Magazine Cultura

“Valperga”– Mary Shelley XIII

Creato il 24 dicembre 2011 da Marvigar4

gioco medievale

Mary Shelley (1797-1851)

VALPERGA

o

La vita e le avventure di Castruccio, Principe di Lucca

Traduzione integrale di Marco Vignolo Gargini dall’originale in inglese Valperga; or the Life and Adventures of Castruccio, Prince of Lucca

|||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||

Capitolo 13

Eutanasia tiene corte.

   Avvicinandosi il giorno in cui Eutanasia stava per tenere corte, il castello si riempì della nobiltà, della ricchezza e della bellezza di Toscana e Lombardia. Eutanasia aveva davvero sperato di riunire pubblicamente le due fazioni che distoglievano l’Italia, però lei era talmente nota come guelfa che pochi ghibellini si presentarono, pur essendo attratti dal nome di Castruccio per entrare a far parte della sua scorta e compagnia. Arrivò per primo lo zio di Eutanasia, il signore Radolfo di Casaregi, un uomo anziano che però amava cingere il suo capo stempiato con un elmetto di ferro e mettere a prova la sua spada esperta con quelle esordienti dei figli dei suoi compagni in armi dei tempi passati. Poi giunse il marchese Marcello Malespino di Valdimagra, sua moglie e tre belle figlie, tutti accompagnati da tre fratelli della famiglia Bondelmonti di Firenze: questi reclamarono una parentela con la casa degli Adimari e quando, secondo le leggi del suo paese, Eutanasia fu obbligata a nominare un tutore del suo nubilato, lei scelse il più anziano, il conte Bondelmonte de’ Bondelmonti, come suo Mondualdo [1]. Questo rapporto diede origine ad un’amicizia sincera che, nonostante la differenza d’età fosse non trascurabile e lo stesso rispetto e ubbidienza non potessero mai essere sentite ed esercitate, tuttavia rappresentava in qualche modo per Eutanasia una supplenza dei suoi genitori morti. Subito dopo arrivarono i rappresentanti principali dei Pazzi, dei Donati, dei Visdomini, dei Gianfigliazzi e altre famiglie guelfe di Firenze: c’era Alberti conte di Capraia e tutta la numerosa truppa che rivendicava un vincolo con lui, e molti altri, sia Bianchi che Neri, sia guelfi che ghibellini, i cui nomi non c’è bisogno di nominare.

   Giunse una folla di Uomini di Corte, cantastorie, improvvisatori [2], musicisti, cantanti, attori, funamboli, giullari e buffoni. Il più distinto tra quelli di prima classe fu Guglielmo Borsiere, un uomo dai modi franchi e cortesi, di bello spirito e perspicacia. Aveva circa quarant’anni ma non aveva perso affatto la disposizione allegra della gioventù, e la sua indole magnanima e nobile lo faceva apprezzare di più rispetto agli uomini della sua classe. C’era Bergamino, più caustico di Borsiere, i cui discorsi insinuanti si facevano perdonare le parole taglienti: nessuno meglio di Bergamino sapeva come curare le ferite che la sua lingua causava. C’era Andreuccio, d’umore sarcastico e dai modi rozzi che s’attirava regolarmente l’ira dei nobili dal cui favore egli dipendeva. Così Andreuccio era spesso allontanato, in disgrazia e non richiesto dalle corti, dove i suoi pari erano ricchi sfondati e pieni di donazioni, mentre lui, a causa del suo aspetto squallido, a volte da straccione, e gli atteggiamenti stizzosi, se ne andava con il nome di Cane Mendicante [3]. Desiderava rivaleggiare con Borsiere e Bergamino, suoi amici leali, e cercava di sopperire alla mancanza dello spirito più delicato con frasi caustiche e commenti sprezzanti. C’era Ildone, un tipo sciocco, sempre ridente, il quale però cantava delle arie tristi con una voce così dolce e toccante che, se tu chiudevi gli occhi, avresti immaginato Santa Cecilia in persona scesa sulla terra per intonare celesti melodie.

