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Vauro scrive a Dario Fo: “Compagno che cosa ci facevi sul palco di Beppe Grillo?”

Creato il 03 dicembre 2013 da Tafanus

Il vignettista scrive al premio Nobel per chiedere spiegazioni sulla sua partecipazione al 3° V Day del Movimento 5 Stelle. In particolare non gli sono piaciute alcune espressioni pronunciate da Beppe Grillo: "Brutte parole 'vincere e vinceremo'" (Fonte: Il Fatto)

Vauro scrive a Dario Fo: “Compagno che cosa ci facevi sul palco di Beppe Grillo?”
Dario Fo grillino - Il "Nuovo che Avanza" ha 87 anni Vauro

"Che cosa ci facevi su quel palco?". Il vignettista Vauro ha deciso di scrivere una lettera aperta al premio Nobel Dario Fo per chiedere spiegazioni sulla sua partecipazione al 3° V Day del Movimento 5 Stelle. A far discutere, secondo l'autore, sarebbero le frasi pronunciate da Beppe Grillo che ricordano le parole di Mussolini. "' Dobbiamo vincere e vinceremo'. Che brutte parole. Sì, certo, c'era anche la parola 'rivoluzione' che ti piace e piace anche a me. Però non è rivoluzione strillare che tutti sono morti, cadaveri. E se lo è non mi piace".

Vauro commenta la giornata di Genova, quando sul palco si è esibito anche Dario Fo per un lungo monologo, ed esprime le sue perplessità. "Non mi piacciono i portatori di verità assolute ed indiscutibili, non mi piace chi non ha dubbi e non mi piacciono nemmeno le piazze quando non sanno che ripetere le parole del capo. Ecco sì, le parole del capo. Condivido rabbia e sdegno ma non posso condividere parole macabre e di macabra memoria. Tu credo mi possa comprendere perché sai meglio di me quanto le parole siano anche contenuto. Allora scusami Dario per quello che ti chiedo. Ti chiedo di scendere da quel palco Compagno Dario. Scendi per favore. Con l'affetto e la stima di sempre".

Ho già criticato Dario Fo e Signora quando furono fulminati sulla via del dipietrtismo - che già ne avevano connotato la forte propensione per i movimenti populisti. Propensione che non prometteva niente di buono. Infatti Dario Fo, dopo la totale dissoluzione del dipietrismo, l'ho aspettato al varco dei populisti che avrebbero sostituito Di Pietro. Ed eccolo, surreale e patetico, a 87 anni, accanto al nuovo, sconclusionato populista. il Rag. Grillo.

Vauro scrive a Dario Fo: “Compagno che cosa ci facevi sul palco di Beppe Grillo?”
Ho sempre ammirato il Dario Fo attore, la sua incredibile bravura per la mimica, per il "grammelot", e per l'impegno antiberlusconiano. Da giovane, mi sono fatto il culo quadrato per assistere a tutto Dario Do (e più volte) sugli scomodissimi gradoni in cemento, senza spalliera, della " Palazzina Liberty", veri strumenti di tortura. Anche per il Fo autore teatrale ho avuto spesso una grande ammirazione, e per il Fo di " Questo Dario Fo mette tristezza, specie a chi lo aveva battezzato uomo di sinistra. Vederlo affiancare uno sconclusionato urlatore di cazzate, e il Casaleggio che prevede la distruzione del genere umano ormai imminente (ci restano solo 6 anni...) mi fa sentire tradito. Ma nella vita degli uomini spesso le cose si tengono. La "strambata" di Dario Fo da uomo che molti avevamo ritenuto di sinistra, verso Di Pietro prima, e verso Grillo poi, ci hanno riportato alla memoria il giovane Dario Fo repubblichino, che avevamo trroppo frettolosamente rimosso. Colpa nostra. Coi "troppo bravi" non si deve mai abbassare la guardia... Tafanus Morte accidentale di un anarchico", e di " Mistero Buffo". Fine dell'ammirazione.

