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V for Vendetta, una graphic novel

Creato il 05 novembre 2014 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

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V for Vendetta va annoverata tra i primi lavori di Alan Moore e risulta, dunque, lontana dal genio creativo di The Swamp Thing e Watchmen, opere riconosciute mondialmente quali capolavori della letteratura a fumetti. Nonostante ciò, la storia del ribelle V presenta già, seppur in forma embrionale, alcuni dei temi ricorrenti e delle caratteristiche stilistiche tipiche dei lavori di Moore e che vedranno, in seguito, pieni e maturi evoluzione e sviluppo.
Tra le principali tecniche narrative adoperate da Moore in V, è possibile riscontrare innanzitutto l’intertestualità, ossia un attento lavoro di riscrittura e reinterpretazione delle tradizioni culturale e letteraria, accompagnato da una acuta e profonda riflessione sulla società e sulla natura umana.

Intertestualità in V for Vendetta

Gran parte della letteratura di Moore è incentrata sull’intertestualità intesa quale creativa reinterpretazione di elementi familiari e tradizionali. Il mondo della narrativa è la principale fonte di ispirazione del nostro autore tanto che, come egli stesso dichiara, le sue idee derivano principalmente dalla tradizione letteraria o scaturiscono dal riutilizzo dei principali miti della civiltà occidentale: “ If anything, I’d say that what I’d like to do as a writer is to try and translate some of the intellect and sensibilities that I find in books into something that will work on a comics page.”1
Attraverso la de-costruzione prima e la ri-costruzione poi di elementi narrativi preesistenti e ben consolidati, Moore reinterpreta e lancia un guanto di sfida a simboli e idee arcinote e comunemente accettate da tutti, riproponendoli in contesti estranei/altri e, pertanto, rivestendoli di significati inediti (l’innovativa decostruzione dell’eroicità tradizionale dei supereroi Marvel in Watchmen ne è un esempio più che lampante). 

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La reinterpretazione del “classico” assume spesso in Moore una forma parodica, mediante l’attribuzione di tratti sovversivi e inaspettati a formule già note. Va precisato, tuttavia, che questo tipo di parodia non sfocia in un atteggiamento critico verso la fonte d’ispirazione ma diventa piuttosto una sorta di tributo con il quale Moore omaggia l’opera originale che viene sempre rispettata e mai oscurata o ripudiata. Il risultato di tale operazione è un arricchimento delle tecniche narrative tradizionali nonché la generazione di una nuova modalità di narrativa – le cui fondamenta poggiano, però, su stilemi tradizionali – che deriva dalla natura de-costruttiva della scrittura di Moore. Attraverso la manipolazione di forme e formule antiquate, l’autore dà vita, di fatti, a una riflessione critica su aspetti essenziali – sociali politici e culturali – della nostra esistenza.

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Per Moore, l’importanza di una piena comprensione delle formule narrative della precedente tradizione è funzionale a una migliore comprensione del proprio presente, grazie a una piena consapevolezza del proprio passato. Sotto questo aspetto, Moore condivide l’idea di Eliot secondo cui solo il possesso di un’adeguata prospettiva storica permetterebbe all’uomo di assumere piena coscienza della propria contemporaneità. L’infinita serie di relazioni possibili che esistono tra il passato e il presente è una perfetta rappresentazione della natura univoca della letteratura, capace di co-esistere in epoche e culture distinte in base all’idea per cui “eveything is connected”.

