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Una liberazione

Creato il 28 agosto 2012 da Malvino
Attendo con impazienza le prossime elezioni politiche per provare finalmente il piacere dell’astensione che per anni mi sono negato per la stramaledetta coazione a votare il meno peggio. Stavolta il meno peggio non lo vedo e, anche se dovesse materializzarmisi dinanzi all’ultimo minuto, accetterò volentieri il rischio di pentirmi di non averlo votato, piuttosto che andare incontro al pentimento di averlo fatto, che ormai è matematicamente assicurato. Le critiche saranno immancabili, so bene, ma me le scrollerò di dosso facendo spallucce. Mi sentirò dire, c’è da scommetterci, che si tratta di una deriva qualunquista, che non sono «tutti uguali», che chi si astiene ottiene il solo risultato di rendere più forte il voto di chi va a votare, ecc. Fa niente, forse neppure obietterò.Sono mesi che su queste pagine evito di commentare le vicende politiche italiane. (Fanno eccezione i radicali, è vero, ma quella non è politica, è roba che sta a metà tra la semeiotica del marasma in geriatria e l’anatomia degli stomodei in entomologia.) Non trascuro di informarmi su ciò che accade, ma è al momento di trarre conclusioni ed esprimere un parere che mi prende un crampo paralizzante: mi pare che ogni parola sia vana, perfino a tentare di formulare la mia sensazione di avvilimento e di disgusto. Su tutto prevale il sentirmi straniero in patria, che non è cosa nuova, ma oggi c’è un di più che sa di confino.Leggo Gilioli e Punzi, critici lucidi e tutto sommato onesti dei limiti connaturati al partito che hanno come punto di riferimento, rispettivamente il Pd e il Pdl, e un po’ li invidio: loro ci credono. Credono che Pd e Pdl possano ancora sostenere il peso di un qualche bipolarismo, costruendosi un’anima che sappia reclutare forze su idee, programmi, progetti di società. E leggo Grillo, leggo Di Pietro, soprattutto i commenti ai loro post. Non mi perdo una lirica di Vendola. Leggo, leggo, e non so aspettarmi di meglio che un commissariamento dell’Italia da parte dell’Europa, della durata di almeno tre decenni, il minimo indispensabile perché tutta questa schifezza avvizzisca. Ma neanche è detto, perché abbiamo sul groppone secoli di dominazioni straniere, e il carattere nazionale – fatemi usare questa categoria che da sempre orripila l’uomo di scienza – rimane intatto e uguale a se stesso, come il bottino che gelosamente lo stercorario custodisce sotto terra. Siamo storti dentro, la democrazia non la meritiamo, avremo sempre bisogno della mamma o di un prete, di qualcuno che ci dimostri di volerci bene chiudendo un occhio sulle nostre paure e le nostre impotenze, dandocene un alibi e servendosene.Non andrò a votare, stavolta, nemmeno se mi ammazzano. Quando l’ho deciso, ho sentito come lo scoppio di un ascesso: un dolore e, subito, una liberazione.

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