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VeneziaFestival2014: i 5 film che ho visto oggi, giovedì 4 settembre

Creato il 05 settembre 2014 da Luigilocatelli
'The Postman's White Nights' di Andrej Konchalovskij

‘The Postman’s White Nights’ di Andrej Konchalovskij

ore 11,30: Pasolini di Abel Ferrara. Venezia 71-Concorso. Voto 6 meno
Divisive. Molti l’hanno adorato, molti per niente. Qualcuno alla fine ha gridato: avete ucciso Pasolini una seconda volta. Esagerati. Non è il caso di indignarsi per lesa pasolinità. Anzi il merito questo film di Abel Ferrara è di evitare ogni retorica e ogni monumentalizzazione del suo protagonista, di stare alla larga dall’agiografia e dal martirologio. Per fare che cosa? Ecco, questo non s’è capito bene. Si ricostruisce l’ultima giornata di Pasolini, dall’intervista su Salò-Sade rilasciata a una radio francese fino alla spiaggia fatale di Ostia. Evitando però il cronachismo e il realismo spicciolo, inserendo visualizzazioni-ricostruzioni, da parte di Ferrara, di brani di Petrolio, il romanzo rimasto incompiuto, e del film sul re magio Epifanio che Pasolini avrebbe voluto girare con Eduardo. Più l’intervista rilasciata a Furio Colombo da cui si estraggono i brani per così dire più profetici e sapienziali e apocalittici sulla catastrofe della modernità e la violenza montante. ‘Siamo tutti in pericolo’, suggerisce Pasolini come titolo per l’intervista. Un Pasolini sciamano, profeta della fine del mondo e della propria. Solo che Ferrara non ce la fa a cogliere le chance visionarie offertegli da una impostazione così eterodossa e confeziona un film glaciale, distante e distanziante, abulico, ipnotico nei rari buoni momenti, con un Willem Dafoe sonnambulo che sembra osservare il proprio personaggio da fuori (e mi è venuto in mente il Rod Steiger-Papa Giovanni, anzi ‘mediatore’ della storia di Papa Govanni, in E venne un uomo di Ermanno Olmi). Alcune scene sono francamente imbarazzanti, in primis tutto l’episodio di Epifanio/Ninetto Davoli. Ritroviamo Ferrara solo nelle meravigliose, fantasmatiche sequenze notturne di una Roma laida e pericolosa, e bellissima. E la scena della morte a Ostia è potente e selvaggia. Ma non bastano a risollevare il film. Che comunque vorrei rivedere.
ore 14,45: Court di Chaitanya Tamhane. India. Orizzonti. Voto tra il 6 e il 7
Lo si dà tra i possibili vincitori di Orizzonti, questo film indiano. Stiamo a vedere. In una piccola città viene arrestato e processato un cantante-cantastorie (i suoi ezzi sono una meraviglia, da soli valgono la visione del film), militante di sinistra da tempo immemore, con l’assurda accusa di aver istigato al suicidio con una sua canzone un uomo. Accusa chiarissimamente strumentale per far tacere ancora una volta la sua scomoda voce, e fa niente se ormai è solo un povero vecchio che non può più certo fare rivoluzioni. Lo difende un giovane avvocato, lo accusa una donna pubblico-ministero jenissima. Giudica un giudice equanime e integerrimo. Il film segue l’andamento (lento) del processo, si fa dettare i tempi dalle varie fasi del dibattimento, aggiungendo alle scene da classico courtrom-movie pezzi di vita privata, fuori dala corte, dell’avvocato, del pubblico ministero e del giudice. Ne vien fuori un ritratto dell’India assai diversificato, complesso, stratificato, lontano dai cliché, diviso tra le nuove borghesie grandi, medi e piccole, ma tutte rampanti, e gli eterni paria, gli eterni esclusi. Il limite grosso sta in un finale-non finale che lascia senza risposta fin troppi interrogativi.
ore 17,15: Theeb di Naji Abu Nowar. Orizzonti. Voto 7
Ecco, non mi aspettavo niente, ci sono andato giusto perché a quell’ora non c’era altro da vedere che non avessi già visto. Invece, piccola sorpresa. Un film coprodotto da Giordania, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Gran Bretagna che mi immaginavo come il solito piccolo kolossal oleografico di dune, cammelli e uomini veri dagli occhi di brace. Invece, anche muovendosi all’interno di quel genere, anche riproponendone tutti i cliché, Theeb è un bel coming-of-age che stupisce per finezza, spettacolarità, tensione drammatica, e per un finale per niente accomodante e piacione, e molto coerente e coraggioso (che potrebbe però costargli l’accesso ai mercati occidentali). Siamo nello Hijaz, la parte occidentale della penisola arabica dove si trovano le città sante di La Mecca e Medina. Ancora parte dell’Impero ottomano, ma già con gli arabi in rivolta contro i turchi aiutati dagli inglesi (avete in mente Lawrence d’Arabia? ecco, quella guerra lì). Su questo sfondo storico si muovono i protagonisti, tre beduini che devono accompagnare e guidare un soldato inglese disperso al suo battaglione. Due di loro sono fratelli, un giovane uomo e un bambino, Theeb. Avventure nel deserto, tra predoni, soldati turchi e ribelli. Theeb sdovrà imprarare a sopravvivere, e avivere, da solo. Il nuovo western – lo avevamo già visto in questo festival in Loin des hommes – è ormai quello del deserto, con i cammelli al posto dei cavalli. In Theeb c’è perfino la ferrovia che avanza e ridisegna vita e paesaggi, come in C’era una volta il West. Alla proiezione hanno presenziato produttori, regista e interpreti, e costoro nei loro costumi beduini. Naturalmente tutti a scattar foto col cellulare. Grandi applausi, meritati.
ore 19,30: The Postman’s White Nights di Andrej Konchaloskij. Russia. Venezia 71.Concorso. Voto 7+
Il concorso non smette di sfornare bei film. Toh, chi se l’aspettava dal Konchalovskij di A 30 secondi dalla fine, Siberiade e Maria’s Lovers, che di anni ne ha 77, un film così? Intendo, così fresco, vitale, fragrante, perfino allineato con certe tendenze del cinema ggiovvane, quello che mescola documentarismo, finzione, etnografia. In un villaggio nell’estremo Nord della Russia – ecco il perché delle notti bianche del titolo – un postino instancabile e un po’ impiccione si muove da una casa all’altra, se necessario attraversando con la sua barca il lago su cui affaccia il paesello, portando messaggi e soprattutto pensioni. Senza di lui, Ljosha, la vita di relazione collasserebbe. Attraverso il suo andare e veire conosciamo man mano quella piccola comunità, compresa Irina, la bionda di cui è innamorato, madre di un bambino che diventerà il compagno di scorribande di Ljosha. Liti, mugugni, rappacifiazioni. Un misterioso furto. Un viaggio nell vicina base missilistica. Un film incantevole, con momenti di assoluta grazia (la gita in barca con il bambino, lo stupire davanti ai missili). Potrebbe diventare un altro candidato ai premi. Occhio a Aleksey Tryapitsyn, potrebbe vincere la Coppa Volpi come migliore attore. Ha tutti i requisiti che piacciono alle giurie da festival, è bravo, è sconosciuto, non lavora a Hollywood, non parla inglese (cme l’attore russo appena premiato al Festival di Locarno).
ore 22,00: The Sound and the Fury di James Franco. Fuori concorso. Voto tra il 6 e il 7
L’instancabie James Franco, lo stakanov del cinema indie americano e di mille altre faccende, porta a Venezia il suo nuovo film da regista. Ancora una volta tratto da un’opera letteraria americana, perché si sa che il nostro c’ha una cultura e gli piace misurarsi con i classici. Stavolta pesca da Faulkner, e allestisce un’opera che, se ancora ci lascia qualche dubbio sulla sua statura di autore, è però assai dignitosa. Storia di una decadenza familiare, di una disgregazione clanica in una villa coloniale del Sud. Tre fratelli e una sorella. Diviso in tre capitoli, dedicati ai tra maschi, Benji, Quentin e Jason. Tutti comunque connessi inestricabilmente alla sorella Caddy. Un feuilleton con derive pulp, in cui Faulkner e Franco non si fanno mancare niente. Suicidi, incesti appena evitati, tare familiari, avidità, alcolismo. James Franco ha ormai uno stile riconoscibile e qui lo mette in mostra al meglio. Accumulo di dettagli, repentini passaggi da primi piani a panoramiche e viceversa, voice over con citazioni del romanzo, fluttuazioni tra presente e passato, montaggio velocissimo. Ottimo il lavoro di riduzione e concentrazione del libro. Film mai piattamente illustrativo. James Franco si riserva la parte del fratello con handicap mentale, e per le fans (e i fans) sarà una delusione vederlo così. Ma si sa che lui si diverte a mostrificarsi e a battere (al cinema) la wild side. In un cameo di impiegato del telgrafo si vede il suo grande amico Seth Rogen.


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