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Vanloon – Camere del Lavoro e anarchici a Bologna

Creato il 01 maggio 2013 da Ilcasos @ilcasos

Puntata 11 – anno 2, 20 aprile 2013
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Ringraziamo Antonio Senta per la realizzazione di questa puntata.
Una riunione dell'Unione Sindacale Italiana - 1922

Una riunione dell’Unione Sindacale Italiana – 1922

Ciao a tutti e tutte da Olga e Debs,

Contratti a progetto, lavoro interinale, stage gratuiti e richieste assurde tra provvigioni e discriminazioni di ogni genere: i diritti di chi lavora ormai sono un miraggio. Assordati dalla drammaticità del lavoro ci viene in mente chi per migliorare le proprie condizioni lavorative ha lottato con ogni mezzo necessario. Volgiamo lo sguardo alla nostra città, a fine ottocento, quando gli anarchici bolognesi sono parte attiva delle lotte sindacali.

Il sindacalismo anarchico bolognese, ancor prima che una pratica politica e sociale, è stata una dimensione antropologica dell’anarchico di inizio Novecento. Il movimento libertario infatti, è composto da «lavoratori del braccio» e questo fa sì che l’azione anarchica si sviluppi proprio nelle questioni operaie. Tre sono le caratteristiche di questo movimento di classe: il radicamento territoriale con propensione all’autonomia federalista, una conflittualità permanente e ricorso all’azione diretta come lo sciopero e il boicottaggio e infine il rifiuto del parlamentarismo e della politica, intesa come politica di partito.

È il 1893 e il sindacalismo anarchico è tra i protagonisti della fondazione della Camera del Lavoro di Bologna, una struttura che riunisce dodici sezioni diverse a seconda del settore di lavoro, riuscendo a mettere insieme leghe fino ad allora divise. Si crea così l’ideale dell’unità operaia, cosa che fa particolare paura alle autorità. I circa ottomila tesserati danno vita a un ambiente politico assolutamente eterogeneo: comunisti, collettivisti, socialisti, anarchici agiscono insieme, anche se non sempre in concordia. La camera svolge la funzione di ufficio di collocamento, organizza vertenze e scioperi per la diminuzione dell’orario di lavoro e per gli aumenti salariali. Si occupa inoltre dell’istruzione degli operai e in generale riesce ad ottenere alcuni importanti risultati per il miglioramento della condizione dei lavoratori.

La lega più combattiva all’interno della Camera del Lavoro è quella dei muratori, in cui forte è la presenza sindacalista anarchica. Dal suo sorgere questa lega è in collegamento con l’ambiente romano, dove i muratori sono la categoria più combattiva e ribelle del proletariato e sono protagonisti di grosse battaglie, ottenendo miglioramenti delle condizioni di lavoro e stanziamenti governativi da investire in opere pubbliche. Sono diecimila i muratori nel bolognese, impegnati in scioperi e rivendicazioni e non si tirano indietro quando si tratta di appoggiare le agitazioni dei lavoratori di altri settori, ottenendo così risultati importanti anche per cementisti, braccianti e carrettieri.

A cavallo degli anni dieci del Novecento i sindacalisti anarchici ottengono più volte la maggioranza nella guida della Camera del Lavoro, anche grazie all’impegno di militanti come Armando Borghi e Clodoveo Bonazzi, con una chiara linea d’azione: conflittualità permanente, azione diretta, solidarietà di classe tra le diverse categorie, autonomia e libertà di azione delle leghe e «apoliticismo», ovvero l’estraneità rispetto alle «complicazioni politiche di carattere elettorale».

Nel 1912 avviene la scissione: riformisti da una parte, rivoluzionari dall’altra. I primi aprono una Camera Confederale del Lavoro, i secondi chiamano la loro struttura Vecchia Camera del Lavoro. Come conseguenza i lavoratori si dividono quasi in tutte le leghe. Con lo scoppio della prima guerra mondiale c’è un’ulteriore rottura trasversale nelle Camere del Lavoro e nelle leghe tra interventisti e anti-interventisti che lacera tanto i riformisti quanto i rivoluzionari.

Dopo la guerra, la Rivoluzione russa infonde nuova speranza ai sovversivi di tutti i colori e i sindacalisti anarchici di Bologna provano a praticare un’unione «dal basso» delle forze rivoluzionarie. Gli anni 19-20, ricordati come «biennio rosso» sono caratterizzati da forti agitazioni operaie e contadine. È il 1919 e le otto ore lavorative sono conquistate, ma nello stesso periodo le Camere del Lavoro vengono assaltate dai nazionalisti, cosa che avverrà ripetutamente negli anni a venire e spesso sotto la direzione attenta di polizia e carabinieri. Il 1920 è l’anno delle maggiori agitazioni nei campi e nelle fabbriche. Mezzadri e braccianti insieme per tutta la primavera ed estate danno vita a continui scioperi.

Il 5 aprile 1920 l’Unione Sindacale di Bologna, il sindacato anarchico, convoca un comizio sulla vertenza agraria a Decima di Persiceto. Sono presenti circa 1500 lavoratori quando i carabinieri aprono il fuoco uccidendo otto persone, tra le quali il sindacalista anarchico Sigismondo Campagnoli, ai cui funerali a Bologna partecipano circa centomila persone. Sono, questi, i mesi più caldi dell’occupazione delle fabbriche, e diversi stabilimenti metallurgici, categoria in cui i sindacalisti anarchici hanno grossa influenza, sono nelle mani degli operai.

A settembre del 1920 grazie all’abile mediazione politica di Giolitti le fabbriche occupate vengono smobilitate pacificamente. Dal quel momento il movimento operaio bolognese subisce una sconfitta dopo l’altra. Industriali e agrari fanno fronte comune e organizzano squadre armate. Iniziano così le attività del fascio: qualche centinaio di squadristi, ben tollerati da carabinieri ed esercito, diffondono il terrore.

Nel novembre del 1920 i fascisti danno l’assalto a Palazzo d’Accursio riuscendo a impedire all’amministrazione socialista appena eletta di insediarsi e nel frattempo, in città come in provincia, industriali e agrari cominciano ad attaccare frontalmente le condizioni dei lavoratori, sia sul salario sia sugli aspetti normativi. Le due Camere del Lavoro, sono invase numerose volte da polizia e carabinieri, assaltate, incendiate e saccheggiate dai fascisti fino a che nel 1923 sono soppresse definitivamente.

È una storia che si chiude, rimane solo l’indomita volontà di resistenza di un manifesto della Vecchia Camera del Lavoro distribuito clandestinamente che assicura: «Quanto fu distrutto sarà rifatto. Quanto fu incendiato sarà ricostruito». Comincia in realtà il ventennio fascista.

E con queste riflessioni vi salutiamo e vi invitiamo a visitare il nostro sito www.casoesse.org …eh alla prossima puntata!

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Vanloon – Camere del Lavoro e anarchici a Bologna

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