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Valerio Fioravanti

Da Maurizio Lorenzi

Per la rubrica, misteri italiani, oggi parliamo di Valerio Fioravanti. Tratto da Wikipedia, l’enciclopedia libera.

Giuseppe Valerio Fioravanti detto Giusva (Rovereto, 28 marzo 1958) è un ex terrorista italiano, esponente del gruppo eversivo d’ispirazione neofascista Nuclei Armati Rivoluzionari.

Dopo una breve carriera di attore iniziò la militanza politica nel Movimento Sociale Italiano e, intorno alla metà degli anni settanta, decise di abbracciare la lotta armata fondando i NAR, sodalizio con cui sarà protagonista di una stagione di violenze terminata solo con il suo arresto, avvenuto a Padova, il 5 febbraio del 1981. Processato e riconosciuto colpevole di diversi reati e dell’omicidio di 93 persone, venne condannato, complessivamente, a 8 ergastoli, 134 anni e 8 mesi di reclusione. Dopo 26 anni scontati dietro le sbarre, nell’aprile del 2009, è tornato ad essere un uomo libero. Durante il periodo della lotta armata era soprannominato il Tenente.

Dal 1985 è sposato con l’ex terrorista Francesca Mambro[3], sua compagna sin dagli anni settanta e da cui, nel 2001, ha avuto anche una figlia (Arianna).

Biografia. Nato nel 1958 a Rovereto, ma cresciuto a Roma nel quartiere Monteverde, Giuseppe Valerio detto Giusva, è il primogenito di tre figli dei coniugi Fioravanti: Mario, un’ex annunciatore della Rai e prima ancora cabarettista e Ida, casalinga. Durante i suoi primi due anni di vita venne affidato ai nonni materni che lo crescono fino alla nascita dei suoi due fratelli gemelli, Cristiano e Cristina, nati nel 1960.

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L’attore-bambino. Bambino intelligente e studente sveglio ed educato, sin da piccolo, il padre lo introduce nell’ambiente televisivo e cinematografico con l’obiettivo di tentare la carriera attoriale. Esordisce sul grande schermo nel 1961, quando venne scelto per recitare un piccolo ruolo da comparsa nell’episodio Le tentazioni del signor Antonio del film Boccaccio ’70, per la regia di Fellini. All’età di cinque anni venne poi ingaggiato, assieme al fratello Cristiano, per girare alcuni caroselli pubblicitari, ed è proprio in questa occasione che cominciarono a chiamarlo con il diminutivo di Giusva. Nel 1967 appare nello sceneggiato televisivo, prodotto dalla Rai, dal titolo La fiera della vanità, per la regia di Anton Giulio Majano.

Nel’1968, poi, raggiunse la popolarità interpretando il ruolo di Andrea, il figlio minore, in un’altra serie televisiva in onda su Rai 1: La famiglia Benvenuti. Diretta da Alfredo Giannetti e con protagonista Enrico Maria Salerno e Valeria Valeri, la serie narra le vicissitudini di un tipico nucleo familiare italiano appartenente alla media borghesia, alle prese con la vita di tutti i giorni. Grazie a questo ruolo, Giusva divenne, in breve, uno dei personaggi di maggior successo dell’allora televisione italiana.

« Il cinema servì a darmi fiducia perché sapevo fare qualcosa che i miei coetanei non sapevano fare, e la facevo bene…Però avrei molto preferito essere individuato dai coetanei per come giocavo a pallone, ma un tal tipo di celebrità avrebbe dato risultati diversi. Il cinema fu la mia palestra di autodifesa…imparai subito a riconoscere i buoni e i cattivi. Fu proprio per non incontrare ogni giorno cattivi diversi che abbandonai il cinema. »

Giusva prosegue poi la sua carriera di attore, lavorando in alcuni film spaghetti western come: Cjamango nel 1967, L’odio è il mio Dio e La taglia è tua… l’uomo l’ammazzo io, entrambi del 1969 e Shango, la pistola infallibile nel 1970 e, contemporaneamente alla sua attività nel cinema, venne iscritto al Liceo scientifico John Fitzgerald Kennedy di Roma (zona Trastevere). Intorno al 1972 iniziò la sua militanza politica nelle file del Movimento Sociale Italiano, spinto inizialmente non tanto dalla passione politica ma « per una condizione materna. Mio fratello Cristiano, più giovane di me, fin da quando aveva 12 anni concepì l’interesse per la politica e andava in giro ad attaccare i manifesti. Rientrava tardi a casa, mia madre era costernata e mi chiedeva di andarlo a cercare di qua e di là. Poi ci sono state delle violenze contro mio fratello e da queste ho tratto un senso di ingiustizia che mi ha spinto a fare come lui politica. Il mio primo atteggiamento fu di ritorsione. Era stata bruciata la macchina di mia madre e qualche altra macchina: le percosse che aveva ricevuto mio fratello le restituii ad altri. La cosa è andata avanti così per diversi anni crescendo man mano. Violenza ha chiamato violenza.»

