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“Valperga”– Mary Shelley IV

Creato il 19 novembre 2011 da Marvigar4

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Mary Shelley (1797-1851)

VALPERGA

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La vita e le avventure di Castruccio, Principe di Lucca

Traduzione integrale di Marco Vignolo Gargini dall’originale in inglese Valperga; or the Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca

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Capitolo 4

Castruccio in Inghilterra.

   Castruccio passò molti giorni con il suo amico a Venezia. Guinigi e Atawel erano sempre insieme e Castruccio fu introdotto ai più alti livelli della società dei nobili veneziani. Essendo stato per un anno in compagnia fissa di Guinigi, il contrasto tra lui e questi uomini lo colpì molto. La mente dell’esule filosofo era piena di saggezza naturale, di libertà dal pregiudizio e di vivacità di pensiero, che si addiceva all’entusiasmo, correggendo le visioni limitate di Castruccio. Ma questi nobili erano intrisi di spirito di parte e di una smania mai sopita di arricchire per prima cosa se stessi e poi la loro città natale, in opposizione al resto del mondo. Loro si consideravano il centro dell’universo e gli uomini e le nazioni nascevano e perivano solo per loro. Come Galileo fu perseguitato per avere affermato che la terra girava intorno al sole, dimostrando in tal modo la relativa insignificanza del nostro globo, così essi avrebbero perseguitato con odio eccessivo chiunque gli avesse fatto notare la loro vera condizione sociale in rapporto ai loro simili. Non correvano pericoli ad ascoltare le sgradevoli verità di Guinigi: egli era ben contento di non essere ingannato dalle false ombre gettate dalla società, ma con quell’amenità che era la sua caratteristica, adattò i consigli alle idee degli altri, e a loro, che non avevano speranza di correggersi, concesse di cullare i propri sogni piacevoli.

   Castruccio fu presentato al doge e partecipò a tutti gli sfarzosi divertimenti di Venezia. Ma alla fine venne per lui il tempo di partire con Sir Ethelbert Atawel, e per Guinigi di tornare alla sua fattoria tra le colline. Fu doloroso per Atawel e Castruccio separarsi da questo gentile e valoroso amico. Prima di partire Guinigi parlò a lungo con Castruccio e gli raccomandò con veemenza, una volta giunti in Inghilterra, di mettersi totalmente sotto la guida di Atawel: «Ti troverai in uno strano paese che ha usanze e abitudini a te sconosciute, tanto che senza una guida avresti difficoltà a muoverti nella giusta direzione. Mio caro Castruccio, solo Dio sa che ne sarà della tua fortuna, ma tuo padre ti ha affidato alle mie cure, e io sento la più profonda apprensione perché tu viva sotto buoni auspici e gioisca, almeno con un piacere sano, gli anni della tua speranza giovanile. Sii nei riguardi d’Atawel come sei stato con me. L’ingegno innato del tuo carattere saprà scoprire qual è per te il giusto mezzo che combina l’ossequio grazioso della giovinezza con quella autonomia che è il diritto di nascita più caro all’uomo. Atawel è cortese e senza pretese: tu devi seguire i suoi consigli, e la sua saggezza ti sarà offerta al meglio quando vorrai consultarla.»

   Si separarono: Atawel e Castruccio partirono con un piccolo seguito verso Milano sulla loro strada per l’Inghilterra.

   Castruccio adesso si trovò con un compagno diverso da quello che aveva appena salutato con grande affetto. Atawel rispetto a Guinigi era più un uomo di mondo, non aveva il suo genio e la sua eccellenza superiore. Entrando nel cammino comune della vita, nondimeno era in grado di regolare la sua condotta con giusti principi e di guidare se stesso con un giudizio robusto e un coraggio saldo, però non era capace di battere nuove strade e diventare un girovago nella vita e nella moralità come Guinigi era stato. Aveva una gran sensibilità e un’affettività accesa, e le varie vicissitudini avevano convertito una serietà costituzionale in malinconia. Ciò nonostante per un po’ sgombrava il suo spirito dalle nubi che lo oscuravano, e s’occupava con interesse delle idee e aspettative di Castruccio.

