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VENEZIA 70: Chi ha paura del cinema che riflette (sul)la crisi mondiale?

Creato il 27 agosto 2013 da Oggialcinemanet @oggialcinema

VENEZIA 70: Chi ha paura del cinema che riflette (sul)la crisi mondiale?

Vale la pena dirlo subito: dopo l’edizione memorabile di Cannes 66 era dura metter su un programma dignitoso che rispettasse l’equilibrio, usuale a Venezia, tra cinema d’autore e abbuffata di star da dare in pasto al famelico parterre di fotografi, curiosi e addetti ai lavori. La 70a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica diretta da Alberto Barbera ci ha comunque provato: Oggi al cinema vi propone una riflessione su film e star più attese, ma anche su tematiche, problematiche, snodi cruciali, spunti e novità di questa nuova attesissima edizione.

DANDO I NUMERI:
13 milioni di budget per mettere insieme l’edizione numero 70, 1534 i lungometraggi visualizzati tra cui ne sono stati scelti soli 54. Così suddivisi: 20 in Concorso, 17 Fuori Concorso e 17 nella sezione Orizzonti, che vanta anche 14 cortometraggi. 38 sono le opere restaurate in Venezia Classici, di cui 9 documentari. 19 i film statunitensi in programma, dal film di Terry Gilliam The Zero Theorem fino al nuovo di James Franco Child of God, passando per il film d’apertura in 3d Gravity con Sandra Bullock e George Clooney protagonisti.

GLI ITALIANI TEMONO VENEZIA?
Domanda d’obbligo, anche se sono 21 le opere provenienti dallo Stivale presenti a vario titolo in programma. Tre in concorso, L’intrepido, Via Castellana Bandiera, Sacro Gra, firmate rispettivamente Gianni Amelio, Emma Dante e Gianfranco Rosi. Altre 18 sparse tra Fuori Concorso, Orizzonti e Documentari. E’ vero che gli autori italiani hanno paura o mal tollerano di passare per la Mostra di Venezia? Risponde Barbera: “E’ sempre successo, anche in passato, che autori italiani si lamentassero della critica italiana e del suo atteggiamento più aggressivo nei confronti dei nostri registi. E’ un problema sempre esistito che forse esisterà sempre. Ma siamo sinceri: avete mai visto film veramente buoni sbeffeggiati dalla critica? L’anno scorso non ci fu nessuna pellicola accolta con risate e fischi: probabilmente occorre un po’ ridimensionare questa leggenda. Così come le polemiche sugli italiani che vincono o meno i premi, polveroni mediatici assurdi”.

LARGO AI DOCUMENTARI.
Per la prima volta in assoluto spuntano nella sezione competitiva ben due documentari: Sacro Gra di Gianfranco Rosi e The Unknown Known: the Life and Times of Donald Rumsfeld. Niente più distinzione, quindi, tra cinema moderno e documentario: “E’ una distinzione inadeguata e imprecisa – sottolinea Barbera – Nel cinema moderno i passaggi al documentario sono continui. Rosi ha passato tre anni a girare sul raccordo anulare, senza mai allontanarsene, e ne ha tratto un affresco visionario su un universo dove la realtà sconfina in qualcos’altro”. Da segnalare, tra gli altri, il nuovo lavoro di Costanza Quatriglio Con il fiato sospeso, con Alba Rohrwacher, La voce di Berlinguer di Mario Sesti e Theo Teardo, ma anche il documentario sul movimento delle Femen Ukraina is not Brothel di Kitty Green. Per i cinefili c’è poi la gustosa sezione Documentari sul cinema: si va da Bertolucci on Bertolucci di Luca Guadagnino a Istintobrass di Massimiliano Zanin, passando per Lino Miccichè, mio padre. Una visione del mondo realizzato dal figlio Francesco.

L’OMAGGIO AL PASSATO/FUTURO.
Per soffiare sulla settantesima candelina della Mostra e celebrarla in modo sobrio ma cinefilo, scatta l’idea Future Reloaded: registi di tutto il mondo almeno una volta presenti al festival con la propria opera sono stati invitati a elaborare micro-cortometraggi della durata massima di 90 secondi. Tema prescelto il futuro del cinema, tra gli autori che hanno già aderito spiccano Bernardo Bertolucci, Paul Schrader (alla Mostra con The Canyons), Abbas Kiarostami, Monte Hellman e Walter Salles. Gli altri si scopriranno giorno per giorno, sul sito web della Biennale www.labiennale.org, dove a fine Mostra verranno pubblicati e messi gratuitamente a disposizione dei visitatori.

SEGUIRE IL FESTIVAL DA CASA: IL WEB.
D’accordo, i costi del Lido sono sempre proibitivi, ma è un peccato non potersi godere le opere proposte dalla sezione Orizzonti. La soluzione? Sulla scia del successo dello scorso anno, la Mostra ripropone i film sul web e offre a 500 visitatori la possibilità di vedere un film a soli quattro euro (previa prenotazione online). Un bel modo per “amplificare l’effetto promozionale di film di giovani autori e esordienti” e per avvicinare un’altra fetta di pubblico al cinema più invisibile.

PREPARARE GLI AUTORI DI DOMANI.
Si chiama Biennale College ed è in assoluto l’idea migliore della Mostra. Migliore in quanto concreta, migliore perchè forma gli autori di domani, migliore infine in quanto prova a investire su talento e cultura. Vedremo dunque i tre lungometraggi sviluppati e prodotti da Biennale College – Cinema: l’italiano Yuri Esposito, il thailandese Mary is happy, Mary is happy, e l’americano Memphis. E intanto è partita la seconda edizione.

