"Palmira è una nobile città, per il sito in cui si trova, per le ricchezze del suolo, per la piacevolezza delle sue acque. Da ogni lato distese di sabbia circondano i suoi campi, ed ella è come isolata dal mondo per opera della natura."
Così scriveva Plinio il Vecchio nel 77 d.C. e oggi, di quella nobile città, nel cuore del deserto siriano, rimangono le rovine monumentali.
L'emozione che si prova arrivando a Palmira al tramonto è difficile da descrivere, ma è di quelle che si imprimono nella mente e lasciano una traccia indelebile.
Dopo un lungo percorso in pullman su un nastro d'asfalto grigio e sinuoso a tratti quasi monotono, circondato da un paesaggio piatto e sabbioso a perdita d'occhio, arriviamo su un'altura che domina la vallata.
Palmira, addossata all'oasi rigogliosa e verdeggiante, ci appare lontana, come un autentico miraggio nel silenzio e nella solitudine del deserto. Non si può che rimanere attoniti ed estasiati di fronte alla ricchezza e alla magnificenza delle antiche rovine, testimonianza di un passato glorioso.
Il cielo, prima di un azzurro limpido e terso di quelli che ti mettono la gioia addosso, si fa via via di un colore rosato che sfuma gradualmente nei toni accesi dell'arancio e del rosso, per lasciare poi spazio a un tramonto infuocato. La sabbia impalpabile riverbera i raggi del sole tingendosi di un rosa tenue mentre noi rimaniamo affascinati da ciò che si palesa davanti ai nostri occhi.
La via principale, chiamata Grande Colonnata per i portici che un tempo la fiancheggiavano, simbolo del passato splendore della città, l'arco monumentale, il teatro perfettamente conservato con le gradinate e il primo ordine della scena ancora intatti, templi ed edifici grandiosi, pietre, capitelli. Il tutto avvolto in una dolce luce rosata.
E mentre osserviamo estasiati l'effimera consistenza delle antiche testimonianze, respiriamo un'atmosfera quasi irreale, vuoi per la luce, il silenzio, la grandezza, l'oblio, la storia, la vita che c'era e non c'è più.
Palmira, tra il I secolo a.C. e il III secolo d.C., era divenuta una città prospera ed eclettica, punto d'incontro delle piste carovaniere provenienti dall'Estremo Oriente, dall'India e dalle coste del Mediterraneo. I commerci l'avevano resa ricca e cosmopolita.
Quelle pietre e quei monumenti parlano, e raccontano la storia di una donna straordinaria, la regina Zenobia. Bellissima e colta, coltivò un grande sogno: fare di Palmira la capitale di un regno che offuscasse la potenza dell'odiata Roma. Rendersi indipendente da Roma e divenire Signora d'Oriente: questo era il suo progetto.
La leggendaria Zenobia era figlia di un mercante, ma aveva cominciato ad accarezzare sogni imperiali da quando era andata sposa, appena ventenne, a Odenato, signore di Palmira e più vecchio di lei di quasi quarant'anni.
Zenobia era dotata di un fascino non comune con quei suoi occhi scuri, la carnagione ambrata e il portamento altero, unito a un'intelligenza acuta e intuitiva. In poco tempo apprese tutte le astuzie di governo, rivelò attitudini militari sorprendenti per una donna e sviluppò un pensiero politico anti-romano molto diverso da quello prudente di Odenato. Fece uccidere il marito e si ritrovò sola al potere, riuscendo a cacciare le legioni romane e a costituire un vasto impero.
In un primo tempo l'imperatore Aureliano tollerò l'intraprendenza di Zenobia, ma quando si rese conto che il suo potere aumentava a dismisura e che il suo dominio si estendeva sulla Siria, l'Egitto, la Mesopotamia e la Palestina, si allarmò e capì che doveva intervenire. Mandò un esercito in Siria che sbaragliò l'esercito della regina. Zenobia, offuscata dalla sua sfrenata ambizione, aveva sottovalutato il suo nemico e la disfatta fu inevitabile.
Aureliano la fece prigioniera e la trascinò a Roma costringendola a sfilare in corteo, fiero del suo trionfo. Fu certamente il peggiore insulto per la regina del deserto che aveva osato sfidare Roma.
Zenobia visse confinata in una villa lussuosa, sorvegliata come una schiava. Benchè prigioniera, si dice che abbia conquistato con il suo fascino lo stesso Aureliano che divenne suo amante e la trattò come una regina. Finì i suoi giorni nel rimpianto di non aver potuto realizzare le sue ambizioni: fare di Palmyra la capitale di un grande regno.