Vauro scrive a Dario Fo: “Compagno che cosa ci facevi sul palco di Beppe Grillo?”

Mussolini, 1931 - Rag. Grillo, 2013


Quando Dario Fo militava nella Repubblica Sociale di Salò (Fonte: Wikipedia)
Nel 1975, Giancarlo Vigorelli sul quotidiano Il Giorno scrisse: " Anche Fo sa di avere in pancia l'incubo dei suoi trascorsi fascisti", Fo querelò il giornalista e il quotidiano per diffamazione e la vicenda si concluse con la pubblicazione di una rettifica. Ma il senatore Giorgio Pisanò del Movimento Sociale Italiano, storico e direttore del "Candido", documentò il trascorso repubblichino di Dario Fo, volontario nei parà e sottufficiale delle Brigate Nere, che si distinse per i rastrellamenti casa per casa nei centri vicini al Lago di Como.
Nello stesso anno il deputato democristiano Michele Zolla presentò invano un'interrogazione al Ministro della Difesa per sapere se rispondesse a verità questo fatto [...] Nel 1977 Fo querelò per diffamazione Gianni Cerutti per aver pubblicato su "II Nord" un articolo che lo attaccava con parole pesanti: "A Fo non conviene ritornare a Romagnano Sesia, dove qualcuno lo potrebbe riconoscere: rastrellatore, repubblichino, intruppato nel battaglione Mazzarini della Guardia Nazionale della Repubblica di Salò".
Fo risponde querelando Cerutti. Il processo di svolse a Varese dove veniva stampato Il Nord: alla prima udienza, nel febbraio 1978, Fo fu messo dinanzi ad una foto che lo vedeva con la divisa della Rsi e si giustificò raccontando che all'età di 18 anni, nel 1944, collaborava con il padre, esponente della Resistenza nel Varesotto. Preso tre volte dai tedeschi, e sempre scappato, si era arruolato volontario nei paracadutisti di Tradate, ma lo aveva fatto per non destare sospetti, anzi d'accordo con i partigiani amici del padre.

