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Undici solitudini

Creato il 02 settembre 2011 da Phoebes

Undici solitudini

di Richard Yates Voto: 6 e 1/2/10
Undici solitudini
Undici solitudini

Del nuovo ragazzo era stato detto a Miss Price soltanto che aveva passato gran parte dei suoi anni in un orfanotrofio, e che gli “zii” piuttosto anziani con cui viveva ora erano in realtà genitori adottivi, pagati dall’ente pubblico di assistenza della città di New York. Un’insegnante meno appassionata e con minor fantasia avrebbe cercato di sapere qualcosa di più, ma Miss Price si accontentò. Era bastato quel rapido profilo a suscitare in lei uno spirito missionario che cominciò a trasparirle dagli occhi, chiaro come l’amore, fin dalla prima mattina in cui il ragazzo si presentò in classe.
[incipit de "Il dottor Geco"]

Undici storie per raccontare momenti o vite intere, sempre nel segno della solitudine.

Già dal titolo era facile intuire che questo libro non fosse particolarmente allegro. Però devo dire che non era come mi aspettavo: niente storie tragiche, niente eventi devastanti, niente morti o separazioni. Le storie di solitudine che Yates racconta in questo libro sono semplici, quotidiane, molte ambientate in luoghi “normali” come uffici e scuole. E tutto questo rende il tema ancora più sentito, perché questa solitudine è quella che accompagna tutti, che non lascia scampo a nessuno.
Anche se per la verità io più che la solitudine ho trovato molta tristezza in questi racconti. Sono quasi tutti ambientati a New York, e ci sono diversi argomenti ricorrenti (per esempio la scuola, i malati di tubercolosi…); la guerra, finita da non molto (il libro è del ’62 ma molti racconti mi davano l’impressione di essere ambientati negli anni ’50) fa spesso sentire il suo peso, ed è presente nei ricordi.

Ho dato un voto un po’ basso a questo libro, la scintilla con Yates non è scattata. Già il fatto che siano racconti (un genere con cui quasi sempre non mi trovo in sintonia) non ha deposto a suo favore. D’altronde, ho letto nella prefazione che Yates considerava Il Grande Gatsby la perfezione, e a me neanche quel libro è piaciuto.
Non mi è comunque neanche troppo dispiaciuto, infatti sarei comunque ancora curiosa di leggere Revolutionary Road.

La copertina di questo libro devo dire mi è piaciuta. Le letterine colorate che ricordano il più famoso romanzo di Yates, e che compaiono (non capisco bene perché) anche sulla cucina, non mi piacciono molto, ma mi ha colpito la semplicità di questa singola immagine, un forno con piano cottura, nient’altro intorno, non un mobile, non un parete, niente: trovo che esprima molto bene il senso di queste solitudini così “casalinghe”.

Dammi 5 parole

Storie neanche troppo deprimenti. Carino.

Scheda del libro

Undici solitudini
Titolo: Undici solitudini
Autore: Richard Yates
Paese: USA
Titolo originale: Eleven Kinds of Loneliness
Anno prima pubblicazione: 1962
Casa Editrice: Minimum Fax
Traduzione: Maria Lucioni
Copertina: Riccardo Falcinelli
Pagine: 257
sito non ufficiale sull’autore (in inglese): LINK
aNobii: LINK
inizio lettura: 13 agosto 2011
fine lettura: 31 agosto 2011

Sfide: La Sfida infinita (o quasi)… quarta edizione!, La Sfida Nascosta 2011, Sfida “Dammi 5 Parole”, GARA d’AUTORE 2011, A domanda risponde e La sfida dell’ALFABETO 2011.