Nel 1974, i genitori, preoccupati della sua incolumità, decisero di mandarlo negli Stati Uniti per un anno di studio a Portland, nell’Oregon. Sempre per volere paterno, rientra in Italia nel 1975 per interpretare il ruolo da protagonista nella parte di un timido adolescente, in un nuovo film, intitolato Grazie… nonna, una commedia erotica all’italiana diretta da Marino Girolami e con interpreti Edwige Fenech, Gianfranco D’Angelo ed Enrico Simonetti. Terminate le riprese Giusva partì nuovamente per gli Stati Uniti dove rimase fino all’estate del 1975, per poi rientrare definitivamente a Roma.

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L’inizio della militanza. Tornato in Italia, con l’obiettivo di iscriversi poi all’università, Valerio decise di recuperare l’ultimo anno di superiori all’Istituto Paritario Federigo Tozzi, nella zona di Monteverde dove fa la conoscenza di un giovane militante missino, Franco Anselmi. Attraverso la sua frequentazione e, anche per seguire da vicino i movimenti del fratello Cristiano, iniziò a passare sempre più tempo nella locale sezione del Movimento Sociale Italiano dove, tra i tanti camerati, Valerio fa la conoscenza di Alessandro Alibrandi, figlio del giudice istruttore del Tribunale di Roma Antonio Alibrandi.

Assieme ad altri militanti, i fratelli Fioravanti, Anselmi e Alibrandi iniziano una guerra di bande contro i militanti di sinistra fatta di piccoli e grandi episodi di violenza nei cortei e nelle strade, per il controllo del territorio. La politica sempre più conservatrice dell’apparato dell’ MSI li portò, poi, assieme ad una parte del movimento giovanile neofascista, verso posizioni di non più conciliabili nei confronti del partito di Almirante e verso una politica maggiormente interventista che li avrebbe spinti, di li a poco, ad abbracciare la lotta armata.

Nel 1977, Valerio viene arrestato per il possesso di una pistola calibro 38 special non denunciata, e finisce in carcere per quaranta giorni. Sempre in quell’anno partecipa ad un’azione di devastazione del cinema romano Rouge et Noir, dove si proietta il film Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini. Arrestato per danneggiamento e violenza privata, venne trattenuto in cella per alcuni giorni, reo di aver lanciato un tubo innocenti contro un agente. Invece di iscriversi all’università, decise poi di abbandonare definitivamente gli studi per arruolarsi, nell’aprile del 1977, nell’Esercito, frequentando la Scuola di Fanteria di Cesano, per poi essere assegnato alla SMIPAR, la Scuola Militare di Paracadutismo di Pisa.[15] Nei quattro mesi di permanenza a Pisa, tuttavia, si rivela estremamente insofferente alla disciplina militare, colleziona diverse punizioni e viene infine inviato in Friuli, presso la Brigata Mameli di Spilimbergo. Una sera, mentre è di guardia alla polveriera, assieme all’amico Alibrandi venuto appositamente da Roma, sottrae due casse contenenti complessivamente 144 bombe a mano del tipo SRCM che, nasconde all’esterno dell’edificio. Una di queste venne poi recuperata, il giorno dopo, da Alibrandi; l’altra, venne invece ritrovata dai militari. Il furto verrà in seguito scoperto e Fioravanti verrà quindi condannato dal Tribunale militare di Padova, con sentenza del 14 giugno 1979, a otto mesi di reclusione. Le bombe arriveranno poi a Roma, dove verranno utilizzate sia dai NAR, che dalla criminalità comune: una verrà infatti trovata addosso ad un esponente della Banda della Magliana.

Ad ottobre del 1978, Giusva lascia il carcere militare di Peschiera dov’era stato recluso per l’ennesima volta agli arresti disciplinari per abbandono del posto e dismette definitivamente la divisa.

