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Verbano orientale e Varesotto # 2

Da Annaemy @Annaemily2

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Prosegue la serie di post…a puntate che possono dare l’idea di un viaggio tra ieri e oggi sulle rive del Verbano orientale e nel Varesotto.
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« ……….il mercato di Luino ci sembra il parco nazionale di un « folk » superstite, è una rappresentazione in cui si può entrare nel passato e uscirne a piacimento; un sociologo saprebbe spiegarlo molto meglio di noi. Infine, i veri motivi bisognerebbe chiederli agli scrittori luinesi Vittorio Sereni, poeta di « plafond » europeo, e a Piero Chiara, il romanziere de « Il piatto piange »…….con questo epilogo abbiamo chiuso il primo post del nostro viaggio.......
e da qui continuiamo……Sorriso
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Qui la roba, di una raffinatezza popolaresca, si dispone in un vasto repertorio; gli allestitori del mercato, senza saperlo, operano una vera regia merceologica. 
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C'è poi l'atto della compravendita che va oltre la portata economica: sono residui di forme e di comportamenti che altrove abbiamo troppo presto e sconsideratamente abbandonato. Sono le ultime, concrete liquidazioni che il mondo offre ancora, evitando le solite inibizioni: tutto è disponibile ai nostri desideri. 

Questo è il vero mercoledì di gala del lago, e più la festa è eterogenea più soddisfa. Vorremmo dire che si richiedono meno i fatti che i gesti, si partecipa a un rituale dove tutto, gioia, grida, fiato, allegria ed emozioni, sì consuma all'aperto.


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Un siffatto mercato dà ancora il senso dell'azzardo, fuori d'ogni convenzione; la gente continua a stupire della parata di banchi e tende, e gli imbonitori sanno coltivare questi piccoli miracoli come piante di serra. Per il compratore , c'è sempre la stupenda superfluità delle cose inutili a galvanizzarlo.
Senso dell'ordine e caos convivono sulla piazza e sul lungolago, come nelle pagine della storia.
Come molte città e paesi, Luino ha il suo enigma storico.

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Ha dato o meno i natali al « pittore delle Madonne » Bernardino Luini? Molti rispondono di sì, seguendo una tradizione affettuosa ma non critica. C'è chi assicura che esca dalla stessa famiglia di fra' Jacopino, precisando che suo padre apparteneva alla consorteria artigianale dei maestri comacini, i costruttori di Sant'Ambrogio di Milano, di San Zeno a Verona, di San Pietro in Ciel d'Oro e di San Michele in Pavia.

 

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Il Vasari, chiamandolo Lupino, gli dedica favorevolissimi giudizi: « Fu persona cortese, et amorevole molto delle cose sue, onde gli si convengono tutte quelle lodi che si devono a qualunque artefice che, con l'ornamento della cortesia, fa non meno risplendere le opere e i costumi della vita ».

Per il Luini i critici concordano sulla « immaginosa felicità con cui creava », accennano all'influsso che la pittura veneziana ebbe su di lui, escludendo però che la sua arte fosse dispersivamente eclettica.

Si arriva a un eccessivo arrotondamento della fantasia e si inventano episodi e aneddoti svarianti. 

Raccontano che, quando eseguiva gli affreschi della Pelucca a Milano, sofferse il più gran dolore della sua vita: l'amore contrastato e, anzi, con risvolti tragici, per una leggendaria Laura Pelucchi che gli avrebbe dato un figlio. Nella « Santa Caterina deposta dagli angeli nella tomba » egli avrebbe raffigurato le fattezze di Laura, una creatura che sotto più di un aspetto ci risulta «petrarchesca, e non già per l'omonimia. Sono in molti a considerare questa Santa Caterina il capolavoro del maestro.


Per noi, un artista mette la radici dove crea, e sono parecchi i modi di rinascere in altri luoghi: Luini è vivo a Milano, a Lugano (Chiesa della Madonna degli Angioli), a Bergamo, a Saronno e ancora altrove. 

