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Una bambola per Caterina Bellandi

Da Monnalisa @monnalisaesse
Una bambola per Caterina Bellandi
Una bambola per Caterina Bellandi
Grazie a Sonia Pesci in occasione di NICCOLAND ,una Bambolina per la zia Caterina Bellandi ,mister sorriso ,chi non la conosce ,con il suo taxi???
Caterina, la fatina bionda
tassista per amore
Alla guida di un taxi dopo aver fatto una promessa al suo compagno, è diventata l'amica speciale dei bambini, soprattutto dei più sfortunati che devono recarsi all'ospedale Meyer per curarsi
di Luciano Donzella (IL TIrreno)
....La storia è di quelle che si raccontano da sole. Estate 2001, Caterina Bellandi lavora in una grande azienda pratese, un'impiegata come tante con una vita normale, come tante. Non sa che il destino le sta per portare via Stefano, l'uomo della sua vita. Stefano è un taxista, e la sua lotta contro il tumore che lo devasta si chiude con una richiesta che è anche un dono: «Da domani sarai tu - le dice - Milano 25, il mio taxi». Domani arriva subito, e fa rima con dolore. Ma anche con la voglia di non arrendersi, di ripartire da quel gesto d'amore trovato a due passi dalla morte. Caterina diventa tassista e per diversi mesi taglia Firenze in lungo e in largo. Serviranno ancora gli occhi di una bambina salita sul suo taxi, triste per aver perso il fratellino, a trasformarla in una fata, in un personaggio di fantasia. Per qualcuno in una santa. Milano 25 diventa un cartone animato, fra colori, pupazzi, fiori e giocattoli, e lei è Zia Caterina, col suo grande cappello fiorito, le vesti variopinte, ninnoli e bracciali che pendono dappertutto: la sorridente amica di tutti i bambini. Soprattutto di quelli malati, quelli che devono andare a curarsi in ospedale, al Meyer. Per loro e per i loro genitori le corse sono gratuite, sempre. E la cosa non finisce lì: Zia Caterina resta accanto a loro, li va a trovare, allieta i suoi piccoli amici, ne condivide i momenti brutti. E a volte purtroppo gli ultimi. Con loro vive fantastiche avventure. Già, perché a Zia Caterina i bimbi raccontano i loro sogni, e lei fa di tutto per renderli reali. Così col suo taxi tocca Eurodisney, o Londra, o l'Albania, o la Sicilia per riportare a casa un bambino o soddisfare il desiderio di un altro. Un giorno poi viaggia fino a Mosca, seimila chilometri per incontrare Patch Adams, sì, quello del film, che l'ha voluta con lui. La leggenda della fata che realizza i desideri cresce, fra voli in mongolfiera e traversate in nave. E a Firenze il suo taxi diventa un'istituzione. Solo chi non ne sa niente resta imbarazzato e un po' preoccupato da quella strana autista. O ne diffida, come quel vigile troppo solerte che gli appioppa una multa perché circola con troppi ninnoli e disegni. Ci penserà l'assessore ad evitare una pessima figura cancellando il provvedimento. «Ma quella multa - lei dice - non mi fece arrabbiare: è solo il frutto di una società che vive secondo i suoi schemi, e io ho infranto uno di questi». Il sindaco Renzi invece deve ancora mantenere una promessa fatta qualche tempo fa ad una "cliente" malata terminale di Caterina, che oggi non c'è più: quella di mettere il primo vecchio taxi Milano 25 al centro di un parco per bambini, in modo che tutti possano conoscere la sua storia. «Mi piacerebbe che quella promessa fosse mantenuta. Soprattutto - spiega Caterina - perché quel taxi per qualcuno non è solo ferraglia, ma una testimonianza di vita. Ognuno dei miei taxi ha non una ma mille storie da raccontare. E un nome. Il primo si chiama Margherita, il secondo Berenice. Hanno fatto migliaia di chilometri, e ora sto aspettando che mi arrivi dall'Inghilterra Luca's Cab, un tipico cab inglese che avrà il nome del ragazzo che accompagnai a Londra, e col quale sognai che ci saremmo tornati proprio per comprare quel taxi...». Caterina resta sempre in contatto con i suoi clienti. «Tutte le famiglie che perdono un figlio - dice - restano nel mio cuore, e continuiamo a frequentarci, a sentirci. E non tutte le storie finiscono male. Ci sono tanti ragazzi che grazie al cielo si curano, guariscono. Poi quasi sempre vengono a fare volontariato negli ospedali. E ogni tre mesi vengono a Firenze per i controlli. Sono i miei figli sparsi per il mondo». Tanta gente dice che Caterina li hai spiazzati con l'amore... «La verità spiazza - replica lei - e il mio lavoro è portare l'amore. Tutti parlano della crisi, dei soldi che non hanno, ma perchè non parlano dell'amore che non hanno? Nel dolore scopri che l'amore, la vita sono l'unica risposta».
Ma c'è anche chi ha provato a strumentalizzare il suo impegno. «E' successo spesso. Perchè gli altri non sempre vedono col cuore quello che tu sei. A volte ci casco, ma non mi preoccupo, se sbaglio torno indietro. Se qualcuno mi frequenta per questioni di immagine, pubblicità, sono problemi suoi. Ma si stancano presto, perchè io sono uno spirito libero».
Anche la "fata", comunque si arrabbia. «Sì, mi arrabbio tantissimo. Ad esempio quando gli altri non vogliono capirti e tollerarti, quando non vengo accettata perchè sono diversa. La presunzione di conoscere e di giudicare mi fa arrabbiare. Come quando qualcuno dopo avermi fermata decide di non salire sul mio taxi, dice che è una buffonata, senza sapere niente di quello che sto facendo». L'hanno persino presa per matta. «Ognuno giudica l'altro con ciò che ha. Io non giudico nessuno, vado incontro e cerco di capire. Del resto tutta sana non sono, prendo vita dalla morte. Ma gli altri sono proprio normali? È normale, ad esempio, che un politico si approfitti della gente?». Caterina non si è più risposata e non ha avuto figli. «Non essere mamma mi manca molto, ma ho cercato di sopperire. Non so cosa si prova ad amare qualcuno più di se stessi; quando muore un bambino io lo amo come se fosse mio, ma lo lascio andare, perchè non è carne della mia carne, e di questo sono consapevole. Sì, è come per un prete, non avere legami mi consente di fare al meglio la mia missione. E poi il fatto di non avere altre storie non è una scelta. È una possibilità che non mi sono mai preclusa, ma non è capitata. Forse perché sono innamorata di ciò che sto facendo». Il suo prossimo viaggio dovrebbe essere in Terrasanta. «È un viaggio della speranza; sono 10 anni che è morto il mio compagno, e ho imparato che la fede, qualunque fede, è un cammino fondamentale nella sofferenza. Ho scoperto che ovunque si prega in maniera diversa, ma si prega. Ho capito che da sola non posso camminare. Non puoi non avere fede - aggiunge - di fronte a dolori come la morte di un bambino. Ognuno a prescindere dal tipo di religione, nella fede trova un aiuto ad andare oltre. Io credo ci sia un'altra vita, credo che ciò che facciamo costruisca la nostra essenza. E che se il corpo lo lasciamo qui, noi andiamo avanti all'infinito». Una bambola per Caterina Bellandi Una bambola per Caterina Bellandi

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