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La lotta armata con i NAR. « A me personalmente dava fastidio che non potevamo fare gli scontri con la polizia dalla parte nostra, oppure che la magistratura ci copriva. Era risaputo che i giovani di destra erano figli di papà che rispettavano la legge, che non andavano contro e io volevo uscire da quegli schemi. »

Il gruppo originario dei NAR nasce verso la fine del 1977 attorno alla sede del Movimento Sociale Italiano di Monteverde e comprende: Valerio, suo fratello Cristiano, Franco Anselmi, Alessandro Alibrandi. Subito a ridosso delle prime azioni, si unì a loro anche Francesca Mambro, una militante neofascista frequentatrice della sede romana del FUAN di via Siena (nel quartiere Nomentano), che da lì a breve, diverrà la sua fidanzata (e poi la moglie).  « Ci siamo incrociati da bambini, io avevo 9 anni e lei 8. La scena iniziale della Famiglia Benvenuti, uno sceneggiato televisivo degli anni Sessanta, è stata girata alle case popolari, dove viveva Francesca… Volevo fare l’attore, alla fine ho fatto altro. Con Francesca ci siamo conosciuti lì, poi ci siamo incontrati a 15 anni in giro per le sezioni. Non è stato un colpo di fulmine ma un grande amore aiutato da una grande figlia e da una vita tribolata che rinsalda gli affetti.»

Il loro rapporto divenne più confidenziale alla fine del 1979: “Lui, già latitante, la va a trovare nell’ospedale dove è ricoverata per un’operazione, poi iniziano a incontrarsi in un giardino vicino alla casa dove lei lavora come baby sitter. Non ci vuole molto perché un’attrazione reciproca già di lunga data, coniugata a un’affinità politica che secondo Francesca è determinante quanto l’attrazione stessa, li faccia mettere assieme. Ed è altrettanto ovvio che a compiere il primo passo sia l’impetuosa ragazza.”

Le prime azioni del gruppo furono alcuni attentati a colpi di molotov contro sedi di giornali della capitale: il 30 dicembre del 1977 in via dei Serviti, contro Il Messaggero e il 4 gennaio 1979 alla redazione del Corriere della Sera.  Il 28 febbraio 1978, per celebrare il terzo anniversario della morte di Miki Mantakas (giovane militante del FUAN assassinato durante una manifestazione), il gruppo compie invece il suo primo omicidio. A bordo di tre auto, i due fratelli Fioravanti, Franco Anselmi, Alessandro Alibrandi, Dario Pedretti, Francesco Bianco, Paolo Cordaro e Massimo Rodolfo raggiungono piazza Don Bosco, nei pressi del quartiere Cinecittà, dove tendono un agguato ad un piccolo un gruppo di militanti comunisti. Roberto Scialabba, un operaio elettricista, viene raggiunto da Valerio che lo colpisce a morte da distanza ravvicinata.

Il 6 marzo 1978 con il fratello, Franco Anselmi, Alessandro Alibrandi e Francesco Bianco alla guida dell’auto da utilizzare per la fuga rapina l’armeria dei fratelli Centofanti nella zona di Monteverde a Roma. Durante la fuga, però, Anselmi si attarda all’interno dell’armeria e viene colpito a morte alla schiena dal proprietario dell’armeria. Anselmi divenne poi una sorta di eroe-martire per il resto del gruppo che celebreranno la sua morte con altre rapine ad armerie e firmando i colpi con la sigla Gruppo di fuoco Franco Anselmi.

Il 9 gennaio 1979 Fioravanti, insieme ad Alessandro Pucci e Dario Pedretti (e con altre 5 persone di copertura), assalta la sede romana di Radio Città Futura, dove è in corso una trasmissione gestita da un gruppo femminista. Il gruppo appicca il fuoco ai locali della radio e spara colpi di mitra contro quattro ragazze che rimangono ferite.

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Il 16 giugno del 1979 guida l’assalto alla sezione del PCI dell’Esquilino, a Roma, dove si tiene un’assemblea congiunta del quartiere e dei ferrovieri, con oltre cinquanta persone presenti. A seguito del lancio di due bombe a mano, nonché svariati colpi di arma da fuoco, rimangono ferite venticinque persone. Nonostante una sentenza passata in giudicato lo accusi di aver guidato il commando, Fioravanti ha sempre negato questo addebito.