   Insieme conversarono del cugino Alderigo, che a Londra era un ricco mercante e che con la sua rispettabilità e i suoi talenti aveva acquistato influenza perfino tra i nobili inglesi. Alderigo era stato conosciuto e amato da Edoardo I: a quei tempi i re non disdegnavano l’amicizia con persone la cui classe sociale di solito era esclusa dall’etichetta. Il mercante in ogni modo si era allontanato da ogni rapporto con la corte al momento dell’ascesa al trono d’Edoardo di Caernarvon, dato che i giochi infantili di questo monarca mal s’accordavano con l’indole di uno che era stato amico del suo virile padre. Quando i baroni d’Inghilterra protestarono con Edoardo e insistettero per l’esilio di Piers Gavaston, Alderigo tuttavia si fece avanti per persuadere il re a fare questo compromesso necessario.

   Anche Atawel era un nemico di Gavaston e, accennando al suo giovane compagno la situazione politica inglese, descrisse con sdegno il cambiamento dallo spirito assennato dell’ultimo re all’atteggiamento puerile e all’inattività apatica di suo figlio. Definì Gavaston come un uomo esperto in prodezze nell’attività fisica ma privo di giudizio e d’intraprendenza virile. Disse che era un vanaglorioso, un avido e un prodigo. Insolente verso i suoi superiori e i suoi pari, dispotico con gli inferiori, aveva la compiacenza di usare le arti della cortesia solo con il re, persino la regina non riuscì a ottenere da lui il rispetto dovuto al suo sesso e alla sua dignità. Era stato innalzato al rango e agli onori dal favore reale, ma si comportava con un’arroganza che non sarebbe stata tollerata da nessun nobile di quella terra. Non si accontentava di superare i suoi avversari nelle onorificenze, anzi riusciva ad aggiungere alla sua scostumatezza il sarcasmo e il ridicolo. I baroni cercarono di fare tutto il possibile per sopprimerlo: Edoardo cedette alla forza, però alla prima occasione utile richiamò il suo amico che, istruito dall’avversità, irritò di nuovo i suoi rivali con quella ostilità in cui era sicuro d’essere colpito.

   La vivace descrizione che Atawel fece dello scontento e agitazione dei baroni inglesi, sebbene provocasse sgomento in quei giorni tranquilli, divertì Castruccio, visto che gli offriva la speranza di aver trovato un palcoscenico adatto per poter iniziare la sua carriera. La perdita della Scozia a svantaggio dell’Inghilterra e l’apatia del re e del suo favorito lo indussero apertamente a simpatizzare per l’indignazione d’Atawel, e lo convinse di buon grado che l’insolenza dell’arrogante e indegno Gavaston richiedeva e giustificava le misure più rigorose per garantire la sua espulsione dal regno.

   Castruccio aveva diciotto anni. I suoi scambi d’idee con Guinigi gli avevano fornito una maturità di pensiero e una fermezza di giudizio che andava oltre i suoi anni, nello stesso tempo la vivacità del suo temperamento spesso lo faceva apparire avventato, e la giocosità del suo animo lo portava a ricercare con fervore gli svaghi comuni alla sua età. Era stato allevato come un giovane signore in tutte quelle qualità che si ritenevano essenziali per un gentiluomo: era esperto nell’equitazione e nell’uso delle armi, nella danza, e in altri esercizi tipici del suo paese. Il suo volto, di una bellezza non comune, esprimeva franchezza, benevolenza e fiducia: se si animava, i suoi occhi s’accendevano come il fuoco, se restava in silenzio, c’era una serietà profonda nella sua espressione che imponeva l’attenzione, assieme ad una modestia e una grazia che influenzava chiunque a suo favore. La sua figura snella ma dinamica non si muoveva mai senza manifestare una qualche nuova eleganza della persona, e la sua voce, dai timbri modulati che rapivano come la più dolce delle musiche, spingeva l’ascoltatore a provare affetto; la sua risata, come quella di un bambino, viva e gioiosa, non aveva niente del sogghigno del disprezzo, o dell’arroganza della superiorità. Aveva letto poco, ma aveva conversato con chi si era applicato profondamente agli studi, cosicché la sua conversazione e le sue maniere erano imbevute di quella raffinatezza e suprema dolcezza, tipiche di chi unisce l’esercizio della mente alle qualità esterne. Allegro, ambizioso e amabile, c’era poco orgoglio nella sua natura e nessuna insolenza, mentre non riusciva a sopportare d’essere oggetto di un’arroganza rivolta a lui o esercitata sugli altri.

