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Via D’Amelio. La verità è più vicina. Spatuzza parla e riconosce

Creato il 28 ottobre 2010 da Massimoconsorti @massimoconsorti

Via D’Amelio. La verità è più vicina. Spatuzza parla e riconosce. Fa sempre un certo effetto (“anche se non al cento per cento” – come ha detto Spatuzza), sapere che un funzionario dei servizi segreti italiani era presente nel garage dove si stava preparando l’auto bomba destinata a Paolo Borsellino. Fa un certo effetto perché se la testimonianza di Spatuzza dovesse trovare il riscontro definitivo (il cento per cento), finalmente si potrebbe mettere la parola fine all’inchiesta sulla strage di via D’Amelio e si sancirebbe, come va dicendo da anni Salvatore Borsellino, che il fratello è stato ucciso perché aveva avuto la pessima idea di mettersi di traverso nella trattativa che lo Stato stava portando avanti con Cosa Nostra. D’accordo, era il periodo delle stragi, quelle compiute con successo e quelle mancate d’un soffio a causa di un timer mal funzionante, ma lo Stato che abdica ai poteri mafiosi è uno scenario colombiano che nulla ha a che vedere con un paese “sano” se l’Italia lo fosse… un paese sano. L’antefatto di questa vicenda è presto detto. Gaspare Spatuzza, pentito di mafia al quale il governo Berlusconi ha negato lo status di collaboratore di giustizia, riconosce in una foto che gli hanno mostrato i magistrati che indagano sulla strage, Lorenzo Narracci, ex funzionario dei servizi segreti oggi all’Aisi. Narracci non era seduto al bar a fare colazione con i cannoli né assisteva a Palermo-Juventus, ma si trovava per un puro caso nel garage dove i “genieri” della mafia stavano imbottendo di tritolo la Fiat 126 (e poi c’è chi dice che le Fiat siano auto inutili!), che sarebbe stata portata di lì a breve a via D’Amelio. Spatuzza però, da killer serio qual è, dice anche che non è sicuro al cento per cento che quella persona che vedeva per la prima volta insieme agli uomini di Cosa Nostra fosse Narracci. Per cercare di dissolvere ogni dubbio, proprio ieri i magistrati di Caltanissetta titolari dell’inchiesta, decidono di sottoporre il pentito-non pentito a un confronto all’americana. Chiamano un po’ di persone fisicamente affini al funzionario dell’Aisi e chiedono a Spatuzza di indicare quello che secondo lui è Narracci. Bingo, centro al primo colpo. Narracci viene riconosciuto e indicato ai magistrati. Ma trattandosi di un argomento estremamente delicato e non volendo fare Spatuzza la figura del peracottaro, mantiene quell’un per cento di incertezza che aveva già dichiarato nel precedente riconoscimento fotografico. C’è da dire che su Narracci pesavano già imbarazzanti sospetti fin da quando era stato riconosciuto in foto non solo da Spatuzza ma anche da Massimo Ciancimino, come l’uomo che si era recato a casa di don Vito e che il figlio aveva visto. In seguito ai “sospetti”, Narracci era stato allontanato dagli incarichi che ricopriva all’Agenzia per la sicurezza interna e destinato ad altri servizi. Certo è che la “favola” (secondo Gasparri e non solo) che Salvatore Borsellino va raccontando in giro per l’Italia da qualche anno, inizia ad avere contorni sempre più delineati, vengono fuori riscontri e prove per quelli che fino a un po’ di tempo fa erano considerati solo indizi. In tutta questa vicenda c’è però, come spesso avviene in Italia, un lato grottesco che è quello rappresentato dagli house organ berlusconiani. È notizia di queste ore che i magistrati di Caltanissetta hanno iscritto Massimo Ciancimino nel registro degli indagati per “collusione mafiosa”. Tutti, indistintamente, hanno gridato al “miracolo”, “Ciancimino è un mafioso”, hanno detto e scritto in coro non rendendosi conto, i poverini infoiati dallo scoop, che se Massimo Ciancimino non avesse detto la verità sarebbe stato accusato di “ingiurie” e non di “collusione con la mafia”. L’iscrizione nel registro degli indagati non fa che confermare quanto lo stesso Ciancimino dice da sempre: lui c’era, lui vedeva, lui sapeva. Che dilettanti!


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