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Vassilissa e il cervello delle donne

Creato il 05 agosto 2015 da Vivianascarinci

Nella mitologia russa esiste un personaggio femminile in stretta relazione con una bambola. Questo personaggio incarna la strega per eccellenza: la Baba-jaga. Non si sa se questo strano essere sia una presenza positiva o negativa. Apparentemente però è legata, come tutte le streghe che si rispettino, all’oscurità, all’invisibile e all’omicidio. La Baba-jaga è colei che possiede il fuoco, a lei bisogna rivolgersi se questo viene a mancare. Inoltre è legata misteriosamente al ciclo circadiano: quando si è sulla buona strada per rintracciare la sua spelonca, se è l’alba, ciò ci viene segnalato da un cavaliere bianco che incrocia il nostro cammino. Se abbiamo proseguito sulla strada giusta, verso mezzogiorno, incroceremo un cavaliere rosso. E quando è ormai notte e saremo nei pressi del covo della strega, ci doppierà un cavaliere nero che punta a capofitto verso la capanna della Baba-jaga per esserne inghiottito. Il personaggio che spesso la mitologia russa affianca alla Baba-jaga è una bambina di nome Vassilissa. Quando la mamma di questa bambina muore, lascia in dono a Vassilissa un oggetto importantissimo: non un ritratto di se stessa a perenne memoria della madre, ma una bambola. La bambola ha due caratteristiche, la prima è che somiglia a Vassilissa in modo impressionante, la seconda è che come una bambina vera, per sopravvivere ha bisogno di mangiare. “Tienila sempre con te, e non mostrarla a nessuno; e se ti capiterà qualche malanno, dàlle da mangiare e chiedile consiglio. Essa mangerà e ti dirà come tirarti fuori dai pasticci”[1] dice la mamma a Vassilissa prima di morire. Vassilissa non è che avesse voglia di andare da una come Baba-jaga che aveva soprattutto la fama di divoratrice che hanno streghe e donnacce ma, obbligata dalla circostanze, si mette la bambola in tasca, raggiunge la spelonca, e intavola con la Baba-jaga una conversazione pericolosissima. Un dialogo in cui una risposta sbagliata o un ordine faticoso da portare a termine e non ottemperato correttamente, sono rischio di morte. Vassilissa che è solo una bambina, la spunta perché non dimentica, nonostante la paura e la propria fame, di dare da mangiare per prima cosa alla sua bambola. La bambola in cambio, risponde per lei alle domande a trabocchetto poste dalla strega e compie al posto della bambina tutti i lavori adulti e vessatori che la Baba-jaga impone a Vassilissa se davvero la bambina vuole in cambio il fuoco.
Ma cos’è il fuoco in questa storia russa così remota e così attuale oltre che qualcosa che bruciando può uccidere, cuocere o riscaldare? Vassilissa ha tutti i motivi per essere arrabbiata: muore la madre, la matrigna le impone di rischiare la vita con la scusa di dover procurare da buona figlia, qualcosa che manca a tutti. E può essere pure che il fuoco della Baba-jaga in ultima analisi risulti essere proprio quella rabbia tanto femminile, e poco femminile, che deturpa la visione angelicata delle bambine. E le rende tutte delle potenziali streghe, se non fanno attenzione a mistificare certe sgradevolezze che la convivenza necessariamente prolungata con una Baba-jaga potrebbe rendere indelebili.
La rappresentazione della rabbia femminile ha in se qualcosa di poco femminile. Gli studi più recenti in ambito delle neuroscienze[2] ci dicono che anche gli obiettivi biologici delle donne sono quelli di creare legami, formare gruppi, organizzare orchestrare il proprio mondo in modo di esserne al centro, sia come riferimento che come punto nevralgico. Ma per le donne il mondo da egemonizzare inizialmente è legato al contesto familiare. La madre morente di Vassilissa orchestra positivamente le cose in modo che il primo riferimento della bambina non sia la sua propria madre, in quanto madre perduta, ma Vassilissa stessa attraverso un rapporto speculare con una bambola che le somiglia. E’ questo che rende invincibile Vassilissa perché la prima cosa che la ragazza non dimentica di orchestrare a sua volta, è quella di procurare il cibo alla sua bambola e di giocarsi in modo vincente il rapporto con la rabbia. Secondo Louann Brizendine, creare egemonie, seppure differenti da quelle degli uomini, sembrerebbe quindi una questione chimica innestata nel cervello delle donne, piuttosto che significare una necessaria presa di coscienza a posteriori. Su questo tipo di talento o iattura biologica si sono diversamente formate tutte le società, sia che questo fosse esercitato nell’ambito ristretto e privato della propria cerchia, sia che l’ambito fosse allargato e si esercitasse all’interno di comunità più estese. La famosa aggressività femminile emerge nel proteggere quanto è più importante per ognuna in quel momento. Come quella maschile del resto. Ma in ciò si deve tenere conto di una discriminante: la percezione istintivamente ambivalente che una donna ha rispetto a quello che  veramente le appartiene, quando la questione che pretende di essere universale chiaramente non la comprende.

L’ospedale delle bambole. Elena Ferrante e l’identità delle italiane in uscita per l’Iguana Editrice in autunno.

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[1] Antiche fiabe russe, a cura di Aleksander Nicolavič Afanasjev, Einaudi, 1953
[2] L. Brizendine, Il cervello delle donne. Capire la mente femminile attraverso la scienza, BUR, 2007


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