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Valutazione degli insegnanti:cui bono?

Creato il 05 gennaio 2011 da Andreaant54

 

E’ di questi giorni la notizia che la sperimentazione voluta dalla Gelmini (ministro della pubblica istruzione) rivolta alla messa a punto di una procedura di valutazione del merito degli insegnanti è stata massicciamente rifiutata dalle scuole prescelte di Torino e Napoli. Non si conoscono bene né i criteri di valutazione imposti dal ministro (sembra due insegnanti più il preside che esaminano dei questionari prodotti dagli stessi insegnanti) né i motivi (peraltro intuibili) per cui i collegi dei docenti di dette scuole hanno rimandato la proposta al mittente.

Sono un insegnante di lungo corso e quindi conosco abbastanza bene il problema e sono coinvolto nella questione. Ci sono stati altri tentativi, diretti e no, di valutare il lavoro degli insegnanti che però sono sempre naufragati nel nulla di fatto. A chi può giovare un sistema oggettivo di valutazione del lavoro degli insegnanti? A tutti, se ben strutturato ed orientato. Nessuno può fare bene alcun lavoro senza continui feedback che convalidino o meno l’efficacia del suo operare. L’autoreferenzialità non produce nessun risultato di qualità. Il primo a trarne vantaggio è lo stesso insegnante. Uno dei problemi maggiori di questo mestiere è di non sapere mai bene e con chiarezza se il percorso di apprendimento proposto agli allievi sia  stato efficace, utile oppure no. Io insegno scienze e chimica al liceo e quando un mio alunno si piazza bene alle olimpiadi della chimica, oppure mi viene a trovare raccontandomi come all’università le cose fatte al liceo gli siano state preziose, sento che il mio lavoro non è stato né inutile né male impostato. Sapere che i tuoi studenti riconoscono di aver tratto vantaggio dal tuo lavoro didattico è forse l’unica soddisfazione rimasta in questo mestiere per il resto denigrato socialmente e malpagato. Vantaggio ulteriore poi ne traggono evidentemente sia gli alunni che le famiglie. E’ indubitabile che un insegnante che debba rendere conto a fine anno del suo lavoro tenderà certamente a farlo meglio, a vantaggio dei suoi studenti. Le famiglie potranno poi far valere le loro ragioni quando i figli s’imbattono (caso purtroppo non infrequente) in insegnanti poco preparati e capaci (sono anche genitore e conosco bene la frustrazione di chi sta dall’altra parte della “barricata” e scopre che i famosi organi collegiali sono gusci vuoti e che genitori e studenti sono poco rappresentati a scuola).  Ne trarrebbe profitto anche la scuola che potrebbe presentarsi con un immagine di efficienza e trasparenza nelle procedure permettendo alle famiglie di poter scegliere il percorso di studio dei propri figli con maggiore consapevolezza, conoscendo il valore degli insegnanti. Ci sono moltissime altre ragioni che tutti possono ben individuare e che sicuramente già conoscono.

Allora perchè i colleghi di numerose scuole rifiutano la valutazione Gelmini? Perchè sono in gran parte degli incapaci, buoni a nulla e timorosi che ciò venga ufficializzato? Credo proprio di no. Insegno da molti anni; ho insegnato in scuole diverse: professionali, tecnici e licei. Ho incontrato e lavorato con molti colleghi. La stragrande maggioranza del corpo insegnante è fatta di professionisti seri, consapevoli dell’importanza del loro ruolo e in buona parte disponibili ad impegnarsi e rinnovarsi. Ci sono pelandroni nelle scuole? Certo, come in ogni altra categoria di lavoratori, pubblici e privati. Ognuno di noi lo sa bene, se invece di farci suggestionare dai luoghi comuni, riflettessimo appena sulla nostra diretta esperienza, specialmente professionale. Anzi ritengo che se la scuola italiana riesca ancora a sfornare persone preparate, come è testimoniato dal successo dei nostri studenti e ricercatori all’estero, malgrado i colpi ricevuti in questi ultimi decenni dall’affastellarsi di numerosi e inconcludenti tentativi di riforma confusionari, ideologici e senza costrutto, sia proprio grazie al lavoro professionale e alla dedizione di molti  insegnanti fedeli alla loro missione educativa. Insegnanti che hanno seguitato a “tirare la carretta” malgrado l’erosione massiccia subita dallo stipendio, dalla posizione sociale e del valore educativo e formativo attribuito al  loro lavoro. Quando infatti un cosiddetto ministro dell’economia afferma che “con la cultura non si mangia” la conseguenza più deleteria sta nel colpo mortale inferto alla significatività della scuola, in quando essa si basa proprio sulla trasmissione dei valori, che è appunto ciò che brevemente si definisce cultura. Gli insegnanti, specialmente quelli che lavorano nei tecnici  sanno quale fatica bisogna fare per motivare gli studenti verso una formazione personale organica e strutturata che non sia solo addestramento ad una qualche mansione più o meno immediatamente spendibile sul mercato del lavoro (ma su questo qualche altro ministro non è d’accordo, anzi  ritiene che è meglio per i giovani italiani diventare tutti  idraulici, invece di perdere tempo a studiare). Denigrare la cultura, significa, agli occhi dei più fragili, quelli che vengono da famiglie con meno potenzialità e più deboli, giustificare un’atteggiamento di superficiale denigrazione delle proposte formative. Questo sì crea malessere negli studenti che vedono la scuola, e quindi il loro lavoro, perdere di significatività , causa principe di gran parte di quegli atteggiamenti scorretti ai quali  si pretende magari  di rispondere demagogicamente con l’inasprimento del voto di condotta.

