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Una storia sbagliata

Creato il 29 maggio 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
  • Anno: 2014
  • Durata: 109'
  • Distribuzione: Palomar
  • Genere: Drammatico
  • Nazionalita: Italia
  • Regia: Gianluca Maria Tavarelli
  • Data di uscita: 04-June-2015

Una storia sbagliata è un film che lega tematiche importanti e attuali, come la guerra e di come questa possa avere ricadute “politiche” sulle storie di vita quotidiana, compreso l’amore. La partecipazione dello spettatore non è soltanto emotiva: il film fa parte di un esperimento di distribuzione che lega la tradizionale sala cinematografica alle innovative piattaforme on demand, in un progetto che restituisce al cinema “di zona” il suo antico ruolo di operatore culturale.

Sinossi: Stefania (un’intensa e sempre convincente Isabella Ragonese) vive a Gela ed è infermiera; lavora per sensibilizzare le famiglie con bambini che presentano malformazioni dovute alla presenza dell’industria petrolchimica della città: l’industria ha portato il benessere e i posti di lavoro, ma dopo quarant’anni le generazioni più giovani ne stanno pagando le conseguenze e Stefania ce la mette tutta per convincere le famiglie a denunciare la situazione andando contro gli stessi datori di lavoro; vive una guerra quotidiana, addolcita dall’amore per il marito Roberto e dai progetti di una casa più grande e un figlio. Anche  Roberto (Francesco Scianna) combatte una guerra difficile: arruolato nell’esercito, parte spesso in missione per     l’Iraq, ad affrontare i rischi di un conflitto che protegge soltanto i poteri forti e miete vittime innocenti, e a fare i conti giorno dopo giorno con un malessere che non riesce a placarsi nemmeno quando torna a casa da Stefania. Roberto è sempre più assente, torna a casa smanioso di ripartire per la missione successiva nonostante le resistenze di Stefania, fino a che un giorno perde la vita durante un attacco kamikaze. Pochi mesi dopo Stefania, accecata dalla rabbia e dal dolore per la scomparsa di Roberto, parte in missione umanitaria per andare a curare i bambini affetti da gravi malformazioni, proprio in quei luoghi dove Roberto aveva trascorso l’ultima parte della sua vita. In realtà Stefania è mossa da un intento egoistico, quello di ritrovare la famiglia del kamikaze che si è fatto saltare in aria durante l’attentato in cui ha perso la vita suo marito, e dare un nome ad una persona da odiare, verso cui scaricare tutta la sua disperazione.

Nella ricerca della famiglia dell’attentatore, Stefania conosce Khaleed (l’attore belga Mehdi Dehbi), che fa l’interprete all’interno dell’ospedale dove lavora la donna; Khaleed sta lavorando per mettere da parte i soldi e tessere le amicizie giuste con gli occidentali, per andarsene via dall’Iraq e iniziare una nuova vita in un Paese che non sia dilaniato dalla guerra. E se Stefania paga Khaleed per farsi portare fuori dall’ospedale e continuare le sue ricerche, e nonostante a Khaleed i soldi di Stefania facciano comodo, tra i due non mancano momenti di scontro molto drammatici: Stefania è alla ricerca ostinata di qualcuno da odiare mentre Khaleed vuole buttarsi alle spalle quella guerra di cui lui stesso è stato vittima (era stato ferito proprio nello stesso attentato in cui Roberto aveva perso la vita); e se Stefania è incattivita da un dolore che si rivela ogni giorno fine a se stesso e la inaridisce e la allontana dalle persone e la rende impermeabile alle sofferenze e alle difficoltà pratiche di cui è testimone quotidianamente, Khaleed le sbatte in faccia una realtà cruda, quella di un Paese in cui ci vuole una fila di dodici ore per fare il pieno di benzina, seppur ricco di petrolio.

Le vicissitudini di Stefania e Khaleed si intrecciano con quelle di una bambina affetta da malformazione al labbro, e che la madre vorrebbe a tutti i costi fare operare dall’equipe medica in cui è  impiegata Stefania, raccomandandosi disperata a Khaleed. Ad un primo rifiuto all’operazione, dovuta al fatto che la bambina è asmatica e le conseguenze post-operatorie potrebbero rivelarsi fatali per la piccola, in un secondo momento Stefania mette la bambina nella lista dei pazienti da operare: in cambio Khaleed la accompagnerà nel villaggio dove aveva alloggiato il kamikaze la notte prima dell’attentato. A seguito dell’operazione la bambina ha una crisi e sia la madre che Stefania si rendono conto di quanto l’ostinazione possa fare più male di una guerra e di quanto il dolore sia universale.