   Guarino, l’Improvvisatore [4], chiudeva la lista dei distinti Uomini di Corte. Era richiesto in ogni corte in Lombardia per le qualità d’intrattenitore: i suoi racconti avevano il fuoco del genio e le delicate osservazioni di un amante della natura. Ma era roso dalla vanità e dall’invidia: detestava tutti quelli che erano ammirati, dalla bellezza principesca che attirava tutti gli sguardi al più modesto buffone di corte. Se era richiesto dai potenti era nello stesso modo evitato dai suoi pari e dagli inferiori: con i potenti usava una lingua seducente, discorsi vili e servili e un’adulazione sgraziata, con i suoi pari esprimeva odio e disprezzo e opprimeva gli inferiori col pugno di ferro. Ma tutt’e tre le classi forse temevano ugualmente le sue maldicenze e il suo odio verso tutto ciò che era buono. Guarino non possedeva arte, genio, menzogna che sminuissero il merito, pur invasato o umile, ed era così pieno di raggiri che raramente si scopriva nella sua abilità da serpente. Era stato un ghibellino e imprigionato dagli inquisitori domenicani come eretico, ma ora aveva superato tutti gli italiani in superstizione e credulità. I suoi amici dicevano che era davvero pio, i suoi nemici che era il più spregevole degli ipocriti: ma il tratto che suggellava il suo carattere era la sua intolleranza e la violenta persecuzione degli antichi compagni d’eresia. I più indulgenti dicevano che all’inizio lui era stato mosso dalla paura e ora era un sincero convertito. Lui pretendeva di attribuire la sua conversione a un miracolo ed era talmente convinto che quasi affermava che un santo venuto dal cielo lo aveva informato, dicendogli che la redenzione dell’umanità era stata promessa dall’Onnipotente Salvatore solo a suo vantaggio.

   Molti altri seguirono e si unirono a questi, ma erano una moltitudine anonima, riconoscibile solo per talenti volgari: alcuni cercando di far ridere con la stravaganza, altri con la sfacciataggine, molti si scambiavano scherzi di mano, con numerosi colpi dati e ricevuti: erano uno strano gruppo e, sia belli o brutti, vecchi o giovani, agili o lenti, esperti o goffi, puntavano sui propri difetti, sorridevano continuamente ammassati intorno ai nobili e, con i loro movimenti snodati e serpentini, la buffa andatura e gli abiti da giullare, facevano contrasto con il contegno dignitoso e i ricchi vestiti dei nobili. Alcuni erano male in arnese per mancanza di spirito, altri per l’evidente simulazione, ma tutti smaniavano come cani affamati rivolgendosi ai ricchi del castello e alla generosità della sua padrona.

   La corte si aprì il primo maggio e così rimase per quattro giorni. La sera prima, circondata dai suoi ospiti, Eutanasia stabilì le regole per i divertimenti: «Il primo giorno», disse, «ci dedicheremo alla caccia e alla falconeria, il paese è ben attrezzato ed ogni ospite ha di sicuro il suo falco sul pugno. Proclamo Antelminelli, il liberatore [5] di Lucca, re di quel giorno, perché è stato all’estero e ha studiato questi giochi sotto la guida dei migliori maestri, e io non ho dubbi che sia in grado di dirigere i nostri esercizi e assicurarci una caccia abbondante.

   Il secondo giorno sarà il turno dei nostri amici, gli Uomini di Corte: daranno il meglio di sé per divertirci e meritare i premi a loro riservati. Di certo nessuno criticherà la mia scelta se nomino Guglielmo Borsiere re di quella giornata. Che sia lui a condurre le attività per fare in modo che le loro storie, canzoni e gesta possano avvicendarsi con varietà piacevole.

   Il terzo giorno si stabiliranno le liste e i cavalieri giostreranno per l’onore della bellezza delle loro dame. Il vincitore riceverà come premio per la sua abilità la libertà di scegliere la regina del giorno successivo, che dirigerà gli sport delle signore e chiuderà con i loro giochi l’allegria della mia corte.»

