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Vanloon – Morire per la dignità: gli ebrei del ghetto di Varsavia

Creato il 12 marzo 2014 da Ilcasos @ilcasos

Puntata 6 – anno 3, 1 febbraio 2014
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l’ordine storico non è che un ordine di morti. La storia si fa fuori dal muro. (Marek Edelman)

Ciao a tutte e tutti da Olga e Debs.
Siamo abituati, nelle annuali celebrazioni appena concluse della giornata della memoria, a vedere immagini di repertorio con file di ebrei che come agnelli al macello vanno incontro al loro destino di morte senza alzare un dito, senza ribellarsi, in silenzio davanti alle sevizie, ai castighi, davanti ad aguzzini il cui compito è di calpestare la dignità umana e annullarla. Ma esiste un’altra storia, una storia che non trapela dai mass media che rincorrono interviste ai sopravvissuti, foto inedite, film di ultima uscita. Una storia che, chissà perché, non arriva al grande pubblico.

Donne ebree insorte a Varsavia

Donne ebree insorte a Varsavia

Spente le luci sulla commemorazione in questa puntata vogliamo parlarvi di una storia di ribellione e di coraggio: quel ghetto di Varsavia simbolo, se vogliamo, dell’oppressione ma anche della speranza e della resistenza ebraica contro la soluzione finale.
La Polonia, invasa dai nazisti il primo settembre del 1939, per tutta la durata della seconda guerra mondiale, ha una grande importanza non solo per motivi strategici ma anche per l’alta percentuale di ebrei e il forte odio nei loro confronti manifestato già prima dell’arrivo dei tedeschi.
Proprio a Varsavia, capitolata il 6 ottobre del 1939, nasce il ghetto ebraico più grande d’Europa. Prima dell’arrivo dei nazisti gli ebrei vivevano già in ghetti senza muri, in seguito vengono costretti ad indossare dei bracciali con una stella di David, per poi finire tutti in un ghetto.

Nell’estate del 1940 viene alzato il primo muro. Entrare o uscire e diventa praticamente impossibile. Le persone rinchiuse sono circa 400mila. Lo spazio già insufficiente viene ridotto nel 1941. Nel ghetto si muore di fame, di stenti, di malattie, morti a costo zero per i nazisti.
Il ghetto non viene controllato direttamente dai tedeschi ma è affidato al controverso consiglio ebraico, lo Judenrat. Questo era composto da importanti personalità ebraiche e doveva far rispettare gli ordini dei nazisti. Inutile dire che il ruolo del consiglio ha portato molti problemi non solo fra gli intellettuali ma anche fra i sopravvissuti per la costruzione di una memoria collettiva, basti dire che lo judenrat è stato giudicato da molti come collaborazionista.
Il 1942 è l’anno della prima grande deportazione verso i campi di sterminio e della formazione dell’organizzazione ebraica di combattimento (OEC) che reperisce di nascosto armi (in buona parte sono consegnate dall’AK, Armia krajowa, armata della resistenza nazionale).

La prima azione militare viene programmata per il 22 gennaio 1943, È una rappresaglia contro la polizia ebraica ma il 18 gennaio il ghetto viene accerchiato e bloccato. In questa data tra gli ebrei incolonnati predisposti per essere portati fuori dal ghetto ci sono anche alcuni militanti dello ŻOB (il nome polacco dell’organizzazione combattente ebraica di sinistra). [1]
Ad un segnale concordato alcuni militanti scattano fuori dalle fila e iniziano a sparare mentre gli altri ebrei si sparpagliano annunciando la ribellione. La guerriglia dura altri quattro giorni finché i nazisti abbandonano il ghetto. Questo fatto è importante perché l’OEC, opponendosi, armi in mano ai nazisti, fa cadere per la prima volta il mito del tedesco intoccabile. L’eco di questa impresa è considerevole, l’opinione pubblica sia ebraica che polacca reagisce: gli ebrei possono fare qualcosa per salvarsi! Marek Edelman, uno dei comandanti militari della rivolta e unico sopravvissuto descrive così questa prima ribellione del ghetto:

in tutta Varsavia cominciano a correre leggende su centinaia di tedeschi uccisi e sull’imponente forza dell’OEC. Tutta la Polonia clandestina ci saluta orgogliosa. Alla fine del mese di gennaio riceviamo da parte del comando dell’AK cinquanta pistole di grosso calibro. L’OEC si riorganizza. [2]

