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Vanity Fair intervista il quarantenne Matthew McConaughey

Creato il 16 agosto 2010 da Dg_victims @DG_VICTIMS

Vanity Fair intervista il quarantenne Matthew McConaughey È il bellone per antonomasia, il genere di uomo su cui certe donne amano fare le smorfiose a parole («bello, sì, ma non è il mio tipo»), anche se poi vorrei vederle, le smorfiose, alla prova dei fatti.
È anche simpatico, con il suo accento texano e le risate in stereofonia. È famoso per le foto in spiaggia a torso nudo. Almeno, lo «era». Ultimamente lo si vede più spesso ritratto in versione padre moderno, globetrotter e consapevole. Succede da un paio d'anni circa, da quando ha avuto due figli dalla fidanzata, la modella brasiliana Camila Alves: un maschio, Levi, 2 anni, e una femmina,Vida, nata nel gennaio scorso.
Anche quando lo incontro a Milano per questa intervista, Matthew McConaughey è vestito di tutto punto, gli manca solo la cravatta. È tutto in Dolce & Gabbana, il marchio di cui è testimonial (per il profumo «The One Gentleman») da due campagne.
Meno sport in solitaria, più uscite in famiglia: lei, Camila e i bimbi. Volete diventare i nuovi Brad & Angelina? «No, non credo proprio».
Vuol dire che vi fermate a quota due? «Di sicuro. È già abbastanza complicato. Viaggiare con i bambini è come mettere in piedi una produzione. Cerchiamo sempre di volare di notte, così almeno dormono».
Un anno fa la intervistai a Los Angeles per il lancio della Rivolta delle ex. Mi raccontò, con orgoglio, che Levi aveva già otto timbri sul passaporto. Adesso? «Mi sa che è arrivato a dieci o forse undici. E Vida ne ha già uno».
Gli attori di solito dicono di detestare Hollywood, lei ha sempre detto di sentirsi a suo agio nel sistema. «C'è un sacco di gente in gamba, a Hollywood. E tutto il meccanismo a me piace: l'anatomia dell'industria, in ogni suo aspetto, mi appassiona. Ed è sempre stata generosa con me. Il che non è affatto una cosa scontata. A Hollywood le porte sono lì per tenere la gente fuori, non per farla entrare».
E qual è il trucco per restare dentro? «Facile: girare film che facciano un mucchio di soldi».
Però non c'è solo il box office. Per esempio, lei non avrebbe voglia di fare una svolta «seria»? Di trovare il film drammatico che la porta a essere preso in considerazione per un Oscar, come ha fatto la sua amica Sandra Bullock? «Non credo che Sandra lo abbia pianificato. In mezzo ai suoi grandi successi popolari, aveva già fatto diversi film drammatici, magari se ne erano accorti in pochi. Quando il talento c'è, prima o poi il riconoscimento arriva».
Ma a lei non piacerebbe che un giorno la gente uscisse da un suo film e dicesse: «Toh, non credevo che McConaughey sapesse fare anche questo!»? «Certo che mi piacerebbe, ma non sto lì a progettarlo. Posso dirle, però, che il prossimo film non è una commedia romantica, ma un legal thriller, The Lincoln Lawyer (tratto da Avvocato di difesa, un romanzo di Michael Connelly, ndr). E anche i progetti successivi sono meno leggeri, se vogliamo dire così. Forse c'entra anche con il fatto di avere compiuto 40 anni, cosa di cui sono molto contento».
Perché? «Perché sono soddisfatto di dove mi hanno portato i primi 39. La carriera va bene, ho una bella famiglia, una bella casa. E, se faccio un bilancio, i miei trenta sono stati migliori dei venti, e mi aspetto un ulteriore miglioramento nei quaranta».
Da quando è nato il suo primo figlio, lei ha quasi smesso di lavorare. Che ha fatto? «Mi sono dedicato alla famiglia. Abbiamo messo su casa, i bambini sono nati a breve distanza l'uno dall'altro. Ho anche prodotto un disco, ma niente film».
L'intervista completa sul numero 33/2010 di Vanity Fair, in edicola il 18 agosto. Vanity Fair intervista il quarantenne Matthew McConaughey

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