Nonostante sia meno evidente rispetto a lavori quali Miracleman o Watchmen, il ricorrente uso di espedienti intertestuali rende V for Vendetta un’opera fortemente dinamica con continui rimandi non solo al canone letterario o alla tradizione classica del fumetto ma anche alla cultura popolare, con citazioni provenienti dal mondo della musica, dell’arte figurativa e del cinema.
Il personaggio di Evey Hammond è un primo esempio della dissimilarità decostruttiva che caratterizza l’intera opera. Il ruolo della ragazza ricorda chiaramente al lettore la figura del giovane aiutante dell’eroe principale, elemento tipico della letteratura a fumetti classica. Tuttavia, il fatto che Moore scelga un’aiutante donna costituisce certamente un fattore di novità, assolutamente non casuale, dato che la femminilità di Evey si carica di un forte simbolismo in tutta l’opera.
La reinterpretazione intertestuale che Moore adotta in V for Vendetta, inoltre, è perfettamente sintetizzata già nella sola figura del protagonista, V, che vuol essere un supereroe ma che nulla, o quasi, ha che vedere con il supereroe classico. Tanto la sua caratterizzazione fisica (l’oscuro costume da Guy Fawkes), quanto la natura stessa della sua lotta contro i “cattivi” (V non protegge lo stato dal mostro di turno ma piuttosto difende i cittadini dal mostruoso regime che li governa), stridono fortemente con gli stilemi tradizionali e consolidati del mondo del fumetto.

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V non assomiglia per niente al supereroe tradizionale, che resta passivo e nell’ombra e che interviene solo in caso di pericolo. Al contrario, capovolgendo i ruoli classici, V assume il compito di sovvertire e non preservare lo status quo, ponendo al centro del suo operato il cambiamento e non il mantenimento della situazione pre-esistente. Un supereroe atipico, dunque, che mira a distruggere una società che racchiude il male in se stessa piuttosto che a difenderla da pericoli e minacce esterni.
Come già accennato, anche la connotazione fisica di V è lontana anni luce dal tipico abbigliamento del supereroe e rifugge le classiche tutine aderenti alla Superman, corredato dalle iniziali dell’eroe. Sia Moore che Lloyd intendono infatti evitare di ricadere in un simile cliché, disegnando per V un travestimento molto più austero, fatto solo di un mantello nero, un cilindro e una maschera da Guy Fawkes, che basta indossare per dar vita alla “trasformazione” – senza dover ricorrere a formule magiche.
Inoltre, seppur estremamente abile e intelligente, e dunque connotato da due qualità da sempre associate supereroi, V non possiede doti sovrannaturali e ancor meno superpoteri; sembra, quindi, essere più un comunissimo membro della razza umana piuttosto che appartenere alla folta schiera di paladini coraggiosi, in lotta per far trionfare la giustizia. Proprio come accade in Watchmen, l’eroe assume una connotazione ben più umana e realistica.
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Un secondo, e per certi versi, ovvio riferimento intertestuale connesso alla figura di V è Guy Fawkes, uno dei tredici cospiratori che presero parte, nel 1605, alla congiura contro il sovrano James I, denominata Gunpowder Plot e organizzata da Robert Catesby, leader del movimento cattolico. Nella graphic novel, V tenta, secoli dopo, di portare a termine il tentativo di far esplodere il Parlamento, in passato sventato all’ultimo minuto dalle guardie del re. Il parallelismo tra la figura storica di Guy Fawkes e quella fantastica di V è certamente innegabile. Non che gli indizi disseminati da Moore fin dalle prime pagine dell’opera non siano chiari: il giorno scelto da V come inizio del suo attacco contro la dittatura di Fate, la modalità tramite cui V sceglie di dar vita alla sua ouverture e, palesemente, il travestimento adottato dal nostro supereroe, una maschera in cartapesta che riproduce le fattezze di Fawkes.
Moore mette in piedi, in tal modo, un’intricata rete di connessioni i cui significati profondi si scagliano ben al di là del mero livello testuale-narrativo. Partendo da un’idea inizialmente avanzata da , l’autore sviluppa il concetto in modo da inglobare alla perfezione i temi della ribellione e della messa in discussione del potere stabilito che permeano l’intero lavoro. Anche il parallelismo con Guy Fawkes si dimostra essere, ancora una volta, uno splendido esempio del decostruttivismo di Moore: l’autore, infatti, modifica l’interpretazione tradizionale della figura di Guy Fawkes che da traditore della patria, come viene comunemente ricordato nei libri di storia, si trasforma in figura salvifica ed eroe. Tramite un ironico capovolgimento della storia ufficiale –V/Guy Fawkes riesce alla fine a far esplodere il Parlamento – il nostro autore sembra suggerire che non è il fallimento della ribellione, e pertanto la vittoria del Potere, che deve essere ricordato ma, piuttosto, la ribellione stessa, in quanto simbolo di libertà.