   Urla di consenso seguirono la proclamazione di queste regole e tutti ammisero che non si poteva escogitare di meglio per promuovere i divertimenti della loro allegra brigata.

   Il primo maggio il sole si levò in un cielo terso. I destrieri riccamente bardati furono fatti uscire dalla scuderia, le donne montate su morbidi palafreni e seguite dagli scudieri, con i falchi o con i cani al guinzaglio, altri suonando il corno della sveglia, mentre l’aria risuonava delle voci che chiamavano dalle loro stanze i fannulloni e dicevano che il cacciatore che non era con il più lontano che levava la rugiada dall’erba non meritava di partecipare ai giochi. Alla testa di un gruppo scelto di assoluta avvenenza c’era Eutanasia: i suoi occhi dolci e pieni d’entusiasmo brillavano adesso di una gioia che la sua bella fronte liscia mostrava non ancora rovinata dalle amarezze di un dolore. Un sorriso splendeva sulle sue belle labbra, come l’Amore che gioca tra i petali d’una rosa. I suoi capelli d’oro rilucevano sotto i raggi del sole e attorniavano il collo marmoreo, come ornato da molte vene sparse, coprendo i gioielli del suo vestito. I suoi movimenti, liberi come il vento e aggraziati come un antilope del sud, sembravano sovrumani per la loro gradevolezza e, quando risvegliava l’aria con la sua voce argentina, il silenzio pareva attento ad assaporarne il suono.

   E adesso via! Cavalcarono giù per il pendio su cui stava il castello, diretti a un castagneto, e da lì lungo una pianura ricoperta di boscaglia: tutto era vivo e allegro, i cacciatori richiamavano i loro cani, i cavalieri tenevano a freno i loro destrieri agitati e le dame con gesti animati, sguardi divertiti e gli occhi insù, guardavano il volo degli uccelli e scommettevano sulla loro velocità.

   A mezzogiorno erano accaldati, stanchi e cercavano un luogo ombroso dove poter riposare. Castruccio si fece innanzi e disse: «Mi meriterei poco l’onore d’essere re di questo giorno se sopportassi che i miei sudditi vagassero in un deserto senza ristoro o riposo… seguitemi!»

   Entrarono in un castagneto e, dopo aver cavalcato per mezzo miglio, giunsero ad un piccolo appezzamento di terreno, contornato da alberi e protetto in alto da volte attaccate ai rami: in questo rifugio fu preparato un magnifico pasto: vini scintillanti a profusione in vasi di vetro, tavole ricolme di ogni genere di carni delicate, oltre ai più sostanziosi cibi a base di polpa e pollame. Gli scudieri, legati i loro falconi ai rami degli alberi e coperti gli occhi con un cappuccio, presero i grandi coltelli intarsiati e si diedero ai loro compiti, mentre l’allegra brigata sedeva su dei cuscini allestiti per la loro sistemazione.

   Alla fine del pasto riposarono nella bella frescura ammirando le ombre mutevoli degli alberi e ascoltando i canti degli uccelli Calista di Malespino esclamò: «Come sarebbe bello se Ildone o Guarino fossero qui con le loro canzoni a gareggiare con questi graziosissimi uccelli!»

   «Domani avranno modo di mostrare il loro talento», disse Castruccio, «oggi dobbiamo divertirci.» E al battito delle sue mani, i servitori portarono degli strumenti musicali, com’erano allora in uso, diversi nella forma rispetto a quelli d’oggi, ma che possono essere paragonati per il suono e la forma al liuto, all’arpa, alla chitarra e al flauto. Molti del gruppo avevano una bella voce, alcuni venuti da Genova cantarono le romanze dei menestrelli provenzali. I fiorentini recitavano le canzoni di Dante o brani scelti dal Tesoretto[6] del suo maestro, Ser Brunetto Latini, oppure composizioni di propria produzione, perché i fiorentini avevano un talento innato ed erano pochi i nobili che tra la gioventù e l’età adulta non avevano composto più di un sonetto dedicato alla propria bella: gli abitanti di ogni singola città avevano un poeta preferito, i cui versi adesso recitavano.

