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Un senso in più

Creato il 11 febbraio 2016 da Media Inaf

«Voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha». La “storia” che aveva in mente Vasco riguardava verosimilmente tutt’altro, ma anche la “storia” presentata oggi in conferenza stampa mondiale dalle ricercatrici e dai ricercatori della collaborazione LIGO-Virgo è una storia che un senso – letteralmente – non ce l’ha. O meglio, non ce l’aveva fino alle 10:50:45 ora italiana di lunedì 14 settembre del 2015.

È la storia di una “coalescenza”, come la chiamano i fisici. O merging. È la storia dell’unione fra due oggetti che più estremi non si potrebbe: due buchi neri con masse equivalenti a 29 e 36 masse solari. Unione pacata, armoniosa, civile? O violenta, selvaggia, catastrofica come la personalità dei protagonisti potrebbe suggerire? Fino al 14 settembre scorso non avevamo gli strumenti per dirlo. O meglio: non avevamo il senso giusto e indispensabile per cogliere questa pazzesca storia. Potevamo solo immaginarla. Ed è da un secolo che la immaginiamo, che la fantastichiamo, che ne cogliamo qua e là tracce indirette. È da quando quel geniaccio inarrivabile di Albert Einstein ci ha spoilerato il finale che l’abbiamo indagata e ricostruita al punto, quella storia, che ci sembrava quasi d’averla già sentita.

E invece no. Sentirla raccontare per davvero, dalla voce della Natura, com’è accaduto oggi, anche se la trama pare rispettare in ogni dettaglio quello che già avevamo immaginato, è un’emozione che non ha pari. È l’emozione che ci ha travolti non tanto quando David Reitze, fisico di LIGO, ha esclamato l’attesissimo – ma non certo sorprendente – “We have detected gravitational waves. We did it!”. Con l’inflazione d’indiscrezioni degli ultimi mesi, la sorpresa sarebbe stata se avesse annunciato di non averle rilevate, le onde gravitazionali. No, l’emozione impagabile, quella che lascia muti, è stata vedere l’immagine qui sotto:

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L’onda azzurra e l’onda arancione. Captate a migliaia di chilometri di distanza l’una dall’altra. Così lontane, eppure così perfettamente sovrapponibili. La stessa onda, dunque. Una firma inequivocabile. E per quanto ai limiti dell’immaginazione, se non oltre, uno solo fenomeno nell’universo conosciuto poteva lasciare quella firma sull’albo dei visitatori, intessuto di fasci di luce laser, dei due rivelatori di LIGO: la fusione, appunto, di due buchi neri. Più precisamente, quelle 3 masse solari che mancano all’appello: il buco nero finale, frutto della somma dei due, misura infatti 62 masse solari. Il resto dell’energia se n’è andata a sconvolgere la trama dello spazio-tempo.

E ora? Ora abbiamo una nuova finestra sul cosmo, è la metafora più usata per descrivere cosa è cambiato con l’annuncio di oggi. Ed è vero. E forse è persino poco. Quello che da oggi sappiamo di possedere è un senso in più. Come se di colpo, oltre a tatto, gusto, olfatto, udito e vista (per limitarci ai canonici cinque), ci fossimo svegliati con un sesto senso radicalmente nuovo, mai sperimentato prima. Anzi, il passo avanti è ancora più rivoluzionario. Fino a questa mattina la nostra conoscenza dell’universo era infatti limitata a due “sensi” soltanto, se così vogliamo chiamarli. Quello per i fotoni, la vista – dunque il 99.9 percento dei telescopi, a terra e nello spazio, da quelli radio a quelli per raggi gamma, passando per i nostri stessi occhi e per il cannocchiale di Galileo. E, recentissimo e ancora in fasce, quello per i neutrini. Da oggi pomeriggio, per la prima volta nella storia dell’umanità, sappiamo invece di avere anche l’udito. Il senso che ci mancava per raccontare quella storia, e innumerevoli altre che nemmeno immaginiamo, che un senso non l’aveva.

Da domani ci attende un lavoro intenso ed entusiasmante: imparare ad affinarli e a usarli tutti insieme, questi sensi. Vedere e sentire l’universo che ci circonda, cogliendone tutta la profondità, come non avevamo potuto fare mai.

Per saperne di più:

Per chi si stesse domandando “e l’onda gravitazionale come fa?”, qui l’inconfondibile “verso dei buchi neri”: 

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina


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