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Oltre all’insolito aiutante, Evey, e alla stessa emblematica figura di V, un ulteriore simbolo della tecnica di decostruzione mooriana è la Shadow Gallery. Esattamente come Batman o Iron Man, V possiede un nascondiglio segreto ma, anche in questo caso, il posto misterioso dove V colleziona e preserva dall’oblio tutte quelle manifestazioni artistiche dell’uomo che il regime ha tentato di reprimere ed eliminare è ben più che un futuristico garage finalizzato a custodire i gioiellini tecnologici o le armi segrete del supereroe. La Shadow Gallery è, difatti, un chiaro esempio di quell’intricata rete di connessioni intertestuali che percorrono l’intera opera e nella quale si esplicita il continuo riferimento, sia verbale sia visivo, a opere della passata tradizione letteraria, da Faust a More, da Fleming a Dante. I riferimenti intertestuali di V però, come già ricordato, non si esauriscono alla mera tradizione letteraria ma attingono anche alla cultura popolare e inglobano distinte forme di espressione artistica, dalle arti visive – il cinema e la pittura – alla musica – sia essa classica, pop o rock.
Fin dalla sua prima apparizione nelle pagine iniziali della graphic novel, la Galleria, stipata di libri e opere d’arte, appare cromaticamente in contrasto con il regime: le tavole in fondo alla pagina che ne ospitano la rappresentazione, infatti, mostrano sfumature calde e chiare di colori quali il rosa e il giallo che vanno a scontrarsi con il grigiore e l’oscurità delle tavole in alto, dove il regime viene disegnato in tutta la sua mestizia.
Osservando attentamente, è facile scorgere nella collezione di V opere ben riconoscibili al lettore: Utopia di More, che descrive una società ugualitaria e libera, chiaramente opposta al regime dittatoriale del Norse Fire o La Capanna dello Zio Tom di Stowe, una storia contro la schiavitù dei neri d’America che si scontra con il sistema repressivo attuato dal regime nei confronti delle persone di colore. Qualche pagina dopo, è possibile scorgere altri volumi ancora: da Frankenstein ai Viaggi di Gulliver, passando per il Faust e Don Chisciotte, assieme a svariate opere di Shakespeare e alla Divina Commedia del nostro Dante. Poco più in là, il Dottor No e Dalla Russia con amore di Fleming: Dante e 007 a braccetto!
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I muri della Galleria sono poi tappezzati da numerose locandine: I delitti della Rue Morgue, Il figlio di Frankenstein, Klondike Annie e Monkey Business per citarne alcuni. Il simbolismo implicito nascosto dietro questi riferimenti cinematografici è chiaro giacché la maggior parte delle opere sopracitate sono film dell’orrore con cui la graphic novel condivide l’atmosfera dark e inquietante nonché la presenza di protagonisti che sono solitamente figure reiette e non convenzionali, proprio come V. Le locandine, inoltre, assieme ai vari dipinti rinascimentali custoditi nella Galleria, provano che la tecnica intertestuale di Moore gioca su due livelli: non solo quello testuale – ma anche quello grafico-visivo.
Tra le citazioni musicali vanno elencate Simpathy for the Devil dei Rolling Stones e I’m Waiting for the man di Lou Reed. La tradizione del cabaret e del Music Hall ripercorre invece tutto il secondo libro, dal titolo The Vicious Cabaret mentre riferimenti impliciti alla musica classica sono disseminati in tutta l’opera.
Di particolare rilievo, l’omaggio che Moore rende a Shakespeare attraverso continue citazioni tratte dalle opere del grande bardo inglese. Ancora una volta, l’autore riesce a creare nuove e inedite interpretazioni di classici letterari, estrapolandone i versi e immergendoli in un contesto del tutto inusuale e originale. Il risultato è una forte decontestualizzazione dell’opera che provoca un effetto di straniamento e di messa in discussione dell’intero universo letterario.