   Così trascorse il tempo fino al tramonto e le lunghe ombre li avvertirono che il caldo era passato e si stava ormai facendo buio. Allora montarono sui loro cavalli e si diressero verso il castello circondati dai castagni. Gli alti Appennini erano ancora bianchi di neve e, sul far della sera, una brezza fresca soffiò sul pianoro, risuonando tra i rami degli alberi. Da lontano si sentiva il mormorio del Serchio, che scorreva per il suo corso mai stanco. L’aria era profumata da mille odori per l’erba appena falciata e impregnava dolcemente le cose. Da un bosco ceduo un usignolo emise le sue note melodiose, cantando come se fosse l’unica stella a far capolino nel tramonto rosso. Arrigo con il suo flauto provò a rispondere con un brano che l’usignolo cercò di imitare, mentre i cavalli sfilavano in silenzio. Si fece buio intorno e le prime lucciole dell’estate spuntavano dal verde scuro dei pergolati tra i cespugli e mandavano lampi con la loro gentile, tenue luce, sfiorando i campi che, come una mare fosforico, o come un cielo verde di pianeti sempre ondeggianti, si abbuiavano e poi venivano di nuovo picchiettati da queste stelle. La lucciola trascinava lentamente la sua luce fissa, alcuni pipistrelli svolazzavano dalle rocce e il lamento fisso dell’assiolo si librava tra gli alberi annunciando l’arrivo del bel giorno. Appena i cacciatori di ritorno salirono il monte, la brezza cessò e una calma immobile pervase l’atmosfera. Eutanasia cavalcava accanto a Castruccio, il suo volto dolce rivelava una gioia più profonda di una semplice allegria, e i suoi occhi agitati brillavano per l’emozione. Si era tirata il cappuccio sulla testa e il suo viso risplendeva sotto, bello come la luna circondata dalla notte, mentre le sue ciocche dorate s’intrecciavano al collo. Castruccio la osservò, avrebbe dato chissà cosa per abbracciarla e imprimere sulla sua guancia ardente un bacio d’amore. Non osò, ma quando lei si voltò verso di lui con un sorriso affettuoso il suo cuore era gonfio di gioia e sospirò: «È mia».

   Il secondo giorno Guglielmo Borsiere si preparò ad intrattenere gli ospiti con il proprio talento e quello dei suoi compagni. Il suo compito era più arduo rispetto a quello di Castruccio, perché i suoi sottoposti non erano così facili da controllare come i falchi e i cani. Guarino si offese a morte per la scelta d’Eutanasia di non nominarlo re della giornata e dichiarò che aveva un raffreddore e non poteva cantare. Solo la sua odiosa vanità ebbe la meglio sull’afflizione e difatti, quando scoprì come motivo della sua bocciatura che Borsiere era stato preferito a lui e che il suo cattivo umore lo avrebbe soltanto punito relegandolo nell’oscurità, accettò di far parte delle comparse della giornata. Andreuccio era meno docile, essendo meno vanitoso, ed era la pura avidità a causare la sua ira immaginando che Borsiere sarebbe stato quello pagato meglio della compagnia. Si rifiutò assolutamente di recitare la sua parte come cantastorie, ma conservò il suo spirito per cercare di ridicolizzare gli intrattenimenti e le prove del suo rivale prescelto.

   La mattina allo spuntare del giorno, ogni bella dama fu svegliata da una canzone che la invitava ad alzarsi e ad eclissare il sole e, quando l’uomo s’era svegliato, a dar vita ai fiori e ai frutti della terra, così da infondere la sua benigna influenza nei cuori degli uomini. Gli ospiti erano riuniti nel salone del castello, addobbato con festoni di sempreverde e fiori, e una volta seduti fu eseguito un invisibile concerto e, nelle pause della musica, irruppe nell’aria un canto d’incantevole musica che per la sua inimitabile dolcezza rivelò che il cantante era Ildone, il quale, così nascosto, poteva portare l’anima in paradiso, mentre la sua presenza avrebbe spezzato l’incanto.