Il giustificato patema dei luinesi è di non poter scoprire in nessun archivio il protocollo della sua nascita; invocano tuttavia l'autorità di Cesare Cantù, il quale ha raccolto nelle sue « Storie minori » una memoria del 1521 del seguente tenore: « Messer Bernardo "di Luvino " si è accordato a pingere il Cristo ». In verità si hanno scarsissime notizie di lui, delle sue origini, come pure della morte.


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La confusione è stata accresciuta dal fatto che è esistito un Giulio Cesare Luini valduggese, discepolo di Gaudenzio. Alcuni scrittori contribuirono a imbrogliare la matassa.
Altrettante congetture si fanno sul fratello del maestro, Ambrogio, sui figli Aurelio ed Evangelista, nati anch'essi «col pennello in mano ».
Si tenga infine presente che i rami, i casati dei Luini sono numerosi: un Anselmo Luini nel XII sec. fu arcivescovo di Milano e morì in Terrasanta; citiamo pure il gesuita Francesco L., professore  dell'ateneo pavese, e  il patrizio Giovanni Confalonieri Luini.

Però tutte queste sono dispute nominali: di certo gli studiosi troveranno nuovi terreni di caccia e costruiranno un modello matematico dell'anagrafe del grande pittore. 

E intanto i luinesi temendo di commettere un arbitrio storico non si sono attentati a erigergli un monumento.
Ma dov'è passato, il Luini ha già lasciato i suoi monumenti, né ha bisogno di essere epigrafato.

Che questa sia terra favorevole agli artisti appare indubitabile: in Val Travaglia, a Montegrino, nacqueGiovanni Carnevali detto il Piccio, che precorse nell'Ottocento la pittura moderna: di Ganna è  lo scultoreGiovanni  Grandi, autore della statua di Cesare Beccaria e del monumento per le Cinque Giornate di Milano. 

C'è infine il caso, recente, della Valcuvia, di Arcumeggia, ( vedi articolo su Arcumeggia QUI )dove una galleria di affreschi «en plein air» adorna l'intero paese, ed è un segno confortante della vitalità della nostra arte. 
D'estate, arrivano pittori, si scelgono una facciata bianca, e svolgono il loro lavoro a titolo assolutamente gratuito. 
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La nuova anima, la nuova tradizione di Arcumeggia ( vedi articolo su Arcumeggia QUI ) l'hanno costruita loro.
 Ci sono gli affreschi: « San Martino » di G. Montanari, la « Partenza dell'emigrante » di G. Migneco, « I Bambini nel bosco » di F. Menzio, sottilmente ritmati, una « Maternità » di B. Saetti, l'« Attesa » di F. Ferrazzi, « Il trionfo di Gea » di S. Monachesi; tutte opere di cui Manlio Raffo, uno dei promotori e il più attento cronista dell'iniziativa, racconta la gestazione. Vi aggiunge una « Allegoria » di L. Montanarini, una « Madonna » di C. De Amicis, la « Samaritana al pozzo » di E. Morelli, « Ragazza alla finestra » di G. Brancaccio, un « Cristo » di Tornea, i « Ciclisti » di Sassu che stabilisce validi motivi solidali tra il mondo dell'agonismo e quello della pittura, una « Speranza » di E. Tomiolo; un vasto affresco a soggetto sacro di R. Brindisi; « il Ritorno dell'emigrante » di F. Usellini, una « Madonna » di Funi, una « Corrida » di Dova.
Sul sagrato della chiesa si ammirano i quattordici affreschi della « Via Crucis ».

 

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Nella « Casa del pittore » sono ospitati gli artisti. I nuovi rapporti stabilitisi fra gli ospiti e gli abitanti hanno conferito ad Arcumeggia una singolare dimensione umana. Gli uni e gli altri vivono in un ambiente da « agorà » temperato da un gusto e da un cordialissimo etnos rustico.
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Se i dialoghi fra pittori e arcumeggesi fossero registrati o stampati, si avrebbero originali capitoli di una lezione di salutismo intellettuale che potrebbe giovare al nostro mondo malato. In tale senso l'arte che manda le sue arterie nella vita di una comunità è un bene non soltanto intellettuale, ma economico. ( vedi articolo su Arcumeggia QUI )

  

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