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Until Dawn – Dieci ore all’alba

Da Videogiochi @ZGiochi
di Danilo "feandie" Iaccio

Era il 2012 quando Until Dawn venne annunciato in occasione del Gamescom. Sviluppato da Supermassive Games il gioco era stato pensato per essere fruito tramite il PlayStation Move, il controller di movimento di Sony, ma due fattori: da una parte l’interesse e la richiesta degli utenti di renderlo giocabile anche con il DualShock, dall’altra la vicinanza con l’uscita di PlayStation 4, hanno fatto sì che Until Dawn uscisse sulla nuova ammiraglia del colosso giapponese sfruttando le caratteristiche del DualShock 4. Lo spostamento del progetto ha portato il team a rivedere diversi aspetti del gioco tra cui la visuale dalla prima alla terza persona, una sceneggiatura più matura, di concerto il cast e l’interazione con l’ambiente. Quello che non è cambiato è la struttura di gioco. Presentata come videogioco interattivo, l’esclusiva PS4 è rimasta tale; niente equivoci à la The Order per intenderci. Il gioco può anche essere considerato un survival horror, ma non in senso stretto, perché in termini di gameplay segue il filone di un Heavy Rain, tanto per rimanere in casa Sony. Disponibile da domani, 25 agosto, in un periodo di lancio stile film horror, ecco cosa vi aspetta con Until Dawn.

I KNOW WHAT YOU DID LAST… YEAR

Otto ragazzi stanno passando insieme un weekend in montagna quando, a causa di uno stupido scherzo, Hannah si avventura di notte nella foresta nel bel mezzo di una bufera di neve. Beth, la sorella gemella, saputo l’accaduto corre a cercarla. Da lì la tragedia. Entrambe scompaiono e quell’evento segnerà i protagonisti della storia, che un anno dopo decidono di ritrovarsi nello chalet in montagna su invito del fratello Josh, per commemorare le due amiche, ma la prospettiva di una festa e celebrazione si trasforma quanto prima in una notte da incubo quando, uno a uno, i ragazzi si accorgono di non essere i soli sulla montagna e che qualcuno minaccia le loro vite. Dieci ore mancano all’alba, e il tempo scandisce anche il passaggio attraverso i dieci capitoli dell’avventura, in cui si è chiamati a vestire i panni degli otto adolescenti e prendere importanti decisioni che possono cambiare il divenire della storia. Questo l’intenso incipit, giocabile, con cui inizia Until Dawn, impreziosito poi da un altro paio di dettagli che ci sono piaciuti, che riguardano: la presentazione dei protagonisti, con un fermo immagine sul personaggio di cui si prende per la prima volta il controllo, con su scritto il suo nome, ruolo e tre aggettivi che ne definiscono la personalità; e poi il recap tra un capitolo e l’altro su quanto successo prima, come nelle serie TV, un dettaglio non di poco conto per riallineare lo stato emotivo quando si riprende a giocare.

È ovvio che da un titolo così, la parte riguardante la storia nonché la sceneggiatura (coadiuvata dai registi e scrittori Graham Reznick e Larry Fessenden), hanno un ruolo predominante e cruciale sulla buona riuscita del gioco, e sotto quest’aspetto le aspettative non vengono deluse. Per gli amanti dei teen horror movie, Until Dawn segue abbastanza pedissequamente i dettami del genere senza reinventare niente, ma non mancano spunti ispirati a Psycho, Scream, Shining e Saw che gli consegnano un carattere più maturo. Una maturità che purtroppo rimane legata solo a eventi e situazioni piuttosto che espandersi anche ai dialoghi, quelli sì, fortemente da horror adolescenziale per quasi tutta la durata del gioco. Una situazione dovuta anche ai protagonisti, creati sfruttando i cliché e gli stereotipi di questo filone cinematografico: c’è la persona spiritosa che si diverte a fare scherzi evidentemente fuori luogo e che vorresti uccidere per la paura causata, il ragazzo bello e sicuro di sé che prova a combinare qualcosa con la ragazza sexy, poi c’è il tipo nerd, e le classiche rivalità nel gruppo, tutti temi che si ritrovano un po’ ovunque. Tuttavia il cast, ricreato sulle fattezze di attori di Hollywood di un certo calibro come Hayden Panettiere (Heroes), Peter Stormare, Brett Dalton (Agents of Shield) e Rami Malek (Need for Speed, Una Notte al Museo), è ben amalgamato, e lo stato delle relazioni con gli altri personaggi potrà cambiare anche in base alla risposta ad una semplice domanda, rapporti tra l’altro consultabili dal menù ma senza che vadano a incidere in modo importante sulla storia. Quanto è horror Until Dawn? È una domanda a cui i fan del genere sicuramente interessa, ebbene, il gioco non è di quelli da non dormirci la notte, del resto è pur sempre un horror per ragazzi, e non fa nemmeno abuso di tanti momenti di jump scare, bensì gioca molto con la tensione attraverso rumori ambientali, corridoi claustrofobici e particolari inquadrature. Una tensione, che teniamo a sottolineare per quelli più paurosi, non è respingente, non crea quell’ansia che pregiudica la durata di una partita a pochi minuti alla volta. Il copione è ben scritto ma presta il fianco a qualche fatto inspiegabile od azione/evento poco credibile, oltretutto cammina in bilico su un sottile filo creato dalla contrapposizione tra una minaccia reale e una surreale, ottimamente giustificata dalla storia, e riesce a non cadere. Insomma quando reale e fantastico cominciano a mischiarsi il rischio frittata è alto, ma per fortuna qui non succede, e alla fine della fiera l’avventura vissuta lascia un bel senso di soddisfazione, soprattutto grazie a una seconda metà di gioco intensa e interessante, con i tasselli del puzzle che iniziano ad andare al loro posto.

