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VISIONI SPARSE: Spring Breakers, Salvo, Il fondamentalista riluttante

Creato il 26 agosto 2013 da Ussy77 @xunpugnodifilm

Spring Breakers ***1/2

Presentato a Venezia 69, Spring Breakers (2012) è il frutto della cultura pop statunitense e Harmony Korine non la esalta, anzi confeziona un manifesto duro, violento e allo stesso tempo dolce della generazione post-Britney. La pellicola è un perfetto epitaffio della sopracitata generazione e la scelta di inserire nel cast due icone adolescenziali (Selena Gomez e Vanessa Hudgens) e di farle quasi scomparire sulle “ali” di una canzone della Spears, è un’immagine simbolica ed estremamente significativa. Difatti le bad girls di Korine, muovendosi abilmente tra le feste della spring break e qualche ubriacatura di troppo, cercano il massimo e rischiano altrettanto. Gangster improvvisate in bikini, le quattro protagoniste (anche se diminuiscono sensibilmente di sequenza in sequenza) si avvicinano al crimine con la candida e adolescenziale voglia di trasgredire e rischiare la propria vita. Inoltre c’è lo stile del regista (sincopato, ripetitivo e aderente alla realtà in modo quasi mimetico, quasi come se girasse con una camera a mano all’intero dei party improvvisati nelle camere d’albergo), che nasconde profondità di contenuti raccontati in modo anticonvenzionale. E come se non bastasse si inserisce in tutto questo un convincente James Franco; un gangster-rapper di quartiere pericoloso quanto basta per “rapire” e trascinare in una delirante spirale le spring breakers. Dividendo idealmente il film in due tronconi, Korine affronta feste a base di alcool e droga e il loro “naturale” proseguimento, all’insegna della criminalità. Non vi è un accenno di redenzione e nemmeno di catarsi. Infatti la pellicola si conclude come qualsiasi spring break: ognuno torna all’università. In conclusione si può affermare che Spring Breakers è un gioiellino da ammirare, nel quale la cultura del divertimento deraglia e scivola pericolosamente lungo una china destinata all’oblio. D’altronde «spring break, spring break…forever». Uscita al cinema: 7 marzo 2013

 

Salvo ***

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Poliziesco silenzioso nel quale il Sud sembra il West, Salvo (2012) è lo sfolgorante esordio del duo Piazza-Grassadonia. Cannes lo ha celebrato e apprezzato, mentre l’Italia lo ha inizialmente snobbato (non era prevista la distribuzione) per poi farlo uscire nelle sale in un periodo non propriamente favorevole. Difatti la pellicola ha incassato pochissimo e non ha reso giustamente l’idea del prodotto, che mette in scena una storia lineare, ma estremamente densa di tecnica e bravura registica. Tuttavia proprio il silenzio (contemplativo, allungato in intere scene in piano-sequenza) si rivela l’arma a doppio taglio per i registi, che se da un lato dimostrano una capacità di lavorare sull’immagine e il sonoro come nessun altro, d’altra parte rischiano di affidarsi eccessivamente a questa tecnica, sperando che riesca a sostenere la pellicola e a mandarla avanti autonomamente. La vicenda è ambientata in Sicilia e vede protagonista un killer (Salvo), che dopo essere incappato in Rita (cieca sorella di un giovane boss che deve uccidere), decide di non assassinarla, ma di rapirla. È qui che comincia un percorso di cambiamento, una redenzione inaccettabile nel microcosmo mafioso. La Sicilia, che come anticipato somiglia al West per la sua desolante e desertica atmosfera, è il teatro di una storia surreale e umana, che trasforma una fabbrica in disuso in una galera e che si sofferma su corpi reali, ostentando un’invidiabile padronanza di tempi e spazi. Pur essendo un’opera coinvolgente Salvo fatica ad appassionare fino in fondo, probabilmente per l’eccessiva volontà di rendersi (a tutti i costi) anticonvenzionale e di nascondere, sotto la superficie filmica, accenni neorealistici. Nonostante questo Salvo (annaffiato da una colonna sonora figlia della sottocultura popolare), rifiutando ogni tono noir caratteristico del genere, è un esordio che risolleva il cinema italiano. Sicuramente Piazza e Grassadonia faranno strada. Uscita al cinema: 27 giugno 2013

 

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Il fondamentalista riluttante **1/2

Ambiguo. Un unico aggettivo descrive perfettamente la pellicola diretta da Mira Nair ovvero l’evento di apertura di Venezia 69. Difatti proprio come il titolo, Il fondamentalista riluttante (The Reluctant Fundamentalist, 2012) è un film vago e di dubbia interpretazione. La regista riflette e si interroga, ma, pur allungando il “brodo”, non riesce a lavare quella sensazione di ambiguità che pervade l’intera pellicola. Ambientato a Lahore, Il fondamentalista riluttante salta indietro nel tempo e nello spazio attraverso le parole del giovane professore universitario Changez. Racconta la sua storia e quel post-11 settembre che si fatica a dimenticare e che lascia dietro di sé lunghissimi strascichi. Tutto ciò viene filtrato e osservato in modo imparziale e lascia libero spazio a diverse e variegate interpretazioni. Ma questa scelta non sempre è la migliore. Anzi, spesso, è una sorta di consapevole e volontario allontanamento dalle cosiddette “patate bollenti”. Sostanzialmente Mira Nair se ne lava le mani e passa oltre. Tuttavia non può non far riflettere una pellicola che offre una doppia esposizione (quella statunitense e quella pakistana, e a volte integralista) su temi come l’integrazione, il reclutamento (e la militanza) culturale e la generalizzazione delle colpe e dei colpevoli. Ma Mira Nair, pur mettendo in scena una buona costruzione narrativa e una convincente direzione artistica, fa crollare il suo prodotto sotto le pesanti macerie dell’ambiguità. E non basta ilsottoplot sentimentale a risollevarne le sorti; anzi distoglie l’attenzione e non approfondisce i temi che la Nair snocciola in modo incontrollabile, ma superficiale. Uscita al cinema: 13 giugno 2013

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