Tutte le numerose inchieste sugli insegnanti in Italia, hanno messo in evidenza come la maggior parte di essi si dichiari favorevole al merito e alla sua valutazione. Come mai allora la proposta ministeriale ha scatenato un’alzata di scudi? Perchè come la riforma delle superiori, che non è una riforma, ma un’accozzaglia incoerente di proposizioni, anche quest’ultima iniziativa ben si inserisce nel lucido tentativo di disgregare la scuola pubblica che questo governo persegue sistematicamente. Chi ha familiarità con i sistemi di qualità sa benissimo che non esiste valutazione se non dopo aver ben chiarito ed esplicitato gli obiettivi che si vogliono ottenere. Che cosa significa insegnante di qualità? che cosa significa scuola di qualità? Quali sono gli obiettivi che si vogliono raggiungere, in che modo, con quali tempi e, soprattutto, con quali mezzi? Questo è uno dei principali motivi che penso abbiano spinto i colleghi di Torino e Napoli (oggetto della sperimentazione) a dire no. Prima la scuola è stata ridotta alla fame tagliando ogni risorsa economica anche per le necessità più spicciole ed ora si vuole far passare il messaggio che si intende investire in qualità, come se questa, in bene o in male, dipendesse  esclusivamente dagli insegnanti. In realtà  restituendo briciole rispetto a  quanto si è sottratto. Con la mano destra si sono impudentemente tolte alle scuole gran parte delle loro legittime risorse e con la sinistra  si offrono  misere regalie. A differenza di quello che avviene negli Stati dove seriamente si sta operando per contrastare e superare la crisi economica, nei quali  la scuola è il settore dove si investe di più e meglio per potenziare la ricerca e lo sviluppo.

La qualità della Gelmini può andare solo al 15 – 20 % degli insegnanti di una scuola. E’ la spia più chiara della demagogia della proposta. Si potrà dire in giro che si sono date risorse alle scuole perchè aumentino la loro qualità quando invece chi vive nella scuola è pienamente consapevole che con tali misere risorse offerte a qualche insegnante non si otterrà nessun vero cambiamento. Per molti motivi; ne indico qualcuno tra i tanti:

  • la scuola (come la fabbrica o qualsiasi altro luogo di lavoro) è solo un edificio, uno spazio dove ogni docente opera solipsisticamente ( e quindi premiamo uno o due bravi, gli altri si arrangino) o una comunità in cui l’apprendimento degli allievi è il frutto dell’interazione di più professionalità collaboranti al raggiungimento di obiettivi condivisi?
  • l’essere un bravo insegnante (tralasciando quale significato si possa asegnare a tale proposizione) dipende solo da quell’insegnante o anche dai mezzi, le strutture, le opzioni disponibili che permettono a quell’insegnante di mettere a frutto tutte le sue potenzialità professionali?
  • sarà un bravo insegnante chi obbedirà senza discutere a tutte le ingiunzioni burocratiche e falsamente efficentiste che da anni sovraccaricano il lavoro dei docenti di vaste quanto inutili produzioni cartacee, o chi pur cosciente dei propri limiti riuscirà a far scoprire ai propri alunni la bellezza del conoscere, anche se per ipotesi non ha presentato in tempo la programmazione didattica ed educativa?

Ciò che appare è che si voglia creare un sistema di falsa competitività ancora una volta lesinando sulle risorse e senza che si voglia veramente incidere su quella che è a mio avviso la questione veramente fondamentale  e che il Presidente della Repubblica, nel suo lucido ed accorato discorso di fine anno,  ha invece evidenziato con chiarezza e forza: “Investire sui giovani, scommettere sui giovani, chiamarli a fare la propria parte e dare loro adeguate opportunità”. Per adesso a me pare che l’unica cosa che invece si è fatto massicciamente nella scuola, in nome del risparmio,  è stata proprio quella di estromettere i più giovani (in gran parte) bollandoli come precari. Non mi sembra che ciò vada nella direzione di una maggiore qualità!!


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