L’EFFETTO FARFALLA

La definizione videogioco interattivo lascia spazio a pochi dubbi. In Until Dawn il giocatore è chiamato a guidare il personaggio in terza persona potendo spostare la visuale leggermente oppure indirizzando una fonte di luce nella direzione che scegliamo, esplorare l’ambiente, raccogliere oggetti combinando la presa con il grilletto e la rotazione con l’analogico destro, infine selezionare le scelte chiamato a compiere e premere i tasti a schermo nelle sezioni in cui ci sono i (non troppo frequenti) Quick Time Event. L’esplorazione è spinta dalla raccolta degli indizi, 77 in tutto, divisi in tre categorie che costruiscono tre eventi temporali distinti, e dei pezzi di totem (anche qui, situazione giustificata dalla storia sulla base di credenze dei nativi americani), per un totale di 30, che danno accesso in base al colore a brevissime visioni su possibili eventi futuri riguardanti la possibile morte o perdita di un personaggio, su un segnale guida oppure di pericolo o favorevole. Così facendo il giocatore è stimolato a esplorare i fondali, per quanto perlopiù compatti, in cerca dei punti luminosi che corrispondono a indizi e totem, la cui raccolta di quest’ultimi tra l’altro va a comporre la timeline di un racconto importante sempre visionabile dal menù. Non pecchiamo di spoiler dicendovi che c’è di più che uno psicopatico in montagna, e a nostro modo di vedere non esageriamo nel dire che quel di più copre il 70% di interesse della trama.

L’origine del progetto si palesa poco dopo aver preso il controllo del personaggio. Purtroppo i controlli si sente che sono stati in qualche modo trasposti dal Move al DualShock 4: il personaggio da subito è legnoso nello spostamento, a volte si avverte anche un leggero ritardo, e questa situazione si protrarrà avanti fino alla fine salvo in certi momenti. Le zone più a rischio che appesantiscono questa sensazione sono quelle strette con poca libertà di movimento, e quelle in cui il personaggio è lontano dall’inquadratura della telecamera e sbatte con oggetti poco visibili, specialmente nelle zone buie. Altra nota dolente riguarda l’interazione con alcuni oggetti la cui combinazione di tasti che prevede sempre la pressione del grilletto e il movimento dell’analogico destro non può essere anticipata, ma bisogna attendere l’animazione del personaggio, cosa alquanto frustrante specie perché parliamo di azioni stupide come aprire un cassettino e spingere un interruttore. La cosa strana è che questo non avviene quando raccogliamo i totem per esempio. Le caratteristiche del DualShock 4 sono state utili per riutilizzare alcuni controlli del Move e creare interazioni di tipo immersivo per quei giocatori che vogliono sfruttare il motion sensing. Noi abbiamo giocato con il tipo di controllo tradizionale, ma la nostra breve prova con il motion sensing ci ha detto che risulta ben fruibile nelle situazioni più comuni che prevedono le scelte piuttosto che la raccolta di oggetti, un po’ meno quando invece ci sono le situazioni di lotta concitate. Simpatica la possibilità di attivare l’opzione PlayStation Camera che registrerà delle riprese nei momenti paurosi del gioco. Il gameplay purtroppo diventa noioso alla lunga e poco impegno c’è stato nell’offrire nuovi tipi di interazioni, che oltre a quelle sopraccitate contemplano l’uso del touchpad per qualche azione e quello dell’analogico per mirare al bersaglio in un certo lasso di tempo per colpirlo. Ad esserci piaciuta invece è stata la soluzione di usare il sensore di movimento del pad nelle situazioni in cui è chiesto di non muoversi: immaginate di avere qualcuno alle calcagna, avete davanti due scelte, scappare o nascondervi, scegliete la seconda. Chi vi segue passa nelle immediate vicinanze con un’inquadratura stretta che porta la tensione al punto giusto oltre che sottolineare l’ansia del protagonista, e voi dovete rimanere lì, fermi, con l’icona led del DualShock 4 sullo schermo che deve rimanere all’interno dei bordi che delimitano il vostro livello di immobilità. Tensione, inquadratura e immobilità creano una situazione tesa ma divertente una volta superata, come a tirare un sospiro di sollievo.

