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VIAGGIO COL PADRE di Carlo Castellaneta (1930-2013)

Creato il 21 marzo 2016 da Signoradeifiltriblog @signoradeifiltr

VIAGGIO COL PADRE di Carlo Castellaneta (1930-2013)

Di cosa tratta il libro? La storia si sviluppa con indubbia originalità di costruzione su due piani temporali e spaziali: il protagonista è in viaggio in treno col padre da Milano verso Foggia dove il genitore deve ricevere un'eredità. Siamo nel secondo dopoguerra. Il racconto del viaggio si accompagna a vari ricordi dell'infanzia e della giovinezza, vissute a Milano, in una casa vicino alla ferrovia, con descrizioni di luoghi e ambienti molto curate. Mentre si scende verso sud, il giovane, ora uomo maturo, ripensa con sofferenza agli anni del regime e della guerra e al viluppo di contrasti familiari che ancora lo tormentano. Il significativo sottotitolo dell'opera è infatti La caduta del fascismo visto all'interno di una famiglia piccolo-borghese. Il padre era un convinto fascista; severo, autoritario, coerente fino alla fine con le sue idee, nonostante lo sfacelo avanzante.

A distanza di tanti anni il figlio cerca di parlare a quel genitore duro come un macigno, capace di tradire la moglie e di lasciare la famiglia nel momento peggiore. Sente di avere tredici ore, quelle del viaggio, per costruire un dialogo che non c'è mai stato prima e avere un chiarimento non più rimandabile; è un piccolo processo a una generazione che affollò acriticamente le piazze, portando il paese al baratro. La vicenda quindi ha alcuni aspetti di universalità per la società del tempo. Colpe politiche e familiari si accavallano, aggravate dall'orgoglio di chi non sente il bisogno di doversi scusare. Stazione dopo stazione, si sviluppa la tensione dovuta a questo storico vuoto di parole e di significato, a tanti silenzi e asti che hanno reso estranei tra loro i due viaggiatori. Tredici ore per iniziare a confrontarsi, in un'Italia ormai cambiata. In fondo sono uomini non così diversi: il padre odiava i voltagabbana, ma anche il figlio rompe i ponti con chi si è arricchito col mercato nero, ha vezzeggiato i tedeschi per poi finire nei cortei dei partigiani vittoriosi.

Il padre peraltro era un idealista; non si curava di dare particolari vantaggi materiali alla sua famiglia in crescente difficoltà. Quanto faceva per il regime, di cui era uno dei tanti anonimi ingranaggi, lo faceva per pura convinzione ideale. Ma non ha mai voluto dialogare e ascoltare, in quanto prigioniero della propria arrogante superiorità. Ora il figlio, pur arrabbiato, è quasi pronto a perdonare, come implicitamente gli ha insegnato il signor Ottavio, ex condannato al confino e poi partigiano, che tornò a Milano nel 1945, vincitore ma senza boria. Ottavio era stato decisivo nel formare il protagonista, più con l'esempio che con i discorsi. Gli spiegò, ad esempio, che ogni scelta è politica; quale film vedere o quale libro leggere, sosteneva, sono decisioni politiche, legate a valori e principi, non sono atti da fare acriticamente in nome di un conformismo di convenienza.

Ma per perdonare, devono pur sgorgare parole nuove da quel padre così poco esemplare che ha saputo insegnare solo come esempio negativo.

La tensione che si crea intorno al discorso tra i due, continuamente rimandato, mentre ormai la periferia di Foggia si avvicina, è la parte più bella; solo le ultime pagine diranno se la non facile disponibilità al perdono troverà, finalmente, le necessarie parole di rincrescimento dal vecchio genitore. D'altronde, se il libro invita a voltare pagina dopo tante sofferenze, esso spiega anche che una comprensione del passato sembra comunque irrinunciabile, pur a distanza di molti anni.


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