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Venere in pelliccia

Creato il 20 novembre 2013 da Giorgioplacereani
Roman Polanski
Poiché un'ossessione ricorrente nel cinema di Roman Polanski è il rapporto amoroso/sessuale come rapporto di potere, e ciò connesso a un misto di attrazione e paura nei confronti della donna, era scritto nelle stelle l'incontro fra l'universo di Polanski e l'opera di Leopold Sacher-Masoch. Ecco dunque lo splendido Venere in pelliccia,tratto dal testo teatrale Venus in Furdi David Ives, che mi scuso di non conoscere. Va detto, quindi, che in tutto quel che attribuirò a Polanski in questa recensione ha parte Ives; il quale peraltro, oltre ad aver sceneggiato col regista il film, sembra concretizzare per Polanski la figura dell'autore ideale.Siamo in un teatro off (tanto off che la H di Théâtreè caduta) di Parigi, nel quale è appena andata in scena una versione musical di Ombre rosse; gli elementi scenografici rimangono ancora sul fondo, e uno - un alto cactus fallico - avrà un ruolo nell'azione. Thomas (Mathieu Amalric, truccato in modo da assomigliare a Polanski giovane) è il classico intellettuale parigino e Wanda (Emmanuelle Seigner che di Polanski è la moglie e musa), un'attricetta senza fortuna, provano una piècedi Thomas tratta da Sacher-Masoch appunto. Wanda è arrivata tardi, zuppa di pioggia, alla selezione del cast (onde i due sono soli in teatro); inoltre è volgarissima e superbamente ignorante (di tutta questa parte divertentissima cito solo la sua immortale domanda su Venere in pelliccia: “C'entra la canzone di Lou Reed?”). Thomas accetta di provare con lei - assume il ruolo dell'amante-vittima nel testo - solo perché commosso (o meglio incastrato) dalle sue lacrime. Ah, ma la coincidenza fra il nome dell'attrice e quello del personaggio avrebbe dovuto metterlo in guardia. Entrando nel personaggio, Wanda si trasforma completamente; anche perché quella sua paurosa ignoranza si rivela un'inquietante finzione, e lei conosce sia il romanzo sia la pièce; assume il ruolo di Wanda, la dominatrice, con perfezione assoluta (nota in margine: Emmanuelle Seigner è ottimamente doppiata da Emanuela Rossi ma vedere questo film in originale dev'essere glorioso). Lei s'intende anche di illuminazione scenica e comincia a sottomettere Thomas dirigendo la sua recitazione (“Ci metta un po' d'impegno”). Così, attraverso un gioco finissimo di accenni e di nuances, di ritirate strategiche e di cariche vittoriose, la prova diventa un jeu de massacre(completa di una situazione parodisticamente psicoanalitica). Tutto ciò è molto polanskiano invero; si riproduce il suo classico tema dei personaggi che si sbranano in uno spazio chiuso (ancor più che il recente Carnage, vorrei ricordare Cul-de-sac). Ha un ruolo importante (e come non potrebbe?) il feticismo: la servitù amorosacomincia coll'allacciare per cortesia un vestito sul dorso, culmina con i fascinosi stivali alti di Emmanuelle Seigner (comparivano già in Luna di fiele), per finire, come deve finire, con l'adorazione del piede. E' interessante notare come in questa prova nel teatro vuoto gesti e oggetti si mimano soltanto, e però lo spettatore sente i rumori degli oggetti mimati (per esempio piattino e tazzina da caffè); mentre gli unici oggetti a comparire in scena materialmente - spaventando Thomas - sono le armi: un coltello prima, una pistola poi. Continuamente il regista e l'attrice entrano ed escono dal loro ruolo di personaggi - volutamente la dominatrice Wanda, involontariamente un Thomas sempre più soggiogato - fino a confondere le identità fisiche. Magia del teatro, questa! Che si realizza nella prima parte del film sovrapponendo i ruoli alla realtà biografica; qui l'intelligente commento musicale di Alexandre Desplat si prodiga nel far coincidere con delicata perfidia personaggio-regista e personaggio-personaggio; mentre nella seconda parte i ruoli addirittura si identificano fra loro in un gioco di scambio. E' davvero affascinante come il film illustri con minuziosa attenzione questo processo in tutte le piccole tappe, tutti i minimi particolari, con un'inesorabilità (vorremmo dire) geologica. E' un darsi, un farsi conquistare, un arrendersi totale, finché - come in un metafisico montaggio alternato griffithiano - i due percorsi convergenti arrivano allo stesso punto. L'assimilazione è compiuta, il regista è schiavo al pari del personaggio (e infatti Wanda lo ribattezza per farli coincidere meglio); ma contestualmente il gioco del dominio erotico diventa gioco di rovesciamenti fra dominante e dominato, fra servo e padrone (aveva già detto tutto il vecchio Hegel). Chi domina chi? Questo è il tema dell'amore. Il testo di Sacher-Masoch e il vissuto di Thomas (e in evidente filigrana il vissuto di Polanski stesso) esplodono rivelando tutte le loro ambiguità. Ora Wanda diventa (ingannevolmente) dominata; ed ora l'uomo diventa Wanda, truccato da donna e legato all'albero-cactus. Venere in pellicciaè un'illustrazione dell'amore in corpore vili– di una forza e una lucidità che ha pochi paralleli negli annali cinematografici. Il romanzo di Sacher-Masoch contiene (è Wanda a ricordarlo a Thomas!) un'apparizione immaginaria di Afrodite. Sotto la regia di Wanda questa parte, mancante nella pièce, vi viene immessa, con una spiritosissima Afrodite tedesca. Ma qui bisogna fare attenzione. Da sempre il cinema di Polanski ci mostra il crollo delle nostre fragili costruzioni esistenziali, della nostra apparente realtà, sotto l'irrompere dell'assurdo. Molti sono i segni di quest'assurdo in agguato, in Venere in pelliccia(per esempio non un caso che la giacca da camera d'epoca, portata da Wanda che dice di averla comprata al mercato delle pulci, calzi a Thomas come un guanto). Wanda è Afrodite, in una circolarità perfetta fra il testo e il contesto. E il film culmina in una memorabile danza di vittoria di Wanda-Venere, nuda sotto la pelliccia, intorno a Thomas legato (quella lingua di Medusa che lei esibisce è il coronamento della violenta materialità arcaicadella sua danza). E' la sconfitta del maschio per mano della donna che credeva di dominare. Wanda: “Non si prende per il culo una dea”. Così il film si conclude e, pervertita di senso, la frase biblica “Il Signore onnipotente lo colpì e lo mise nelle mani di una Donna” compare come sigillo della storia del miserello Thomas. I titoli di coda compaiono su una lunga serie di dipinti classici di Venere, da quella di Tiziano menzionata da Sacher-Masoch a Velasquez a Cranach al sensuale accademico ottocentesco Cabanel (non ho capito perché vi sia anche una Danae: un errore?)... Venere la trionfatrice.

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