TUTTI AL MERCATO.
Un film non esiste fin quando non c’è qualcuno che ci crede anche concretamente ed economicamente, e gli dà la chance di essere visto, uscire in sala, esistere appunto. Come nei grandi festival internazionali, anche a Venezia è stato quindi potenziato il mercato, ideale trampolino di lancio per i film, attraverso il prolungamento di un giorno, più quattro sale a disposizione per proiezioni dedicate agli addetti ai lavori, dalla Pasinetti a tre sale all’interno dell’Hotel Excelsior.

VIVA IL 3D!
Che sia una Mostra attenta alle nuove tecnologie e ai nuovi linguaggi visivi lo testimonia già la scelta dei film di apertura e chiusura, entrambi in 3d. Uno è l’attesissimo Gravity con Sandra Bullock e George Clooney in versione austronauta (a dirigerli c’è Alfonso Cuaron del memorabile Figli degli uomini). L’altro Amazonia di Thierry Ragobert, un documentario che è anche, sempre secondo Barbera, “un film di finzione, anche se non ha personaggi umani: ci sono animali, abitanti della foresta, e una tenue ma significativa traccia narrativa”.

LA CARICA DEGLI INTERMINABILI.
Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate. Nel senso: evitate di far attendere amici fuori dalla sala e non pensate di ‘sbrigarvela’ con poco. Nella selezione spuntano pellicole da quattro-cinque ore come niente fosse. Del resto, un festival serve a far vedere anche e soprattutto opere di difficile circolazione. Preparatevi quindi ad essere trasportati per ben tre ore e quaranta 3 ore e 40 in un ospedale psichiatrico cinese (Til Madness Do Us Apart), o a seguire un film tedesco in concorso di tre ore (The Police Officer’s Wife). Più lungo, ma sempre tedesco, Die Andere Heimat, mentre supera le quattro ore At Berkeley di Friederick Wiseman. E comunque anche un film d’animazione come il giapponese Space Pirate Captain Harlock dura 2 ore e 20. Lasciare a casa l’orologio.

IL FILM Più SNOBBATO E IL Più BIZZARRO.
Tom Hardy interpreta Locke, un on-the-road-movie che Barbera ammette “avremmo voluto mettere in concorso”. Già, peccato che “rischiava di diventare una sezione troppo affollata”. Povero Steve Knight. Chicca tra le chicche, da non perdere il remake giapponese di Gli spietati di Clint Eastwood, autorizzato dallo stesso Clint e reinventato da Lee Sang-li, con il grandissimo Ken Watanabe a interpretare il ruolo del regista e attore hollywoodiano. Parlando di bizzarrie, ci si aspetta molto rumore anche dal morboso Moebius di Kim Ki-Duk, che dividerà come sempre, e forse più di sempre, pubblico e critica.

VENEZIA E GLI SCARTI DI CANNES:
“Vorrei conoscere quel direttore di festival che non metta in programma opere di Coen, Jarmusch, Payne ma dica loro che non li prende perchè troppo affermati. Credo che debba ancora nascere”. Una giusta provocazione quella di Barbera, nel difendersi da chi già osa un confronto con Cannes, rispetto a cui inevitabilmente Venezia, come qualunque altro festival italiano, non può che uscire sconfitta. “Erano tutti a Cannes i nomi più autorevoli – ammette senza mezzi termini il direttore- Venezia ha fatto i conti con film già pronti e disponibili. Una Mostra deve sì tener conto dei grandi autori che appartengono al nostro immaginario e desiderio del cinema, ma deve anche saper rischiare e puntare su film che se non fossero sostenuti da una Mostra avrebbero vita difficile”. Ipse dixit.

GLI ASSENTI (e presenti a Toronto):
Puntuale come ogni anni il confronto con un altro titano, il festival di Toronto, a cui sono volati diversi film che avrebbero fatto gola a Venezia da Anni felici di Daniele Luchetti a Third person di Paul Haggis. Così Barbera (lo citiamo un’ultima volta): “Diversi i motivi per cui un film può non essere Venezia: magari non è pronto, lo attendiamo fino all’ultimo e niente. Oppure certi film visti non ci hanno convinto, o comunque meno rispetto a quelli selezionati e dati i pochi spazi a disposizione certe scelte diventano obbligate. Infine motivi contingenti: portare un film a Venezia dagli antipodi, magari con tante star, costa tantissimo.

LE STAR: DA GEORGE CLOONEY A LINDSAY LOHAN
Ferve il tappeto rosso, in attesa di ospitare le stelle, dagli habituè come George Clooney che in Italia oramai è di casa, fino all’harrypotteriano Daniel Radcliffe, al Lido con il film Giovani ribelli che dovrebbe segnare la sua prova di maturità. Sia chiaro, non si fa una Mostra per esibire attori sul red carpet, ma per sostere i film. Tuttavia logiche di marketing (e mediatiche) impongono la presenza di un nome forte per dare maggiore risonanza al film. E allora aspettatevi Nicolas Cage, Matt Damon, Scarlett Johannson, Sandra Bullock, Tilda Swinton, James Franco, Lindsay Lohan, Dakota Fanning. E ancora Christoph Waltz, Tom Hardy, Emma Roberts e i nostri Claudia Cardinale, Anita Caprioli, Sergio Rubini, Giuseppe Battiston, Alba Rohrwacher, Valeria Solarini. In altre parole, preparate i flash.

di Claudia Catalli per Oggialcinema.net


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