Cos’è l’effetto farfalla? È una nozione della teoria del caos che in soldoni ritiene che un’azione anche piccola può provocare enormi conseguenze nel futuro, imprevedibili per essere precisi. I giocatori in più momenti nel corso dell’avventura possono intervenire per cambiare il corso degli eventi, aiutandosi certamente con le premonizioni dei totem. I momenti topici sono indicati dal gioco con un’icona a forma di farfalla nell’angolo in alto dello schermo, e dal menù è sempre possibile tenere traccia delle scelte fatte e delle ripercussioni avvenute in modo da cambiare decisioni in un secondo o terzo momento. L’implementazione di questo sistema trova ampi consensi dal momento che effettivamente ci sono diversi tipi di scelte, alcune ponderate altre da prendere prima che scada il tempo, che portano un personaggio a morire o meno, a percorrere un sentiero più complesso e veloce o uno più lungo e sicuro, a non compiere qualcosa di cui in futuro pentirsi, o ancora, scelte che determinano il possesso di un’arma con cui difendersi piuttosto che prese di posizione nei confronti di un compagno anziché un altro, che genereranno nuovi dialoghi. Sono ben 22 i momenti importanti che compongono le circa 9 ore di gioco con cui abbiamo finito il gioco, con un solo personaggio morto, e le possibilità sono davvero molteplici, con risultati abbastanza diversi, alcuni dei quali sono rami che portano a uno stesso punto, altri invece portano a direzioni opposte. Altro elemento simpatico è che se connessi alla rete il gioco registra le scelte dei giocatori e durante ogni scelta vengono mostrate le percentuali di preferenza delle scelte. Purtroppo però questo sistema si scontra con una rigiocabilità che è spinta solo dal vedere i diversi risvolti in base alle scelte, ma questa valida motivazione non è supportata né da un sistema di salvataggio con checkpoint all’interno dei capitoli, né da un sistema di scelte che non preveda di rigiocare tutto il gioco partendo da un determinato punto.

Graficamente il gioco ha un buon impatto utilizzando una versione aggiornata dell’Umbra Engine 3, il motore grafico usato da Guerrilla Games per Killzone: Shadow Fall. Il tipo d’impostazione di gioco ha permesso di concentrare gli sforzi sui modelli dei personaggi, su ambienti dettagliati e modellati con buone texture ed effetti particellari. Anche le animazioni spiccano in alcuni punti grazie a un buon lavoro di motion capture, mentre in altri sono un po’ più scattose, forse a causa del sistema di controllo. Qualche sporadico calo di fluidità ed effetto pop-up non diminuiscono il buon lavoro svolto, che tra l’altro giunge sul mercato senza la patch del D1, e questo fa notizia di questi tempi. Personaggio aggiunto alla sceneggiatura è sicuramente la colonna sonora, curata da Jason Graves, che recentemente ha lavorato a quella di The Order ma è noto anche per aver curato il comparto sonoro di Tomb Raider nonché di Dead Space. In campo horror ci sa evidentemente fare, e si vede: musiche strumentali e assoli inquietanti si alternano ai rumori ambientali e intervengono in modo dinamico nel preparare gli eventi che genereranno ansia e paura. Il gioco è interamente doppiato in italiano, e la qualità è sicuramente sopra la media, con interpretazioni in linea con i personaggi, anche se il non perfetto sincrono del labiale e dei cambi di tono poco credibili, danno al doppiaggio in lingua originale un discreto vantaggio.

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