   Questo era Castruccio quando agli inizi dell’anno 1309 sbarcò in Inghilterra. Gavaston era appena stato espulso da una congiura di nobili, che per un po’ avevano assunto il potere reale. Ma, invece di esiliarlo spogliandolo d’ogni bene com’era nel desiderio dei baroni, il re lo investì con il grado di luogotenente dell’Irlanda, per segnalare le sue vittorie contro i ribelli. Edoardo non riusciva a darsi pace senza il suo prediletto, ma, malinconico e irresoluto, attendeva un’occasione appropriata per richiamarlo, quando l’odio dei nobili si sarebbe in qualche modo attenuato.

   Alderigo accolse il suo giovane cugino con il più caloroso degli affetti e, si mise a completa disposizione per aiutare Castruccio con i suoi mezzi e la sua influenza a ottenere una posizione che potesse gratificare la sua ambizione. Atawel lo introdusse a corte e, se gli altezzosi baroni inglesi rivolsero un sorriso al bel giovane forestiero, Edoardo fu lieto di vedere qualcuno che, per il suo aspetto straniero e la raffinatezza dei suoi modi, gli riportava alla mente il suo favorito in esilio. Il re distinse Castruccio tra la folla, e il giovane, forse abbagliato dal favore regale, trasformò con facilità la sua influenza presso i baroni in affetto e pietà per il loro sovrano oppresso. Ai balli e ai tornei Castruccio spiccava tra la massa. Era troppo giovane per partecipare alle competizioni con i Lords inglesi, ma il modo di cavalcare, la sua graziosa persona, l’abilità nella danza e altre piccole cose, lo resero caro a Edoardo, che era incapace di simpatizzare con le esercitazioni rudi nelle quali i suoi baroni erano così gelosi della propria superiorità.

   Atawel e Alderigo videro con apprensione il favore che Castruccio aveva guadagnato presso il re: temevano la gelosia dei nobili, ma per fortuna questa passione non si accese in questa occasione. Al contrario erano piuttosto contenti che il re s’intrattenesse in compagnia di qualcuno la cui giovinezza e situazione precaria gli impedisse di far parte della lista dei loro rivali. L’italiano Castruccio, che dipendeva dalla generosità di un mercante del suo paese, che non gareggiava ai tornei, non era d’ostacolo e non comprendeva i loro numerosi progetti di incremento, fu liquidato con un sorriso altezzoso, che il giovane, considerandosi una vittima alla stregua del loro re oltraggiato, non considerò come una degradazione. Ma adesso sensazioni più profonde di simpatia gli offrivano altri sentimenti.

   Il gioco preferito da Edoardo era il tennis, nel quale, divenuto famoso in Italia con il nome di la Palla [1], Castruccio eccelleva. Un giorno, dopo essersi divertiti a questo gioco nei giardini reali, Edoardo, stremato, smise di giocare, si appoggiò al braccio di Castruccio e con lui fece due passi lungo i vialetti ombrosi. E qui per la prima volta aprì il suo cuore al nuovo amico: descrisse Gavaston come il più amabile e dotato cavaliere dell’epoca, si soffermò con toccante sincerità sul suo attaccamento per lui e sulla sua forzata separazione; spuntarono lacrime quando parlò della tristezza del suo cuore, privato della compagnia del suo primo, del suo solo e più caro degli amici, e le sue guance si coprirono d’indignazione nel raccontare l’arroganza dei nobili e la schiavitù alla quale era ridotto.

   Castruccio si commosse profondamente e il sentimento naturale di pietà, che gli ispirava lo spettacolo dell’asservimento di chi doveva avere in teoria un diritto divino per comandare, era accresciuto dall’idea di essere diventato il degno deposito dei dolori traboccanti del re. Castruccio offrì i suoi servizi in buona fede e Edoardo accettò volentieri le sue offerte. «Sì, mio caro amico» esclamò il re «la realizzazione delle mie più vive speranze spetterà a te. Sarai il mio salvatore; il salvatore del mio onore, e la causa della sola felicità che io posso avere sulla terra, il ritorno del mio amato Piers.»

   Così Edoardo rivelò a Castruccio i vari espedienti che aveva usato per pacificare i nobili e per ottenere la riammissione del suo amico. Egli ben sapeva di aver appena ricevuto dal papa un’esenzione dal giuramento di Gavaston di non mettere più piede in Inghilterra, e soltanto un messaggero fedele era necessario per portare queste informazioni al suo amico e comunicargli di fare immediatamente ritorno, affinché i baroni, presi alla sprovvista, non avessero il tempo di ordire nuovi sconvolgimenti, prima che il re potesse affrontare il peggio, sicuro della vita e della collocazione sociale del suo favorito. «Questo compito spetterà a te, mio caro Castruccio» affermò il re «e io ti sarò debitore per la gioia d’abbracciare ancora chi è legato a me dai vincoli di un’eterna amicizia. Inventa una scusa plausibile per lasciare l’Inghilterra e corri subito a Dublino, dove Piers aspetta con ansia un mio messaggero. Non sarai esposto al minimo rischio di sospetto da parte dei nobili. Io non ti consegnerò nessuna lettera, ma quest’anello, com’era stato pattuito tra me e il mio amico, farà ottenere a chi lo porta la sua piena confidenza e amicizia.»

   Castruccio prese congedo dal monarca e si precipitò alla casa d’Alderigo, pieno di orgoglio, speranza e gioia. Ora aveva fatto ingresso nella vita con i migliori auspici, proprio come si attendeva: era diventato confidente stretto di un re e suo segreto messaggero. Pensò che la prudenza, e la prudenza non gli sarebbe venuta meno, sarebbe stata la causa della sua ascesa ai gradi più alti. I suoi sentimenti non erano del tutto egoisti, perché provava una profonda pietà per Edoardo ed era davvero contento di servirlo, anche se compatire e servire un re era una condizione davvero piacevole. In accordo con il piano prudente si diede dei limiti ben precisi, rimase a casa del suo parente per parecchi giorni, appartato e lontano dagli amici di corte, e sempre assente dal palazzo. In occasione dell’arrivo d’alcune lettere dalla Francia, informò Atawel e Alderigo della necessità assoluta per lui di intraprendere un viaggio in quel paese. Addotte le più futili ragioni come motivo di questa decisione, i suoi amici intuirono facilmente il tentativo di ingannarli con falsi pretesti. Alderigo, dopo aver cercato invano di ottenere una confidenza, si accontentò di raccomandargli prudenza e cautela. Atawel parlò con più gravità e invitò il giovane a stare bene attento prima di mettersi in mezzo agli intrighi di una corte straniera dove, se fosse stato colto in flagrante, non avrebbe trovato alleati né amici in grado di evitargli la reazione furiosa dei suoi potenti avversari. E invitò ancora Castruccio a considerare l’opportunità della causa al servizio della quale si era messo, e quali sarebbero state le probabili conseguenze se, grazie a lui, Edoardo avesse ristabilito una corrispondenza con il suo amico prediletto. Il giovane ascoltò con apparente deferenza, ma non si lasciò scappare una parola che avrebbe fatto trapelare l’idea che il suo viaggio era ispirato da ragioni tutt’altro che private.

   Partì da Londra come se dovesse andare in Francia, ma ben presto, cambiando la rotta, attraversò il regno e, passando da Bristol a Cork, si diresse a Dublino e lì portò a Gavaston l’ordine gradito del re di tornare immediatamente in Inghilterra: l’anello che gli aveva dato Edoardo fu il passaporto immediato per l’amicizia dell’illustre esule.

   Piers Gavaston si trovava ancora nel fiore degli anni. Non era bello, tuttavia l’espressione dei suoi tratti era virile e accattivante: una persona gradevole, muscolosa e agile negli arti. Generalmente in società era cortese, nonostante una certa alterigia fosse diffusa nei suoi modi di fare, alterigia che impediva qualsiasi sentimento di confidenza più che dell’ammirazione. Tra i suoi amici quest’aria di superiorità gli procurò la più convincente cortesia e affabilità di contegno e, pur nel segno di un’insigne benevolenza, non mancò di legarli a lui con un vincolo stretto di gratitudine. Gavaston parlava molte lingue fluentemente, rivaleggiava con i più nobili cavalieri di Francia e superava di gran lunga gli inglesi in tutte le arti cavalleresche. La consapevolezza del proprio potere, che la sua destrezza gli ispirava, generava in lui un senso d’indipendenza e schiettezza negli atti che lo avrebbe reso amabile a tutti, non essendo macchiato di vanità e presunzione. Era elegante nell’abbigliarsi, amante delle parate e fiero della sua brillante fortuna, tutti questi considerati peccati gravi tra i nemici inglesi. Prestò molta attenzione e manifestò un grande affetto per Castruccio che, dopo esser stato commosso in precedenza dall’affabilità del re, fu conquistato completamente dalla cortese attenzione di Gavaston.

   Tornarono insieme in Inghilterra. Edoardo era giunto a Chester, per poter vedere il suo amico qualche giorno prima e gettarsi nelle sue braccia con lo slancio affettuoso che può avere un bambino al ritorno della madre assente.