Un po’ di frasi

Nessuno si aspettava che Grace lavorasse quel venerdì prima delle sue nozze; anzi, se mai ne avesse avuta l’intenzione, glielo avrebbero impedito.
[incipit di "Tutto il bene possibile"]

Il sergente Reece veniva dal Tennessee. Era un tipo calmo, snello, che riusciva sempre ad apparire elegante anche con la mimetica, e non rispondeva certo all’idea che in genere uno ha del sergente di fanteria.
[incipit di "Jody ha il coltello dalla parte del manico"]

Myra si allungò sul sedile posteriore e lisciandosi la gonna spinse via la mano di Jack.
«Va bene, tesoro», sussurrò lui ridendo, «stai buona».
«Stai buono tu, Jack», gli rispose lei. «Almeno adesso».
[incipit di "Nessun dolore"]

A nove anni Walter Henderson era convinto, e con lui molti suoi amici, che morire fosse l’esperienza più emozionante di tutte. Una volta scoperto che l’unica parte veramente soddisfacente di una partita a guardie e ladri era il momento in cui fingendo d’essere colpito a morte, con le mani serrate al cuore, lasciavi andare la pistola e stramazzavi a terra, il resto finì quasi per essere eliminato – la seccatura di fare le squadre e di muoversi qua e là senza farsi vedere – e il gioco si ridusse all’essenziale. Diventò insomma una prova di abilità personale, quasi un’arte.
[incipit di "Una gran voglia di punizione"]

La Voce sindacale non godeva di una gran reputazione. Anche i suoi proprietari, Finkel e Kramm, i due arcigni cognati che l’avevano fondata, e che in un modo o nell’altro riuscivano anno per anno a cavarne qualche profitto, non avevano granché di cui essere fieri.
[incipit di "Contro i pescicani"]

Per tutta quell’estate i ragazzi che avrebbero dovuto fare la terza con la signorina Snell erano stati messi in guardia contro la nuova maestra. «vedrete che roba, ragazzi!» dicevano i più grandi, facendo smorfie con malvagio piacere. «Vedrete che roba! La Cleary sì che è un tesoro!» (la signora Cleary era la maestra che avrebbe insegnato all’altra, più fortunata, sezione di terza), «lei sì che è buona, ma la Snell… poveri voi!»
[incipit de "Il regalo della maestra"]

Nessuno aveva mai badato molto a John Fallon prima che il suo nome apparisse nel rapposrto di polizia e sui giornali.
[incipit de "Il mistragliere"]

A causa del chiasso di mezzanotte a entrambi i capi della linea, ci fu un po’ di confusione all’Harry’s New York Bar quando giunse la telefonata. Sulle prime l’unica cosa che il barista riuscì a capire fu che arrivava da lontano, da Cannes, evidentemente da qualche nightclub, e che la voce concitata del centralinista faceva pensare a una chiamata urgente. Finalmente, tappandosi l’orecchio libero e urlando nel ricevitore, egli apprese che era soltanto Ken Platt che chiamava il suo amico Carson Wyler per fare quattro chiacchiere. Scosse la testa infastidito e depose il ricevitore sul banco accanto al bicchiere di Pernod di Carson.
[incipit di "Un buon pianista di jazz"]

Nei cinque anni dopo la guerra il Padiglione Se4tte, quello dei tubercolotici, era diventato un edificio distinto dal resto dell’ospedale Mulloy per i veterani. Pur trovandosi a meno di cinquanta metri dal Padiglione Sei, quello dei paralitici (stavano entrambi di fronte allo stesso pennone, sulla stessa piana di Long Island battuta dal vento), non c’erano più rapporti di buon vicinato tra loro dall’estate del 1948, quando i paralitici avevano presentato una petizione per chiedere che i malati di tubercolosi stessero isolati sul loro prato.
[incipit di "Abbasso il vecchio!"]

Gli scrittori che scrivono di scrittori possono produrre facilmente il peggior genere di aborti letterari. Questo lo sanno tutti. Incominciate un racconto con un «Craig spense la sigaretta e si avviò deciso alla macchina da scrivere», e non troverete negli Stati Uniti un solo editore che andrà avanti a leggere la frase successiva.
[incipit di "Costruttori"]

E dove sono le finestre? Da dove entra la luce?
Bernie, vecchio amico, perdonami, ma per questa domanda non ho la risposta. Non sono neppure sicuro che questa particolare casa abbia delle finestre. Forse la luce deve cercar di penetrare come può, attraverso qualche fessura, qualche buco lasciato dall’imperizia del costruttore. Se è così, sta’ sicuro che il primo a esserne umiliato sono proprio io. Dio lo sa, Bernie, Dio lo sa che una finestra ci dovrebbe essere da qualche parte, per ciascuno di noi.

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