Verso la fine del 1979, Valerio fa la conoscenza con Gilberto Cavallini, neofascista milanese gravitante nell’orbita ordinovista di Massimiliano Fachini che, proprio in quei mesi viaggia spesso tra il Veneto e Roma per riciclare dell’oro rapinato da Egidio Giuliani. Il primo incontro tra i due avviene l’11 dicembre del 1979, in occasione di una rapina, consumata a Tivoli ai danni dell’Oreficeria D’Amore, e a cui partecipano anche Sergio Calore e Bruno Mariani.

Il 17 dicembre 1979, un gruppo congiunto di militanti di Terza Posizione e dei NAR formato da Sergio Calore, Antonio d’Inzillo, Bruno Mariani e Antonio Proietti tende un agguato nei confronti dell’avvocato Giorgio Arcangeli, ritenuto responsabile della cattura del leader neofascista Pierluigi Concutelli. Fioravanti non ha mai visto la vittima e ne conosce solo una sommaria descrizione e così a morire sarà il giovane Antonio Leandri, vittima di uno scambio di persona. Subito dopo l’omicidio Leandri, Vale­rio incontra nuovamente Gilberto Cavallini, conosciuto solo qualche settimana prima e che lo porta con sé in Veneto per sfuggire alle forze dell’ordine, ospitandolo nella casa dove vive con la sua ragazza, Flavia Sbroiavacca.

Il 6 febbraio 1980 Fioravanti e Giorgio Vale uccidono il poliziotto diciannovenne Maurizio Arnesano. Lo scopo dell’omicidio è quello di disarmarlo ed impadronirsi del suo mitra. «La mattina dell’omicidio Arnesano, Valerio mi disse che un poliziotto gli avrebbe dato un mitra» dichiarerà poi il fratello Cristiano, interrogato dal sostituto procuratore di Roma, il 13 aprile 1981 «io, incredulo, chiesi a che prezzo ed egli mi rispose: “Gratuitamente”. Fece un sorriso ed io capii».

Il 30 marzo 1980 Fioravanti, Cavallini e la Mambro assaltano il distretto militare di via Cesarotti a Padova. Un sergente viene ferito e vengono rubati 4 mitragliatrici MG 42/59, 5 fucili automatici, pistole e cartucce. Sul muro della caserma, prima di andarsene, Francesca Mambro firma la rapina con la sigla BR per depistare le indagini.

Il 28 maggio 1980 partecipa all’uccisione dell’appuntato di Polizia Francesco Evangelista (detto Serpico), davanti al Liceo classico statale Giulio Cesare. Valerio, Francesca Mambro, Giorgio Vale e Luigi Ciavardini, con Gilberto Cavallini, Mario Rossi e Gabriele De Francisci di copertura, quel giorno hanno l’obiettivo di disarmare degli agenti e di schiaffeggiarli, in modo da ridicolizzare la crescente militarizzazione del territorio da parte delle forze dell’ordine, ma la reazione dei poliziotti, in servizio di vigilanza davanti al liceo, scatenò un conflitto a fuoco conclusosi con l’uccisione di Evangelista ed il ferimento di altri due agenti.

Il 23 giugno i NAR (Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini) assassinano a Roma il sostituto procuratore Mario Amato[30] che aveva ereditato i fascicoli d’indagine deal giudice Vittorio Occorsio e da due anni conduceva le principali inchieste sui movimenti eversivi di destra. Poco tempo prima di essere assassinato aveva chiesto l’uso di un’auto blindata che gli era stata negata. All’indomani dell’omicidio i NAR rivendicarono l’omicidio con un volantino recapitato ai principali quotidiani: «Oggi 23 giugno 1980 alle ore 8.05, abbiamo eseguito la sentenza di morte emanata contro il sostituto procuratore Mario Amato, per le cui mani passavano tutti i processi a carico dei camerati. Oggi egli ha chiuso la sua squallida esistenza imbottito di piombo. Altri, ancora, pagheranno». Amato aveva annunciato che le sue indagini lo stavano portando «alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori degli atti criminosi». Nel processo che verrà poi celebrato, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro (come mandanti) e Gilberto Cavallini (come esecutore materiale) verranno ritenuti responsabili per questo omicidio.