Quando Stefania raggiungerà la casa dove vive la vedova dell’attentatore suicida capirà il senso di quel viaggio inizialmente mosso da rabbia odio e rancore; seduta alla tavola di una donna che come lei ha fatto esperienza di dolore per una perdita, attraverso questo ri-conoscimento scoprirà se stessa, perché alla fine l’essere umano si riconosce nell’amore e nel dolore, poiché l’essenza dell’Uomo è la stessa, a qualsiasi latitudine.

“Quando ci sono cose che non capisci ti metti in viaggio e guardi in faccia il tuo dolore.”

Recensione. Bombardati tutti i giorni dalle immagini di guerra e dalle notizie che ci arrivano col sensazionalismo ormai tipico dei mezzi di comunicazione di massa tradizionali e di quelli più moderni, è genuina l’esortazione di Isabella Ragonese: il modo migliore per conoscere quei luoghi è andarci oppure scoprirli attraverso il cinema e l’arte in tutte le sue forme. È proprio così che ci si rende conto che nello scenario socio-politico in cui viviamo, dove la guerra è ovunque, il “piccolo privato” (per usare le parole del regista Gianluca Maria Tavarelli) viene proiettato nel mondo. E se a Gela, Sicilia, Sud del Mondo, le industrie petrolchimiche hanno inquinato l’aria e avvelenato il cibo e condannato i bambini a gravi malformazioni di cui spesso le famiglie si vergognano, a Nassirya, Iraq, sempre Sud del Mondo, le famiglie irachene convivono con lo stesso problema e con la stessa vergogna, tutti vittime di una stessa matrice, quella degli interessi forti che girano intorno al petrolio.

I tre protagonisti, Stefania Roberto e Khaleed, si fanno portatori di un contrasto interiore che mantiene una tensione costante durante tutto lo svolgimento della storia, la cui stesura è iniziata nel 2009 durante il mese che Tavarelli e gli sceneggiatori Angelo Carbone e Leonardo Fasoli hanno trascorso in Iraq al fianco della Onlus Emergenza Sorriso.

Stefania ce l’ha con le industrie petrolchimiche di Gela perché vede ogni giorno i danni che hanno causato nei bambini; ma quando Roberto muore si sente al centro del mondo, vittima di un egoismo che la muove a partire, con la scusa dell’intento umanitario, e a cercare l’uomo che le ha distrutto  vita, senza rendersi conto delle sofferenze che la circondano ogni giorno in Iraq (come in Italia); arriva a Nassirya con uno spirito irrazionale, qualcosa di animale che la spinge lì per vedere e capire quello che Roberto non riusciva a spiegarle tutte le volte che tornava (Gli portiamo i giocattoli e poi li bombardiamo, strano lavoro il mio eh?”) per poi elaborare quel dolore e andare avanti, come succede alle donne che hanno a che fare con la guerra che all’improvviso le rende vedove e le costringe a prendere in mano la vita.

Roberto, la cui interpretazione è stata una sfida per l’attore Francesco Scianna proprio perché ha fortemente voluto restituire il momento in cui il suo personaggio si perde, è diviso tra la missione e la sua vita con Stefania; crede fortemente nella missione che si rivela un’esperienza talmente forte che in certi momenti crede che quella sia la sua vera vita, perché il quotidiano del matrimonio e della provincia non gli basta e ogni volta che torna a casa si prepara per partire nuovamente. Roberto incarna in un certo senso un concetto più attuale di guerra: come spiega Tavarelli uno dei tragici aspetti della guerra ai nostri giorni è che si torna a casa con dei fantasmi che non si possono condividere con nessuno; la Seconda Guerra Mondiale aveva colpito tutti, sia chi era partito per il fronte che chi era rimasto a casa a fare i conti coi bombardamenti; distruzione e  morte avevano riguardato tutti e la Ricostruzione rappresentò un momento di coesione e di condivisione per superare quei tragici momenti.

