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Un vecchio bardo (non balordo).

Creato il 29 maggio 2011 da Enricobo2
Il fatto è che mi piace raccontare storie. Ho sempre avuto voglia di farlo. Forse in una mia vita precedente, passavo di corte in corte, accompagnandomi con il liuto e cantando vicende di dame innamorate e di cavalieri valorosi, mentre madonne dai lunghi colli leggermente reclinati mi guardavano con occhio acquoso, sospirando in attesa di finali a sorpresa. Forse l'innesco me lo ha dato la mia bambina quando era piccola. Vederla, mentre si appassionava a sentirmi dipingere luoghi lontani, intrecci coloriti, scenografie fantasiose di storie esotiche, mi dava una soddisfazione difficile da spiegare. Quando a poco a poco si dipanavano i personaggi del Ramayana in un racconto barocco che mi piaceva arricchire di sempre nuove vicende collaterali o mentre descrivevo gli spazi sconfinati attraversati da Ulisse che voleva scoprire il mondo, godevo di quei piccoli occhi spalancati che, non appena prendevo fiato, mi incitavano a proseguire, a dare nuovo spazio alle vicende. Voleva sempre nuove notizie sull'occhio di Polifemo o di come si potesse sfuggire a Scilla e non finire nelle fauci di Cariddi o come Hanuman il re delle scimmie arringava al suo esercito o maggiori particolari sulla reggia di Ravana a Ceylon, l'isola incantata.
Solo venti anni dopo mi confessò di essere stata terrorizzata dalle storie del demone Ravana che rapiva la piccola principessa Shita e della paura che la prendeva ogni volta in cui doveva passare davanti alla stampa thailandese che lo raffigurava, nel piccolo corridoio per tornare alla sua stanza, blu e terribile con le mani adunche di carpitore di fanciulle, che occhieggiava muto sul muro, mentre lei correva disperatamente al di là della porta, a nascondersi sotto le coperte per non farsi acchiappare dal mariuolo. Da lì è nato il tarlo e la bramosia di raccontare a tutti, quasi  una droga affabulatoria a cui non so resistere, perchè è certo una gran soddisfazione accalappiare l'attenzione di una platea. Così sono rimasto ad invidiare gli scrittori, di cui leggo le prose chiare e fluenti che ti prendono e ti impongono da sole la voglia di andare avanti per sapere come va a finire o anche soltanto perché è così piacevole lasciarsi andare al fluire delle parole ben scritte, alle storie correttamente strutturate. Invece quando ci provo io, ecco che, forse per la voglia di essere convincente o per l'ansia di non lasciare scappare il pubblico, i fatti e le parole mi si affastellano tutte assieme di colpo, creando uno spazio denso di confusione.
Le frasi si annodano, il periodare si complica in subordinate sempre più confuse e quando rileggo, ho sempre la sensazione che capo e coda si confondano come se il filo chiaro della storia, nella fretta si sia ingarbugliato come quando cerco di mettere ordine nella massa di caricatori di batterie ammucchiati nella borsa fotografica e che, a furia di rimestarvi, hanno formato un unico nodo indistricabile e confuso. Un pastiche di sintassi approssimativa e di errori ortografici che per fortuna voci amiche correggono. Lo capisco, è la differenza tra uno scrittore e un imbrattacarte, però in fondo che importa, finché mi rimane questa bramosia, continuerò a raccontare storie, a delineare i tanti personaggi che ho incontrato, che mi hanno appassionato e che, in fondo, sono stati il sale della mia vita. E' bello continuare a farlo anche se gli occhioni spalancati della mia bambina adesso hanno altri interessi; mi basta che una sola persona legga quello che mi è saltato fuori e mi sarà sufficiente. E forse non è necessario neppure quell'unico spettatore, in fondo il guitto recita soprattutto per sé stesso. E dopo questa poderosa captatio benevolentiae domenicale andatevi a cercare un altro blogger all'altezza se ne siete capaci!
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