Marek Edelman

Marek Edelman

è in aprile però che prende forma quella che passerà alla storia come la rivolta del ghetto di Varsavia, assunta anni dopo e, ambiguamente, a simbolo del risorgimento israeliano post 1945, come punto di inizio per la nuova forza sionista che elimina dalla narrazione dei fatti, per esempio, le correnti non sioniste che erano parte attiva all’interno della resistenza. Così il 19 aprile 1943, giorno della pasqua ebraica, i tedeschi entrano nel ghetto per l’ennesima deportazione ma ad attenderli c’è una pioggia di proiettili. Gli ebrei sono affamati, ammalati e disperati ma conservano le ultime energie non tanto per un futuro migliore ma per morire dignitosamente: con un fucile puntato sui nazisti. Gli ebrei inizialmente resistono bene, sparano dall’alto con cecchini e tiratori scelti.
Alle 14 del 20 aprile non c’è più un nazista vivo nel ghetto ma è vinta solo una battaglia perché i tedeschi hanno un buon piano: bruciare il ghetto così da risparmiare sia c armi che munizioni e ottenere una punizione esemplare. La resistenza continua fino al 10 maggio, quando rimane nel ghetto, tra le macerie ancora fumanti, un pugno di resistenti tra cui Edelman. Dei pochissimi sopravvissuti alcuni avrebbero preso parte all’insurrezione di Varsavia nell’agosto 1944. In ogni caso, il ghetto non esiste più, raso al suolo dalla furia nazista.

Se eroi sono stati gli ebrei in armi, altrettanto coraggiosi sono stati gli ebrei che hanno partecipato alla resistenza culturale. Infatti se gli storici sono in grado di raccontare le vicende del ghetto di Varsavia è anche grazie all’opera di Emanuel Ringelblum e al suo progetto, l’archivio Oneg Shabbat il cui intento era di raccogliere testimonianze e fonti sulla vita degli ebrei a Varsavia, in particolare del ghetto per lasciare ai posteri la visione chiara sulla sistematica distruzione della dignità umana da parte dei nazisti. i documenti redatti erano fatti uscire dal ghetto e dalla città grazie alla resistenza polacca e trasferiti a Londra in modo da non essere distrutti. Fu fucilato dai nazisti, insieme alla sua famiglia nel 1944.
La storia di due eroi come Ringelblum e Edelman ci insegna che la resistenza può avere più facce. La cultura in Italia in questo periodo in cui i fondi per la ricerca sono quasi inesistenti sembra essere diventata un hobby. Nonostante questo c’è chi ancora produce cultura, fuori da logiche gerarchiche e di mercato. Un piccolo atto di resistenza.

noi eravamo allora divenuti tutti combattenti di una causa giusta, uguali difronte alla storia e alla morte. Ogni goccia di sangue versato aveva lo stesso identico valore. noi che siamo sopravvissuti vi lasciamo la cura e la conservazione sempre viva della memoria.

Con le parola di Edelman vi salutiamo e vi invitiamo a visitare il nostro sito casoesse.org e… alla prossima puntata.

Note   (↵ returns to text)
  1. Żydowska Organizacja Bojowa, nome polacco dell’Organizzazione ebraica di combattimento↵
  2. Marek Edelman, Hanna Krall, Il ghetto di Varsavia: memoria e storia dell’insurrezione, Roma: Città Nuova, 1993↵
#ilcasos
Vanloon – Morire per la dignità: gli ebrei del ghetto di Varsavia

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