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VII Summit delle Americhe: è svolta storica tra Cuba e Stati Uniti

Creato il 12 aprile 2015 da Eldorado

Una stretta di mano, un gesto semplice semplice, ha confermato che Stati Uniti e Cuba sono ora ufficialmente più vicini. Un segno evidente di distensione che Barack Obama e Raúl Castro hanno scambiato subito dopo la cerimonia d’apertura del VII Summit delle Americhe . Poi, seduti uno di fianco all’altro in una piccola sala, hanno parlato di quella che sarà d’ora in avanti la relazione tra i due paesi, seguendo i punti tracciati anteriormente in una riunione fiume dal cancelliere Bruno Rodríguez e dal Segretario di Stato, John Kerry. L’intenzione, insomma, è quella di voltare pagina. Nell’umidità incipiente di Panama, sede del vertice, Obama ha anche espresso un concetto sul quale molti troveranno da ridire in futuro: ¨I giorni d’ingerenza degli Stati Uniti in America Latina, sono finiti¨. Non c’è stato bisogno di aspettare molto per una reazione. Nicolás Maduro, giunto al summit con undici milioni di firme di cittadini venezuelani inaciditi dalla dichiarazione delle autorità statunitensi, che a marzo tacciarono il Venezuela di ‘minaccia alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti’, ha preteso il ritiro di quel documento ed il riconoscimento da parte di Washington della legittimità del governo da lui guidato. I gringos, già nei giorni scorsi avevano ridimensionato la dichiarazione, affermando che non era stata ben compresa: prove di distensione anche con Caracas? Vedremo.
Era da cinquantasette anni che i presidenti di Cuba e Stati Uniti non si riunivano. Allora era il 1958 e la sede, guarda caso, era stata anche quella volta Panama. I protagonisti erano Fulgencio Batista e Dwight Eisenhower in quell’occasione preoccupati per la piega che stavano prendendo gli avvenimenti sulla Sierra Maestra. Poi, cadde l’Avana, Batista fuggì e Stati Uniti e Cuba spensero le luci sulle loro relazioni bilaterali diventando gli interpreti principali della Guerra Fredda nell’emisfero occidentale. Prima, però, -due settimane dopo la caduta del regime di Batista- ci fu un’altra riunione a Washington, tra Fidel Castro e l’allora vicepresidente Nixon, che ascoltò a lungo quello che il leader cubano aveva da dirgli e decise, da quelle parole, che gli Usa avrebbero fatto di tutto per ostacolare il nuovo corso di Cuba. Cose del passato, come ha avuto modo di sottolineare Obama. Responsabilità di altri, ha sottolineato Raúl Castro, ma ora, per continuare a conversare, si aspetta che il presidente Usa ed il suo Segretario di Stato convincano il Congresso a cancellare Cuba dalla lista dei paesi che appoggiano il terrorismo.
Con i riflettori puntati sul grande avvenimento, pochi si sono guardati attorno ad analizzare i dettagli al margine dei tavoli delle riunioni e dei discorsi ufficiali. Trentadue nazioni rappresentate, un numero indefinito di delegati di ogni settore, ma soprattutto una massiccia presenza di imprenditori, ceo, manager di aziende multinazionali. Se a Panama si è voluto definire quale America vedremo in futuro, è meglio mettersi l’animo in pace. Mark Zuckerberg, Carlos Slim, Muhtar Kent (Coca Cola), Enrique Ostalé (Wal-Mart), Laxman Narasimhan (Pepsi Cola), Brian Porter (Scotia Bank), solo per citare alcuni nomi dei tanti presenti, sono venuti qui per discutere su come spartirsi quell’America Latina, che nonostante i tanti proclami di svolta progressista e democratica, si è trasformata in uno dei più grandi mercati rimasti da sfruttare. Anche Cuba ha invitato gli imprenditori a investire. C’è bisogno di almeno 2500 milioni di dollari all’anno per un periodo indefinito per sviluppare l’intera infrastruttura dell’isola e le sue industrie principali. Le leggi, dicono le autorità cubane, ci sono e proteggono a sufficienza chi voglia fare affari nell’isola. Il tutto, naturalmente, testuale ‘per edificare una società socialista che apporti beneficio a tutti i cubani’. È l’America del commercio, insomma, dove l’America dei popoli non sembra aver posto.


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