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#Venezia71: Leone d’oro al piccione, tapiro d’oro a Martone

Creato il 07 settembre 2014 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

leone-oro-anderssonI premi assegnati ai festival, si sa, nascono per dividere. La critica dal pubblico. I critici tra loro. La giura dal resto del mondo (critici e pubblico). I premi assegnati quest’anno alla 71esima edizione del Festival di Venezia dividono, e molto.

Il piccione d’oro, ops il Leone d’oro, è andato al film A pigeon sat on a branch reflecting on existence dello svedese Roy Andersson. La scelta della Giuria guidata dal compositore Alexandre Desplat è una delle più criticate degli ultimi anni, sospesa tra sdegno e stupore. Ciò che più fa gridare allo scandalo è come il film di Andersson, oramai agli annali come “il film sul piccione”, possa essersi aggiudicato il massimo premio della kermesse lagunare. Diciamo che poteva tranquillamente starci il Gran Premio della Giuria o un premio speciale (c’è da stracciarsi le vesti se pensiamo che è stato aggiudicato al turco Sivas), ma non il premio come miglior film, ovvero quello che incorona l’opera più completa e compiuta sotto ogni punto di vista. Si ha quindi l’impressione, per affinità di stile registico, che Philip Gröning abbia fatto la voce grossa.

Ci sta invece tutto il Leone d’argento (Miglior Regia) a The Postman’s White Nights di Andrei Konchalovski, di grandissima personalità registica e fotografica nella composizione del quadro filmico. Così come ci sta tutto il Gran Premio della Giuria a The Look of Silence di Joshua Oppenheimer.

In merito alle Coppe Volpi, erano secoli che a stringerle non fossero i due attori (maschile e femminile) di uno stesso film. Ad alzare il pesante trofeo sono Adam Driver e Alba Rohrwacher per Hungry Hearts di Saverio Costanzo. Meritatissimo il premio a lui, un po’ meno quello a lei. Perché la Rohrwacher riceve una sorta di riconoscimento “alla carriera” per un personaggio, quello della matta, che è nel suo Dna da anni, visto e rivisto più e più volte.
Meritati poi il Premio Marcello Mastroianni al giovanissimo Romain Paul per Le dernier coup de marteau e quello alla sceneggiatura andato all’iraniano Ghesseha (Tales).

Ciò che lascia senza parole è la totale dimenticanza nel palmarès di Birdman di Inarritu e de Il giovane favoloso di Martone. Il primo è un film di indiscusso valore, che poteva vincere tutto e invece, tristemente e senza motivo, non si aggiudica nulla. Alla fine della fiera, l’opera di Inarritu sembra essere stata (ab)usata come un oggetto di richiamo, un enorme trampolino di lancio per aprire un festival privo di indiscussi capolavori. Insomma, Birdman sedotto e abbandonato…

Il vero tapiro d’oro va purtroppo al film di Mario Martone su Giacomo Leopardi. Un’opera di una portata davvero epocale, di un’estetica raffinatissima, capace di svecchiare il biopic e rendere contemporaneo uno dei più impolverati scrittori italiani dell’Ottocento. Cari membri della Giuria, non volevate dare a Martone il massimo riconoscimento? Almeno concedete con magnanimità una “marginale” Coppa Volpi ad Elio Germano! E invece no, scornato in toto. Nasce quindi un insano e maligno pensiero: che questo triste risultato possa anche essere figlio dell’errata attribuzione, lo scorso anno, del Leone d’Oro all’italiano Sacro GRA? Si insinua il subdolo tarlo mentale che, per una legge non scritta e fuori dal mondo, uno stesso Paese non possa vincere quel benedetto Leone per due anni consecutivi…

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