Khaleed è un personaggio in fuga, riassume le ambizioni dei giovani che come lui guardano all’Occidente come alla promessa di libertà e benessere. È diviso tra l’appartenenza alla propria terra e quel sogno di fuga e la sua ambiguità traspare costantemente durante il corso del film; il suo ruolo di interprete tra la popolazione locale e gli italiani incarna ancora di più questo dissidio interiore, questa terra di mezzo tra la sua terra e la fuga. Ed è proprio grazie alla lingua che si avvicina a Stefania, chiedendole il significato della parola “fluttuare”; e Stefania, ammorbidita da quel percorso di ri-conoscimento gli risponderà trovando un punto in comune, che l’arabo e l’italiano utilizzano troppe parole per dire qualcosa di semplice. E sarà proprio per questo che molti linguisti sono concordi nel definire l’arabo e l’italiano come “lingue dell’essere” (a differenza delle “lingue del fare” come l’inglese).

Dopo un  primo periodo in Iraq, un attentato avvenuto poco prima che la troupe partisse per continuare le riprese ha portato Tavarelli e i suoi in Tunisia, in un villaggio al confine con l’Algeria; “il cinema è anche finzione e soprattutto ricostruzione della realtà” e quel villaggio e il paesaggio circostante si avvicinavano molto all’Iraq e hanno dato modo agli attori e ai tecnici di fare esperienza di ciò che stava succedendo nel Maghreb dopo che la primavera araba aveva portato i Fratelli Musulmani al potere: è una Tunisia cambiata e decisamente più reazionaria, rispetto a quella di una decina di anni fa che era più aperta ed emancipata. Le difficoltà operative sono state sicuramente ripagate dall’esperienza umana che tutto il cast, tecnico e artistico, ha sperimentato durante le riprese; Tavarelli ha spiegato che si torna a casa sempre con qualche difficoltà, in quei luoghi “c’è qualcosa di molto profondo, molto antico che ti assorbe”.

Una Storia Sbagliata è un film che lega tematiche importanti e attuali, come la guerra e di come questa possa avere ricadute “politiche” sulle storie di vita quotidiana, compreso l’amore. E nonostante Tavarelli lo definisca un “piccolo film” ha in sé una potenza che sembra sempre sul punto di esplodere: è la bravura dei tre protagonisti a mantenere gli equilibri della storia e a sviluppare quei dissidi interiori in modo da rendere lo spettatore partecipe fino alla commozione.

La partecipazione dello spettatore non è soltanto emotiva: Una Storia Sbagliata fa parte di un esperimento di cui il produttore Carlo Degli Esposti di Palomar si fa entusiasta promotore: la distribuzione del film avverrà attraverso la sinergia della distribuzione tradizionale, la sala cinematografica, e la piattaforma digitale on-demand (TVoD Transaction Video On Demand appositamente realizzata da MyMovies.it). Ad ogni download del film attraverso la piattaforma on demand, sarà riconosciuta una quota dei proventi alla sala cinematografica che ha in programmazione il film, nel raggio di 15km. Questo per far sì – spiega Degli Esposti, colpito favorevolmente dalle iniziative che negli ultimi anni hanno riportato “in vita” il Cinema America di Trastevere  – che la sala cinematografica torni ad essere un operatore culturale di zona, capace di catalizzare l’attenzione del pubblico verso un film che si può scegliere di fruire in forme diverse rispetto a quella tradizionale. Se questo esperimento andrà a buon fine, gli esercenti avranno la possibilità di vendere  DVD e Blu Ray dei film in programmazione, restituendo alla sala cinematografica quella centralità nella distribuzione delle opere.

Una Storia Sbagliata è un film che apre gli occhi e rimette in discussione quanti pensano di non avere pregiudizi nei confronti di altri popoli; in realtà partiamo tutti da un punto di vista che è la nostra vita, la nostra storia, le nostre abitudini, e il viaggio più bello inizia proprio quando mettiamo piede, dopo otto ore d’aereo, in un luogo che ci regala le stesse impressioni e le stesse sensazioni di quello che abbiamo lasciato. Ed è in quel luogo dove finalmente ci ri-conosciamo.

Anna Quaranta



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