nanni Moretti, quali celebrità ci vivono ora, quali scrittori?
Più che altro c’è gente del mondo dello spettacolo, di cinema e tv. Ci sono la Cortellesi e la Dandini, poi c’è Carlo Verdone, Piovani, Pino Insegno.

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Il libro di Nina Quarenghi Un salotto popolare a Roma. Monteverde è un distillato di storie. Si è imbattuta in tanti episodi che non sempre ha potuto raccontare.
La storia di due innamorati che si sono conosciuti perché lui, romano, andava a lezione di inglese da lei, straniera, che viveva in un villino di via Poerio con la madre, nel 1924.
La storia di un incidente, il tram che saliva al Gianicolo si è scontrato con quello che scendeva (c’erano le rotaie difettose) e ci sono stati un sacco di feriti.
Il gerarca fascista che, nelle case per gli impiegati dello stato, ha fatto fare un sistema di tubature apposta per farsi arrivare l’acqua sul terrazzo e innaffiare le piante: l’hanno scoperto i condomini 80 anni dopo.
La storia di un omicidio truculento in viale Aurelio Saffi, con il cadavere nascosto nella valigia.
La moglie di un partigiano che, sapendo di essere in pericolo, ha lasciato la bambina di pochi mesi ai vicini e si è nascosta per due giorni in un baule in un’altra casa.
Una bambina che durante la guerra dava la metà del suo latte, già razionato, al gatto e stava attenta che nessuno lo mangiasse: il gatto.
Perché la Storia ha mille volti e c’è sempre un altro libro.


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