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Under the skin – Jonathan Glazer [Film]

Creato il 13 settembre 2014 da Amalia Temperini @kealia81

Ieri dovevo essere a un appuntamento importante per la mia vita, ma la salute ha deciso di farmi rimandare l’incontro. In questa occasione, ho stabilito che riprendere la visione di alcuni film sarebbe stata una sana terapia di riflessione.

Come ogni volta, da diversi anni, sono qui a offrire il giorno dopo una opinione del tutto arbitraria su quanto assorbito.

Under the skin di Jonathan Glazer, del quale ho sentito molto parlare, poiché presente nelle giornate dell’ultimo Festival del Cinema di Venezia, mi ha colpito.

Ero un po’ titubante poiché la stima nei confronti dell’attrice protagonista (Scarlett Johansson) non è altissima, ma più persone che conosco, qualitativamente interessanti dal punto di vista culturale, ne hanno apprezzato la narrazione. Mi sono chiesta se fosse solo colpa mia e se fossi solo vittima di un pregiudizio. Ero stata spaventata da alcune dichiarazioni in cui si paragonava questo lavoro ad alcuni sparuti kubrichiani e avevo iniziato a sbraitare ancor prima di averne visto il trailer su youtube.

In effetti, alcuni elementi ci sono, si ritrovano soprattutto nella costruzione di alcuni primi piani, in rimandi dedicati ad Arancia Meccanica negli occhi di Alex, all’inserimento di codici pentici in alcune scene di passaggio e a una colonna sonora incalzante ed efficace tanto da essere necessaria più della stessa osservazione; all’Inghilterra, alla violenza e alla contemporaneità. Credo che il rimando a Stanley Kubrick sia dovuto alle perplessità e alla sospensione di certi momenti, che non sono comprensibili, poiché troppo anticipatori per essere accettati in questo esatto periodo storico.

La trama è incentrata su una ragazza arrivata quasi per caso sulla terra da una realtà parallela, che noi vediamo costruita come un flusso, a un ritmo di montaggio pensato come una sorta di danza contemporanea. Disorientata, consuma solo maschi attraverso la seduzione. Non c’è sesso, non c’è nudità volgare, c’è solo appartenenza e conoscenza di un corpo estraneo, che deve essere compreso, capito e in grado di narrare una fatto individuale ancora tutta da scrivere.

Questo corpo, non a caso femminile, è seguito da un uomo che ne cerca di tutelare l’identità. Il racconto si sviluppa in due momenti e si rompe quando all’improvviso è conosciuto un diverso, un ragazzo dalla fisionomia alterata e che vive all’ombra del mondo.

A questo punto, il meccanismo che si instaura nel fruitore, seduto nell’osservazione completa del film, potrebbe non comprendere i motivi per i quali sia stata strutturata la scena.

Ci si trova di fronte a una pietas, non intesa come “pietà” latina di sofferenza compatita, ma più come forma di partecipazione al dolore dell’altro, tanto che lei (la Johansson), improvvisamente, inizia a spogliarsi di quegli abiti fin lì indossati, e inizia a cercare contatto con la vita attraverso la soddisfazione di alcuni bisogni comuni, primari, dell’uomo.

Si passa da un postmoderno all’essenzialità del ritrovamento. Da una cosa comune e piatta a una analisi di una unicità che è stata interrotta.

Potrebbe esserci un discorso legato alle maschere, ai comportamenti sociali e all’influenza di certi giochi mentali che ci rendono tutti uguali, alla natura.

Se tutta la produzione è guardata con occhi puri, la cosa che non può essere tralasciata è la violenza cui è sottoposta una donna, o un qualsiasi corpo femminile.
C’è un gioco di equilibri tra provocazione e resistenza.
La rottura si applica nel suo finale.

Fotografia ed elaborazione della sceneggiatura al top.

Scarlett Johansson si sta dedicando a tutte queste parti di indagine, dopo Her di Spike Jonze, con una presenza che matura nell’uso esclusivo della sua voce, Under the skin.
Nuove dimensioni. Chissà perché?

L’intero lavoro è tratto dal romando Sotto la pelle di Michel Faber, Einaudi, 2004.

Buona visione!

Under the skin – Jonathan Glazer [Film]


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