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Una tempesta quasi perfetta al largo di Cape Wrath

Creato il 26 marzo 2013 da Nonsoloturisti @viaggiatori

Abbiamo passato la giornata in gita a Kirkwall, sull’isola principale dell’arcipelago delle Orcadi, isole remote adagiate in pieno Mare del Nord, oltre l’estremo lembo delle Highlands scozzesi. Parlare di burrasca è poco, siamo a metà agosto ma sembra novembre, e ci toccano pioggia, vento e nebbia in volumi industriali. Questa è la Gran Bretagna e non il Massachusetts, ma comunque pur sempre di Oceano Atlantico si tratta, e l’atmosfera ricorda molto quella di quel film con George Clooney, “La tempesta perfetta”.

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Va avanti così da una decina di giorni, non so se questa estate del 1996 è nelle medie stagionali britanniche, ma so di certo che il vecchio giaccone impermeabile imbottito e con cappuccio, che avevo infilato in valigia più per scaramanzia che per altro e con l’idea magari di regalarlo al primo barbone incontrato per strada, si è rivelato invece l’unico indumento adatto ed opportunamente indossabile. Siamo in vacanza, come dicevo, con moglie e cognata: quest’ultima in viaggio premio a nostre spese come ringraziamento per le due settimane di assistenza meritoriamente prestatemi sei mesi prima a Barcellona, dopo il mio primo trapianto di cornea. E poi loro sono in qualche modo a casa, la famiglia di mia moglie vanta per parte di madre lontani antenati scozzesi – clan Morrison dell’isola Lewis, nelle Ebridi esterne – ed è quindi normale vederle abbastanza a loro agio. E tutto sommato mi sento decisamente a mio agio anch’io, come sempre le brume mi esaltano: oggi per esempio, tanto per dirne una, siamo reduci dal magico e misterioso Ring of Brodgar (altro che Stonehenge!) ed anche la nostra destinazione di rientro, il terribile Cape Wrath (“Capo Furia”) mi ha incantato non poco quando ci siamo imbarcati stamani. Di là, pochi kilometri per Thurso, di gran lunga la cittadina più sfigata di tutta la Gran Bretagna, in cima in cima in cima all’estremo nord di tutto con un reattore nucleare come quello di Springfield dei cartoni dei Simpson, ho provato ad immaginare le ovvie proteste dei locali una volta individuato il sito per la sua costruzione, ed anche le ovvie risposte dei politici: ma se non lo facciamo qui, dove diavolo volete che lo facciamo?

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All’imbarcadero, sotto la pioggia ghiacciata as usual, un giovanottazzo flaccido e rapato, a torso nudo, rosso, sudato e surriscaldato da parecchie birre, barcolla e impreca da solo, mostrando i pugni al vuoto e all’aria gelida. Uno del gruppo dice alla nostra guida turistica: “Io quello là lo butterei volentieri in mare.” E lui, un distinto signore inglese di mezza età – inglese, non scozzese – dai modi compassati ed aristocratici, lo rassicura incoraggiandolo nel suo buffo e compito italiano: “Fai puve: io pev pavte mio ti pvometto che non divò niente a nesuno.”

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Siamo ripartiti, piove, soffia il vento, e le onde saranno alte otto-dieci metri. Normale amministrazione da queste parti, mica è il traghetto per Capri, che non parte causa avverse condizioni atmosferiche, perché se no allora quando parte? Mai? Le sorelle McLeod – anzi no, a tutti gli effetti ora sono le sorelle Morrison – se ne stanno sotto coperta, tra nauseate dal mal di mare e terrorizzate dalle onde, molti altri stazionano fermi all’impiedi, aggrappati alle paratìe, spalle al mare in burrasca. Per me invece è il momento di una bella passeggiata sul ponte. Viso sprezzante rivolto agli elementi avversi, un vero lupo di mare, capitano coraggioso quant’altri mai, passeggio felice di qua e di là, e a un certo punto salgo sulla torretta di avvistamento.

La vista è davvero bellissima, fendiamo e cavalchiamo i cavalloni come un esile guscio di noce, filando veloci nella pioggia verso un orizzonte invisibile, al di là degli scrosci e della nebbia. Si balla un po’ ma è uno spettacolo magnifico, perché non sale nessuno fin qua? Vabbè, ora scendo, mi volto e… sotto di me a poppa si apre un gorgo spaventoso che sembra essere lì lì per inghiottirmi! Stiamo risalendo la cresta dell’onda ed è per quello che il battello è visibilmente inclinato! Mentre rifaccio i gradini di corsa, mi ricordo di quel vecchio adagio marinaresco: le scale in mare si scendono sempre all’indietro… ora capisco il perché. Ma niente paura, è tutto sotto controllo. Per ingannare il tempo, però – nessuno mi vuole fare compagnia all’esterno – incomincio a contare i salvagente in giro. Allora, sono venti, ventuno, ventidue, ventitré, ventiquattro… e gli altri dove li avranno messi? A bordo saremo un’ottantina circa… ah, ecco, ci sono le casse con i canotti… tre a prua. No, no, ancora non ci siamo. Ah, sì, le scialuppe… una, due, basta. Tutto qua? Ah. C’è qualcosa che non torna, qui ci metteremmo in salvo in una sessantina al massimo, e siamo almeno ottanta senza contare l’equipaggio. Ma che ora è? Quand’è che arriviamo?

Una tempesta quasi perfetta al largo di Cape Wrath

Arriviamo, arriviamo, non ne avevo mai dubitato, o almeno mi fa piacere crederlo. Mentre sbarchiamo pare che stia finendo di piovere: mai illudersi, ma il faro di Cape Wrath si staglia nel tramonto chiamando una splendida foto. Un attimo… no, neanche un attimo, Giuliana dice che se non rientriamo immediatamente in albergo finirà per vomitare in strada. La trovo molto agitata, non so come mai… e va bene, niente foto, andiamo in albergo che abbiamo proprio bisogno di una zuppa calda, davanti alla quale però voglio rifarmi meglio quel conteggio dei salvagente… una spiegazione ci sarà di certo…

Dove si trovano le Orcadi?


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L'antiviaggiatore

L’antiviaggiatore

La redazione di NST ama definirmi un “viaggiatore d’altri tempi”, e non si può dire che abbia tutti i torti: a cinquant’anni suonati, ho fatto in tempo a vedere un bel po’ di mondo com’era, appena prima che si trasformasse in quello di oggi. Questo mio prezioso bagaglio di viaggi “vintage” mi ha aiutato a costruirmi una personale filosofia di viaggio con la quale mi ostino ad interpretare i cambiamenti che sperimento in giro per il pianeta.

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