   Dopo la musica furono condotti in un piccolo anfiteatro, costruito su uno spiazzo verde davanti al castello, dove furono intrattenuti dai giocolieri, mangiatori di fuoco, funamboli e ogni diversivo conosciuto dalle rive del Gange a quelle del Tamigi, sin da tempi lontani fino ai giorni nostri. Dopo queste esibizioni alcuni dei contadini di Valperga si cimentarono negli stessi esercizi. Tre drappi di tessuto e due di seta, i premi per i vari giochi, pendevano dai sostegni che reggevano l’anfiteatro. Due paletti furono eretti e vi si fissò una corda su cui erano appesi tre anelli. Un contadino a cavallo, con la lancia in resta, galoppava parallelamente alla corda, cercando di infilare gli anelli con la punta della lancia. Il primo, il secondo e il terzo fallirono, il quarto ebbe più successo, infilò i tre anelli e conquistò il drappo scarlatto. Seguirono un incontro di lotta, una corsa a piedi e una a cavallo. I premi furono distribuiti da Borsiere e poi, essendo mezzogiorno, la compagnia si recò a pranzare.

   Inutile elencare le prelibatezze che apparvero. Borsiere fece sì che i festeggiamenti precedenti e successivi non superassero il suo e, essendosi spesso intrattenuto alle tavole dei più splendidi principi d’Europa, adesso mostrò l’abilità che aveva acquisito nelle direttive date ai cuochi rustici di Eutanasia. Quando tutti furono sazi, la conversazione languì e gli sguardi delle dame vagarono in cerca di nuovi divertimenti. Borsiere apparve alla testa del suo gruppo, Bergamino, Guarino, Ildone e altri di minor fama si fecero avanti, mentre Andreuccio si mise vicino, senza unirsi né restare fuori della compagnia. Procedendo cerimoniosamente, Borsiere invitò la compagnia a seguirlo: si alzarono tutti, ogni dama scortata dal suo cavaliere. Borsiere era stato allevato nelle corti e sapeva come dirigerli con l’arte del siniscalco. Appena lasciato il salone, gli ospiti si ritrovarono come per magia tutti al proprio posto e ogni nobildonna s’accorse che non avrebbe potuto precedere la persona davanti o seguire quella dietro. Così, secondo lo stile di corte, attraversarono parecchi passaggi del castello e uscirono da una piccola posterna. La parete rocciosa del monte svettava, come detto in precedenza, subito dietro il castello e quasi sovrastava le merlature. Questa posterna dava accesso ad una scaletta tortuosa già menzionata che, tagliata nella roccia, permetteva di scalare il precipizio. Salirono e prima di poter sentire la fatica giunsero ad una piccola piattaforma ricoperta, che Borsiere aveva preparato per la loro sistemazione. La sorgente, che sgorgava da una fenditura, gocciolava con un mormorio gentile e riempiva il bacino pronto a riceverla con il suo liquido chiaro e brillante. Questa sorgente aveva, come molte altre di questi monti, delle qualità caratteristiche: d’estate era gelata e d’inverno diventava sempre più calda man mano che la temperatura dell’aria scendeva, fino a fumare nel suo passaggio davanti la roccia nelle mattine gelide di dicembre. Per riparare l’acqua di questo bacino dalle piogge, Eutanasia aveva, come ricordato, costruito una nicchia sostenuta da colonnette. Questo era il rifugio prescelto dalle nostre giovani ninfe montane e Borsiere lo aveva magistralmente addobbato per l’occasione. I rami degli alberi pendevano e s’intrecciavano alla roccia, o al tetto della nicchia, e poi, attorcigliati con altri rami, formavano una rete su cui si s’intesseva un cielo di fiori, che teneva lontano i raggi del sole e, agitato da delicatissime brezze, faceva uscire delicati profumi: l’addetto al pergolato aveva spogliato cento giardini per decorare solo il pavimento della piattaforma, formando mille bizzarre composizioni con i petali dei vari fiori. Anemoni, narcisi, giunchiglie, giacinti, gigli della valle e le prime rose avevano tutti le loro tinte, facendo un mosaico ridotto composto da questi fragili e graziosi materiali, e le colonne bianche della nicchia brillavano in mezzo a questo splendore con la loro elegante semplicità. I sedili per la compagnia erano posti a semicerchio, da qui potevano dominare l’intero paese, la piattaforma era così in alto che sormontava le merlature del castello e guardava l’intera pianura di Lucca, le sue gole, le colline boscose e il Serchio chiaro che l’attraversava sinuosamente. Un’esclamazione di gioia proruppe dalle loro bocche quando entrarono in questo paradiso fiorito, dove ogni allegro colore della natura era ammucchiato in ricca e amabile quantità, mentre il verde scuro dei lecci, il fogliame soffice e a ventaglio dell’acacia, misto a quello brillante dell’alloro e del mirto, alleviava l’occhio dalla luce abbagliante dei colori. L’allegra brigata si mise a sedere e Borsiere, venendo avanti, annunciò che lui e i suoi compagni erano pronti a presentare al pubblico le loro canzoni e i loro racconti. Eutanasia accettò l’offerta a nome dei suoi ospiti e Guarino per primo si esibì: il fatto di essere il primo ad attirare l’attenzione dei nobili invitati poteva essere un allettamento che gli avrebbe fatto dimenticare la sua voce rauca, e, venuto il suo turno, non c’era dubbio che la sua vanità lo avrebbe indotto a esercitare tutte le sue facoltà per superare i compagni.