   Un profondo legame d’amicizia si stabilì tra Gavaston e Castruccio. Piers non aveva imparato la moderazione dall’avversità, le ricchezze e la lussuria erano accresciute, e con loro la sua vanità e la sua insopportabile presunzione. Atawel provò invano a distogliere Castruccio dalla sua frequentazione, ma, se il comportamento di Gavaston fu arrogante nei confronti dei Lords inglesi, era tanto più affabile e insinuante verso Castruccio. Anche il re si era affezionato all’italiano e Castruccio, senza entrare nel merito, si lasciò catturare completamente dal personale attaccamento che aveva per Edoardo e Piers.

   Gavaston aveva ricchezze e rango e, sebbene fosse considerato un arricchito, tuttavia agli occhi dei nobili il possesso di questi beni gli dava importanza, ciò di cui Castruccio era del tutto privo. I nobili guardavano il ragazzo alla stessa stregua di un insetto che punge, la cui insignificanza non aggiunge nulla alla noia. Sopportavano l’arroganza di Gavaston con l’astio di chi sta meditando una vendetta futura, e accettavano il fastidio distante e più leggero che Castruccio infliggeva loro con l’impazienza che si prova di fronte ad un’ingiuria, seppur lieve, per la quale non si è minimamente pronti. E se Castruccio non dava in sé molti segni d’insolenza, tuttavia era sorretto da quella di Gavaston. I Lords capivano che, non potendo colpire subito e personalmente il favorito, però potevano ferirlo attraverso il suo amico italiano. L’ultimo non di rado veniva provocato ad abbandonare la sua usuale cortesia di fronte alla superbia e lo scherno dei suoi nemici e, se mai avesse osato rispondere, o quando Gavaston rispondeva per lui, i nobili provavano una collera che sapevano appena trattenere davanti a ciò che ritenevano un offesa così deplorevole. La malizia appena mostrata, prima manifestata leggermente, esplose un giorno con una virulenza che pose termine immediatamente alla visita di Castruccio in Inghilterra.

   Accompagnò il re, che con una carovana della più alta nobiltà si recò ad una gara di falconeria, a Chelsea. L’esercizio esaltò Castruccio e gli ispirò un entusiasmo che si sarebbe esaurito solo nell’allegria, se non ci fosse stata una lite che scoppiò tra lui e uno dei nobili e suscitò in lui una reazione furiosa incontrollabile. La contesa, riguardo alle traiettorie di volo dei rispettivi falchi, e inasprita dall’animosità personale, divenne sempre più accesa. Edoardo cercò inutilmente di placarli, ma quando, aizzato dai suoi compari, il nobile inglese stabilì d’aver vinto la gara, Castruccio rispose con un sarcasmo tale da irritare il suo antagonista, il quale, non più in grado di frenare la propria indignazione, si scagliò e colpì Castruccio. Il giovane impulsivo, gridando in italiano «Questi affronti vanno lavati col sangue e non con le parole!», sfilò il suo stiletto e con quello trafisse il petto dell’avversario. Immediatamente cento spade si sguainarono. Edoardo si mise subito davanti a lui per proteggerlo: Gavaston, Atawel e altri che gli volevano bene, lo trascinarono in fretta fuori della ressa, lo fecero montare a cavallo e senza un minuto da perdere lo portarono all’imbarcadero del fiume sotto la Torre, dove fortunatamente trovarono un vascello che stava per salpare alle volte dell’Olanda. Senza aspettare di vedere gli altri amici e di recarsi a casa d’Alderigo per prendere soldi e l’equipaggiamento, lo misero subito a bordo del vascello, che immediatamente levò l’ancora e partì con il favore del vento verso Nore.

   I baroni, resi furiosi dalla voglia di vendetta, avevano inviato degli arcieri alla casa d’Alderigo, il quale, non trovando Castruccio, fu catturato insieme ai suoi familiari e gettato in prigione. Allora in Inghilterra esisteva una legge, che se uno straniero uccideva un nativo e fuggiva, coloro con cui risiedeva diventavano automaticamente correi dell’omicidio. Alderigo si trovò quindi in imminente pericolo, ma Edoardo, come ultimo gesto d’amicizia nei confronti di Castruccio, salvò la vita e i beni del congiunto. E così, dopo un anno di permanenza nell’isola, il giovane fece naufragare tutte le speranze e le aspettative che aveva portato là con sé.



[1] In italiano nel testo



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