Nelle pagine iniziali del testo, ad esempio, V recita un passo tratto da Macbeth, Atto I, scena 2, ma, in un mondo in cui il passato culturale è stato cancellato dal regime, nessuno è in grado di riconoscere la citazione di V, motivo per cui il poliziotto lo bolla come una specie di ritardato scappato da un ospedale.
Più nel dettaglio, i versi di Macbeth citati nelle pagine iniziali della graphic novel, sembrano suggerire una implicita connessione tra la pazzia di quest’ultimo e l’atteggiamento folle in cui spesso ricade il fervore ideologico di V. Si pensi alle tavole che mostrano V che, dall’alto di un tetto, contempla estasiato la distruzione di alcuni edifici chiave simbolo del potere del regime, dirigendone la stessa demolizione con una bacchetta, a mò di direttore d’orchestra.
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Tali movenze quasi “teatrali” sembrano suggerire che V, in realtà, non fa che recitare tutto il tempo. La vita, in fondo, non è altro che un “melodramma” proprio come confermano le parole “all the world is a stage” tratte da “As You Like It” che V pronuncia mentre indossa il travestimento da cabaret per lo spettacolo di vaudeville che di lì a poco andrà a inscenare per Mr. Prothero, la voce del supercomputer Fate.
Il tema del teatro è ricorrente nelle azioni e nella persona di V. Tanto il suo abbigliamento quanto la frequente messa in scena di situazioni drammatiche posticce – si pensi alla finta prigionia di Evey nel campo di concentramento di Larkille – potrebbero alludere alla falsità e ipocrisia del mondo moderno: Moore sembra indicare in questo modo che lo sconsiderato abuso di potere assieme all’alienante processo di “lavaggio del cervello” messo in atto dai media creano una distorsione del mondo tale da rendere impossibile la distinzione tra realtà e finzione. Inoltre, l’attitudine “teatrale” di V e la ricostruzione delle magiche atmosfere degli anni ’30 stridono con il piglio realistico del testo e delle illustrazioni, ulteriore indizio dell’intricata pantomima messa in atto da V, finto supereroe. Egli, infatti, non è altro che un attore, i cui trucchi verranno svelati dal detective Finch che, alla fine, riuscirà a scoprire e a localizzare il nascondiglio di V nel mondo “reale”.

v for vendetta II
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Il fatto, poi, che V utilizzi spesso il pentametro giambico, verso tipico del teatro shakespeariano, è stato interpretato, come già suggerito da Di Liddo, quale elemento critico nei confronti dell’odierno utilizzo del linguaggio di Shakespeare, spesso adoperato in modo improprio nonché una critica alla condizione di decadenza in cui versa attualmente la lingua moderna, ormai priva di significati pregnanti e caratterizzata dall’assenza di poesia. Il blank verse, inoltre, era il metro tipicamente adoperato nelle opere teatrali conosciute come “revenge plays”, i drammi della vendetta, che è anche, e non a caso, il tema centrale della graphic novel di Moore.

La tecnica di ri-elaborazione delle fonti culturali e letterarie appare, dunque, una delle tecniche più efficaci tramite cui Moore svecchia e rinnova il mezzo fumettistico. Tramite allusioni, citazioni e parodie, l’autore costruisce una fitta reti di riferimenti testuali e non testuali, un labirinto intertestuale, vera e propria sfida anche per il lettore più attento che, come Evey, continuerà a chiedersi: “It is, isnt’it? It’s another bloody quote!2


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