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Vento e pioggia. Testa e cuore.

Creato il 30 marzo 2015 da Emialzosuipedali @MiriamTerruzzi

Centoventidue chilometri. Ne mancano ancora centoventidue e le biciclette sono piegate dalle raffiche di vento, in bilico sotto la pioggia. Qua splende il sole e in Belgio non si vede a un palmo dal naso, le acque dei torrenti e dei fossi scorrono senza sosta riportando a galla il fango. Qualcuno ci finisce dentro rovinosamente perché il pavé bagnato fa slittare da maledetti e in queste condizioni si fa fatica persino a tenere diritta la bici, figuriamoci a non cadere.
GWE
Non c’è niente da dire che possa incoraggiare questa tremenda marcia fino al traguardo sotto la tormenta. Cadono, si rialzano, si sparpagliano e si riuniscono di nuovo, rondini in balia di una giornata senza primavera. E’ la Gand Wevelgem ma sembra tutt’altro. Un campo di battaglia, forse, maschere di fango che la pioggia quasi non fa in tempo a lavar via. Ciclismo eroico, lo chiamano. Eppure lì in mezzo si pensa solo a non cadere o perlomeno a non cadere dalla parte sbagliata per non rompersi una clavicola.
tim de waele 2
Andare in fuga in un giorno così è da pazzi. O forse no. Forse è solo l’unica soluzione per restare davanti. La fuga c’è ma si scompone, perde pezzi inesorabilmente, rimane Marteen Tjallingi solo al comando poi Jurgen Roelandts si stacca dal gruppo e lo recupera. In due in testa. Poi uno. Jurgen se ne va da solo, sbiadito dalla pioggia e dal vento. Le gambe, miracolosamente, sembrano trovare forza a ogni pedalata.
Lo inseguono in cinque: Vandenbergh, Debousshere, Thomas, Oss. Paolini e poi Terpstra li raggiungono. Forse non lo sanno ma, in un certo senso, sarà il loro lasciapassare per non cedere. Dietro, il gruppo rallenta senza sosta. Nessuna forza di seguire, nemmeno di proseguire. Due minuti e poi improvvisamente sei. E’ finita. Se la giocano questi. Sette più uno.
tim de waele
Jurgen sembra una figura irreale, da solo contro il vento, contro la pioggia. Di chilometri ne mancano ancora troppi anche se il suo vantaggio non crolla. Li tiene a due minuti. E’ costante, come se stesse dando cambi a sé stesso. Invece neppure il vento è a favore. Gli inseguitori, dietro di lui, sembrano naufraghi sopravvissuti per caso. Geraint Thomas inciampa in curva e cade, fa un salto mortale, atterra dalla parte sbagliata ma per fortuna finisce nell’erba. Un attimo. Risale in bicicletta senza battere ciglio e riprende i suoi compagni. E’ una gara a chi resiste di più, a chi resiste meglio. Non si può fare nient’altro: o cedere o resistere. Ma chi ha voglia di salire in ammiraglia ora quando di chilometri ne mancano quarantasette e il gruppo è naufragato? Daniel è forse il solo che non si è risparmiato mai, dall’inizio fino a qui, ha fatto di tutto per ricucire gli scatti, ha dato cambi forsennati in mezzo alla tormenta. Tutto per prendersi quell’occasione. E’ difficile dire che bisogna essere al posto giusto nel momento giusto, non è facile che succeda. E allora ti viene da cercarla disperatamente quando sai che le gambe ci sono, che non ti tradiranno.

Jurgen là davanti è stanco, il minuto scende. C’è il Kemmelberg che spezza le gambe. Muro, inferno in pavé, ascesa sconnessa che oggi è peggio di tutte le altre volte.

jurgen

Luca Paolini e Daniel Oss si staccano. Bastano pochi metri per fare il vuoto. Non è uno Stelvio ma è la legge di tutte queste corse del Nord che comanda qui.  Testa, cuore. E’ così difficile tenerli a bada tutte e due. Poi ci sono le voci da fuori, quelli che doveva andare così, quelli che si aspettano sempre il massimo. Basterebbe un kway e tre, quattro ore sotto la pioggia battente, con un vento sferzante sulla faccia per far diventare agnelli i leoni da divano. A quante cose devi pensare per rimanere lucido su un muro spacca gambe dopo chilometri infiniti di fuga? Forse a una cosa sola: restare attaccato alle ruote. 

Luca riprende il gruppetto. Daniel fa fatica, anche se non molla. Trenta secondi. Pochi, tanti. Le gambe fanno male adesso, pagano tutta la generosità di prima. C’è ancora vento, c’è ancora freddo, mentre tenta di non perdere ancora secondi, di raschiare tutto quello che rimane. Che il ciclismo è uno sport così, crudo fino all’anima. Bello a metà, coi suoi lati sinistri e aguzzi. Ti premia quando meno te l’aspetti, si ricorda di chi ha fatto fatica quando se ne scordano tutti gli altri. E ti lascia da solo all’improvviso, forse per farti dire che sei forte anche contro il vento gelido, il fango che scivola giù dalla fronte, le ossa zuppe di pioggia continua.
Davanti, intanto, sono ancora guerrieri senza sosta. Jurgen è stato ripreso, scivola indietro, le gambe si sono arrese prima di lui. Niki buca per l’ennesima volta, il meccanico fatica un po’ a staccare la bicicletta dalla macchina, forse per la paura di quei secondi che volano via. Di nuovo in sella, di nuovo in gruppo. Che cos’è se non una battaglia all’ultimo respiro? Provano insieme, lui e Paolini. Poi solo Paolini. Gli ultimi chilometri. Se ne va da solo. Piove ancora, le case lungo gli ultimi tratti in acciottolato sono ancor più rosse e gli infissi ancor più bianchi. Grigio il cielo, grigia la gente nascosta dai cappucci degli antipioggia. Tempo da Belgio, tempo da lupi. Sette più uno. E dietro i pochi sopravvissuti, trentanove soltanto.
Luca Paolini si prende la Gand Wevelgem senza pronostici. Pochi metri: si volta, non c’è nessuno. Si volta ancora, fa il segno di vittoria alla telecamera e poi mette una mano sul cuore e una sulla testa. Nessun urlo di vittoria riesce a bucare il televisore. I gesti sì. E forse Luca lo sapeva, sapeva che quei pochi secondi doveva spenderli così. Dicendo a tutti come aveva corso. Caduto, staccato e poi tra i fuggitivi, staccato di nuovo e poi ancora lì. Vento e pioggia, testa e cuore.
Ora c’è il tempo. C’è tempo per abbracciare il massaggiatore perdendo l’equilibrio, di aspettare le ultime rondini fradice e infangate che hanno sfidato fino alla fine questo giorno senza sole, c’è tempo di lavare via tutto, anche il freddo, con una doccia. Anche se niente laverà oggi. Le paure, le cadute, il sapore cattivo dell’acqua dei fossi, il vento senza pietà. Anche se niente laverà oggi. Il coraggio, la generosità fino alla fine, quei sette più uno che hanno navigato nella tormenta con le loro fragili barchette in carbonio. Testa, cuore e un lasciapassare per la gloria. Il primo e poi tutti gli altri. Ci vorrebbe un premio anche per chi resiste. Perchè è così difficile seguire l’istinto sotto le raffiche di vento, si perde di vista tutto. O quasi. E’ così difficile resistere in mezzo alla tormenta. Restare è una delle tante forme di coraggio, forse una delle più grandi.

la presse



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