   Cantò dei versi estemporanei sui fatti dell’ultima guerra con Firenze, cambiando note, dal grido di battaglia al lamento per i morti, e poi alla canzone del trionfo, la cui melodia emozionante trasportò gli ascoltatori con stupore. Allora, abbandonando questo tema importante, descrisse se stesso come Dante nella sua discesa all’inferno, ma, essendosi avventurato laggiù senza una guida, il rude Caronte gli aveva rifiutato un passaggio, e lui da solo vide i fantasmi erranti dei morti recenti e quei pochi appena giunti nell’orrida sponda che si lamentavano delle loro ossa rimaste insepolte. Qui trovò Manfredi che, rivolgendosi a lui, raccontò che adesso stava scontando e avrebbe scontato in seguito ancora di più pene insopportabili per i suoi molti crimini. «Bene fece e a ragione», gridò, «chi gettò le mie ossa dal loro sepolcro sconsacrato, poiché ora io vago senza tormento. Ma, quando il ciclo di cento anni si chiuderà e passerò quel fiume nero, mi aspettano il fuoco e la tortura, la tremenda punizione per aver resistito al Padre Eterno». Poi continuando, mandò un messaggio ai suoi amici sulla terra, ordinando loro di pentirsi, e Guarino inserì in questa l’amaro risentimento della sua aspra e cruda satira contro i suoi nemici. Terminò e gli applausi furono scarsi, perché aveva offeso molti dei presenti con le sue rampogne e pochi potevano simpatizzare con la malignità penetrante dei suoi anatemi.

   Dopo di lui ci furono i cantastorie, che ripetevano vari aneddoti e fatti che avevano raccolto nelle loro escursioni. Raramente inventavano una nuova storia, ma una vecchia ben narrata, o eventi reali abbelliti con fronzoli romantici, formavano i temi dei loro racconti.



[1] In italiano nel testo. Il mondualdo, è un termine latino medievale, mondualdus, che deriva dal tedesco Munt-valt, e indica il tutore dell’antica legislazione longobarda dato dalla legge alle donne perché le assistesse nella vita pubblica.

[2] Improvisatori nell’originale.

[3] In italiano nel testo.

[4] Improvisatore nell’originale.

[5] In italiano nel testo.

[6] c.s.



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :