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Venghino siore e siori

Creato il 26 marzo 2014 da Posizione1 @ale_arbo

Perdonatemi il determinismo, ma se i convegni sull’innovazione li facciamo a Cancun, meta di turismo tipicamente americano, non possono uscire fuori altro che “americanate”, come le avrebbe definite mia nonna. Battute a parte, la FINA Water Polo Conference sembra essere riuscita a partorire anche stavolta proposte da baraccone. Ora, forse sarò conservatore io, ma sono ben poche le innovazioni regolamentari introdotte negli ultimi anni che ho giudicato positivamente. Ad esempio ancora non mi sono fatto persuaso, per citare Montalbano, di come una regola antisportiva come qazioneuella sul tiro d’angolo possa essere stata pensata, introdotta e confermata. Figuriamoci poi se sento riproporre a mo’ di peperonata l’idea di ridurre il campo e il numero di giocatori. Sono pienamente d’accordo con l’idea che una disciplina sportiva possa modificare le sue regole quando l’evoluzione tecnica lo richieda, lo sono molto meno con le grandi rivoluzioni che puntano a renderla “commerciale”. Per onestà aggiungo anche che gli sport troppo frenetici non fanno per me, tanto che non riesco ad assistere a più di tre minuti di un incontro di hockey o di calcio a 5, e per diversi aspetti rimpiango la pallanuoto degli anni ’80, quella più lenta ma più giocata e meno lottata, quella in cui il gesto tecnico era norma e non evento eccezionale. E queste proposte ad uno come me fanno l’effetto del Circo Barnum.

Quanto all’altra proposta “choc”, quella sulla diminuzione del tempo di possesso da 30 a 25 secondi. È una mossa assolutamente coerente con la riduzione delle dimensioni e del numero di giocatori, questo va riconosciuto, ma presa a sé stante sembra fatta da chi non ha mai visto una partita, oppure della pallanuoto apprezza solo le azioni in controfuga. “E allora il basket? Non sono forse passati a 24 secondi?”. Certo, lo hanno fatto. Ma sarebbe il caso di focalizzare la nostra attenzione su di un punto molto banale: il basket si gioca sul parquet, la pallanuoto in acqua. Quanto impiega un cestista a raggiungere l’altro lato del campo di gioco? E quanto impiega un pallanuotista medio (non Sandro Calcaterra, detto con tutto il rispetto e l’affetto che ho per lui, ma nemmeno Figlioli, per intenderci) a spostarsi da un’area  all’altra? Già oggi, con 30 secondi a disposizione (e ricordiamo che erano 35 fino a una decina di anni fa, e prima ancora 45) i primi 10 secondi del tempo di possesso se ne vanno col posizionamento delle due squadre. Un terzo del totale, talvolta pure di più se il portiere non trova un compagno da servire in ragionevole sicurezza per iniziare la fase di gioco. In un quadro del genere cinque secondi in meno non sono mica pochi, la conseguenza sul gioco è vedere la prevalenza della fase nuotata a quella statica, con un aumento dello sforzo fisico richiesto agli atleti. Si rischia di sterilizzare ulteriormente il gioco di attacco con la ricerca dell’espulsione, o per assurdo di ottenere l’effetto opposto a quello desiderato e fare un passo indietro agli anni ’60, quando il semicerchio di attacco non esisteva, gli attaccanti stavano in attacco e i difensori in difesa.

Sia come sia, credo che uno sport debba avere una sua identità e con essa presentarsi al mondo. E se ha successo il baseball (sport del quale sfido chiunque a intuire lo scopo e la dinamica semplicemente osservando il campo di gara), non vedo come non possa averlo la pallanuoto, il cui concetto di base è assolutamente elementare: mettere la palla in rete più volte di quanto non faccia l’avversario. Commentando la situazione in cui versa il Partizan dicevo che uno sport che non sa tutelare i suoi simboli è destinato a morire. Ma uno sport che si snatura per piacere agli altri evidentemente ha un forte difetto di autostima.


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