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Violentare l’italiano parte 2: del «lovvare» e di altri neologismi

Creato il 14 maggio 2012 da Scribacchina

Rieccoci a parlare d’italico idioma, soliti lettori: dopo aver sparato a zero sull’«assolutamente sì» e sul «piuttosto che», la vostra Scribacchina prosegue colle sue critichette al malvezzo di storpiar la bella lingua italiana. Tema d’oggi sarà il coniar neologismi.

Premessa: già dissi che la lingua italiana è materia viva, ch’è necessario lasciarle la libertà di modificarsi e crescere. Son io la prima ad utilizzare certune nuove forme d’espressione, quali «googlare» (da tradursi come «cercare su internet tramite Google»), «linkare» (ossia inserire un collegamento ipertestuale ad una pagina internet), «watermarkare» (la vedete l’immagine qui sopra, colla scritta «Numéro 091277»? Ebbene, questa scritta viene chiamata «watermark» ed è una sorta di marchio indelebile che indica la provenienza dell’immagine).
Son nuove forme verbali che francamente trovo pure musicali all’orecchio; gradevoli neologismi che mi paiono interessanti per la loro immediatezza: rendere un concetto con un unico verbo anziché con un complesso giro di parole m’ha sempre affascinata.

Ma v’è neologismo e neologismo, soliti lettori.
Se v’è utilità e gradevolezza, mi trovate d’accordo.
Se invece la nuova parola traduce in modo inutile e pure orrido il concetto italiano, beh, per me è pollice verso.

Volete un esempio, giovini? Eccovelo: il verbo «lovvare».
M’imbattei per la prima volta nel raccapricciante neologismo tempo addietro; un’amica, in un impeto di fraterno affetto, m’inviò sul profilo Facebook due parolette che mi lasciarono perplessa:
«Amica, ti lovvo».
«Ohibò – mi dissi – questa m’è nuova… ”ti lovvo”, dunque verbo lovvare: io lovvo, tu lovvi, egli lovva, noi lovviamo, voi lovvate, essi lovvano… Che sarà mai?».
Due più due fa quattro, soliti lettori. Mi bastò riflettere qualche minuto per risalir infine al significato del verbo: lovvare, italianizzazione del verbo inglese «to love». Amare.

No no no, stop. Fermi tutti.
Amare diventa… lovvare?

Assurdo.
Inconcepibile.
Anti-musicale.
Agghiacciante.
Per fare un parallelo bassistico, una terza minore in battere su un accordo maggiore. 

Già mi vedo l’omino di turno che – col cuore in mano, incurante di qualsivoglia pudore – dichiara tutto il suo love ad una bella giovincella: «Ebbene, mia adorata, lo confesso: io ti lovvo». Mon Dieu.
O ancora, la bella canzon d’Elio, Cara Ti Amo: riletta col neologismo incriminato, diverrebbe Cara Ti Lovvo, con tutte le stonature del caso. Due O chiuse che nulla hanno della generosità dell’originale verbo, colla bella A aperta.

Un momento. M’assale un’insana curiosità. Se il malvezzo è partito con uno tra i verbi più popolari dopo «avere» ed «essere», quali saranno le prossime vittime?
Odiare= hatare
Bere= drinkare
Mangiare= eatare
Scrivere= writare
Guidare= drivare
Leggere= readare.

Fortunatamente il verbo «suonare» resterà tale. Ne ho l’assoluta certezza.
Credetemi: non esiste un bassista in grado di ammettere, senz’alcuna vergogna, che adora
«playare» il suo istrumento. 


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