Il 9 settembre 1980, Valerio e Cristiano Fioravanti, Vale, Mambro e Dario Mariani, uccidono Francesco Mangiameli, dirigente di Terza Posizione in Sicilia, accusato di aver sottratto agli stessi NAR i soldi destinati ad organizzare l’evasione del terrorista nero Pierluigi Concutelli.

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La strage di Bologna. Il 2 agosto 1980 alle ore 10.25, nella sala d’aspetto di 2ª Classe della Stazione di Bologna Centrale, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, esplode uccidendo ottantacinque persone e ferendone oltre duecento. Il 26 agosto dello stesso anno la Procura della Repubblica di Bologna emette ventotto ordini di cattura nei confronti di altrettanti militanti di gruppi di estrema destra, tra cui Valerio Fioravanti.

Lentamente e con fatica, attraverso una complicata e discussa vicenda politica e giudiziaria, e grazie alla spinta civile dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 si giunge ad una sentenza definitiva: il 23 novembre 1995 Fioravanti è condannato dalla Corte di cassazione all’ergastolo con l’accusa di essere l’esecutore materiale della strage, insieme a Francesca Mambro e Luigi Ciavardini.  Fioravanti, Mambro e Ciavardini, anche dopo la condanna in Cassazione, hanno sempre negato di essere coinvolti nella strage: i tre hanno sempre affermato di trovarsi effettivamente insieme quel giorno, ma a Padova, non a Bologna.  Di Valerio Fioravanti e della Strage di Bologna si parla nella canzone Sensibile degli Offlaga Disco Pax, contenuta nell’album Bachelite uscito del 2008.

L’arresto e le condanne. Il 5 febbraio 1981 Valerio, insieme ad altri militanti NAR (il fratello Cristiano, Francesca Mambro, Gigi Cavallini, Giorgio Vale e Gabriele De Francisci) stanno tentando di ripescare un borsone di armi precedentemente affidate da Cavallini ad un malavitoso comune e poi nascoste da quest’ultimo nel canale Scaricatore, alla periferia di Padova.[35] Durante l’operazione, però, il gruppo venne scoperto da una pattuglia di carabinieri. Ne nasce un violento conflitto a fuoco al termine del quale Valerio, simulando la resa e approfittando di una distrazione del milite, spara uccidendo due agenti: Enea Codotto di 25 anni e Luigi Maronese di 23 anni. Prima di essere uccisi, i carabinieri, riescono a colpire lo stesso Fioravanti, il quale, gravemente ferito ad entrambe le gambe, verrà riportato dal resto del gruppo nell’appartamento usato come base e, poco dopo, arrestato.

Venne quindi processato per diversi reati quali: furto e rapina, violazione di domicilio, sequestro di persona, detenzione illegale di armi, detenzione di stupefacenti, ricettazione, violenza privata, falso, associazione a delinquere, lesioni personali, tentata evasione, banda armata, danneggiamento, tentato omicidio, incendio, sostituzione di persona, strage, calunnia, attentato per finalità terroristiche e di eversione

Dopo sei sentenze della Corte d’Assise d’Appello venne condannato, complessivamente, a 8 ergastoli, 134 anni e 8 mesi di reclusione.

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La pena. Dopo 18 anni di continuata detenzione, nel luglio del 1999, fruisce del regime di semilibertà per il lavoro esterno, presso l’associazione Nessuno tocchi Caino, con obbligo di rientro serale in cella.  Nel mese di aprile del 2009, dopo 26 scontati dietro le sbarre e a cinque anni dal conseguimento della libertà vigilata, è tornato ad essere un uomo libero la cui pena è considerata definitivamente estinta. Gennaro Mokbel, faccendiere romano al centro dell’inchiesta su un maxi-riciclaggio, sostenne di aver contribuito, anche economicamente, alla libertà di Fioravanti,[40] ma quest’ultimo ha sempre negato l’interessamento dell’uomo.

Nel 1997, assieme allo scrittore Pablo Echaurren e all’attrice Francesca D’Aloja ha scritto un film-documentario sul carcere intitolato Piccoli ergastoli e presentato nella sezione “Eventi speciali” del Festival di Venezia quello stesso anno.[42] In occasione della prima proiezione del film, Fioravanti e la Mambro, hanno goduto di un permesso premio di 10 giorni.   Attualmente collabora con Nessuno tocchi Caino, l’associazione contro la pena di morte legata al Partito radicale.


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