Il suo sogno era sempre stato quello di unirsi alla formazione militare Lazzarini, la banda partigiana terrore dei nazifascisti sulla riva orientale del Lago Maggiore. Nel frattempo a marzo il giornalista Luciano Garibaldi sul settimanale Gente pubblicò la foto di Dario Fo in divisa da parà repubblichino con le testimonianze di una decina di ex-camerati di Tradate tra cui Carlo Maria Milani secondo il quale Fo partecipò, con il compito di portare bombe, al rastrellamento della Val Cannobina per la riconquista dell'Ossola.
Nello stesso articolo è presente l'intervista dell'ex comandante partigiano Giacinto Lazzarini: "Le dichiarazioni di Dario Fo destano in me non poca meraviglia. Dice che la casa di suo padre era a Porto Valtravaglia, era un "centro" di resistenza. Strano. Avrei dovuto per lo meno saperlo. Poi dice che "era d'accordo con Albertoli" per raggiungere la mia formazione. Io avevo in formazione due Albertoli, due cugini, Giampiero e Giacomo. Caddero entrambi eroicamente alla Gera di Voldomino e alla loro memoria è stata concessa la medaglia di bronzo al valor militare.
Forse Fo potrà spiegare come faceva ad essere d'accordo con uno dei due Albertoli di lasciare Tradate nel gennaio 1945, quando erano entrambi caduti quattro mesi prima. Senza dire, poi, che i cugini Albertoli erano tra i più vicini a me e mai nessuno dei due mi parlò di un Dario Fo che nutriva l'intento di unirsi alla nostra formazione [..] Se Dario Fo si arruolò nei paracadutisti repubblichini per consiglio di un capo partigiano, perché non lo ha detto subito, all'indomani della Liberazione? Sarebbe stato un titolo d'onore, per lui. Perché mai tenere celato per tanti anni un episodio che va a suo merito?".
Subito dopo in un'intervista a La Repubblica Fo dichiarò: "Io repubblichino? Non l'ho mai negato. Sono nato nel '26. Nel '43 avevo 17 anni. Fino a quando ho potuto ho fatto il renitente. Poi è arrivato il bando di morte. O mi presentavo o fuggivo in Svizzera. Mi sono arruolato volontario per non destare sospetti sull'attività antifascista di mio padre, quindi d'accordo con i partigiani amici di mio padre". Le dichiarazioni di Milani e Lazzarini provocarono grande scalpore, tant'è che testimoniarono durante il processo di Varese contro Fo il quale, dopo un acceso confronto, li denunciò per falsa testimonianza. La querela al comandante partigiano Giacinto Lazzarini provocò non poco stupore, poiché nella biografia "La storia di Dario Fo", di Chiara Valentini, si legge che "il leggendario comandante Lazzarini fu l'idolo della mia vita".
Il processo di Varese durò un anno e si concluse, dopo oltre dieci udienze, il 15 febbraio 1979 con una sentenza che assolve per intervenuta amnistia il direttore de II Nord. Nel 1979 nella sentenza fu scritto: "È certo che Fo ha vestito la divisa del paracadutista repubblichino nelle file del Battaglione Azzurro di Tradate. Lo ha riconosciuto lui stesso - e non poteva non farlo, trattandosi di circostanza confortata da numerosi riscontri probatori documentali e testimoniali - anche se ha cercato di edulcorare il suo arruolamento volontario sostenendo di avere svolto la parte dell'infiltrato pronto al doppio gioco. Ma le sue riserve mentali lasciano il tempo che trovano. [...] lo rende in certo qual modo moralmente corresponsabile di tutte le attività e di ogni scelta operata da quella scuola nella quale egli, per libera elezione, aveva deciso di entrare. È legittima dunque per Dario Fo non solo la definizione di repubblichino, ma anche quella di rastrellatore".
Milani fu assolto dall'accusa di falsa testimonianza con sentenza definitiva nel 1980 perché "il fatto non sussiste". La sentenza non fu appellata e così passò in giudicato. Fo dichiarerà poi nel 2000 al Corriere della Sera: "Aderii alla Rsi per ragioni più pratiche: cercare di imboscarmi, portare a casa la pelle (...insomma, un "eroe dei nostri tempi, per fortuna non imitato dai resistenti veri della Val d'Ossola e di tutta Italia. NdR) . Ho scelto l'artiglieria contraerea di Varese perché tanto non aveva cannoni ed era facile prevedere che gli arruolati sarebbero presto stati rimandati a casa. Quando capii che invece rischiavo di essere spedito in Germania a sostituire gli artiglieri tedeschi massacrati dalle bombe, trovai un'altra scappatoia. Mi arruolai nella scuola paracadutisti di Tradate. Poi tornai nelle mie valli, cercai di unirmi a qualche gruppo di partigiani, ma non ne era rimasto nessuno" [...]
Nel 2007 viene pubblicata l'autobiografia "Il mondo secondo Fo. Conversazione con Giuseppina Manin" editore Guanda. Nel libro viene riaperta la questione, Dario Fo "ha fatto parte della Repubblica di Salò", osserva l'intervistatrice Giuseppina Manin, coautrice del libro. Dario Fo non si sottrae e risponde che quella "parentesi" lui non l'ha "mai negata". Ammette di essersi arruolato "per salvare la pelle" [...]
Nel 2007 Ercolina Milanesi, giornalista, collaboratrice e free-lance su diversi quotidiani nazionali, ha scritto che nel 1944-1945 era sfollata a Cittiglio (VA), ha raccontato che conosceva bene Dario Fo e ha ricordato che "Un giorno si presentò tronfio come un gallo per la divisa che portava e ci tacciò di pavidi per non esserci arruolati come lui" [...]
Peccato, Fo... certe cose si tengono, e i fantasmi del passato a volte ritornano. Anche per ricordarci che non bisogna mai abbassare la guardia (e la soglia del ricordo), specie quando il "virtuosismo attoriale" tende a farci dimenticare troppo frettolosamente un passato segnato da troppe stranezze.


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