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Visti di Traverso: il crepuscolo degli Dei

Creato il 16 febbraio 2011 da Gianclint
Visti di Traverso: il crepuscolo degli Dei

Gattuso furioso, forse anche troppo...

Prima di assistere alla partita casalinga di Champions, lette le formazioni ufficiali delle squadre, mi ero riproposto di scrivere un editoriale per esprimere tutto il mio disappunto per la scelta, l’ennesima, di schierare Clarence Seedorf tra gli undici titolari. Avevo deciso di scriverlo a prescindere, senza farmi condizionare da un’eventuale buona prova (alquanto improbabile, peraltro) dell’olandese. I fatti mi hanno dato ragione e ora sarebbe fin troppo semplice sparare sulla croce rossa, prendendo spunto dalla debole prova di martedì sera per infierire su un giocatore che ancora una volta ha dimostrato la propria inadeguatezza.

Che Seedorf nel Milan di oggi faccia più male che bene mi pare evidente. Per due fondamentali ragioni. In primo luogo il nostro numero dieci mostra sempre più limiti fisici e atletici – probabilmente dovuti a un’età non più verdissima – che si sommano e peggiorano, se così si può dire, alle sue caratteristiche naturali. Seedorf non è mai stato un fumine di guerra, non ha mai avuto nella rapidità e nella corsa le sue caratteristiche migliori. Oggi, con 34 anni sulle spalle, l’impressione è che si trascini per il campo confidando esclusivamente sulle sue qualità di palleggio. Che purtroppo non bastano per garantirgli un buon rendimento. La seconda ragione che rende – a mio giudizio – Seedorf un elemento “nocivo” per la rosa rossonera è il forte condizionamento che l’olandese pare esercitare sull’ambiente e sul tecnico, influenzandone le scelte. Concetti, quelli appena espressi, più volte affermati e che a molti lettori sembreranno banalità, ma che è bene ribadire con fermezza.

La partita di ieri non ha però soltanto decretato l’inadeguatezza di Seedorf. Ha detto molto di più. Ha rivelato aspetti positivi, che è bene evidenziare, ma anche alcune pecche che non devono in alcun modo passare sotto silenzio. Di positivo c’è la prestazione dei terzini che – pur con tutti i limiti tecnici del caso – hanno garantito corsa e presenza fisica per 90 minuti. Di positivo c’è l’affidabilità dello sfortunato Abbiati, ma anche quella del suo sostituto, quel Marco Amelia che ha dimostrato di avere attributi, classe e personalità per essere a tutti gli effetti un portiere da Milan. Positivo, tutto sommato, è stato l’impatto di Pato sulla partita. Anche senza trovare la via della rete il brasiliano ha impresso una scossa alla partita, ha messo in mostra un carattere che poche volte avevamo avuto il piacere di apprezzare e quella attitudine al sacrificio per la squadra che Allegri chiede dall’inizio della stagione. Positiva è stata la prova dei due centrali, al netto dell’errore che ha di fatto causato la rete dei londinesi. Alla routinaria affidabilità di Nesta si è aggiunto uno Yepes che è stato a tratti straripante e al quale solo un miracolo del portiere avversario ha negato la gioia del primo gol in rossonero.

Detto questo non mancano le note negative. “Suonate” soprattutto da un centrocampo che ha evidenziato limiti grossolani. Limiti tecnici e limiti caratteriali. A cominciare da Flamini. Non basta correre e picchiare, per poter vantare di saper giocare a pallone. Non basta la foga, spesso al limite della violenza privata, per poter figurare in una squadra del livello e del blasone del Milan. Il francese di Roma ha dimostrato ancora una volta di non saper andare molto più in là dei suoi takle, delle sue rincorse, dei suoi contrasti. E quando la squadra aveva bisogno di ripartire queste caratteristiche hanno pesato e non poco. Come ha pesato la scelta di inserire il buon Thiago Silva nei tre di centrocampo. Intendiamoci, Thiago è un campione e non si discute. Un fenomeno di difensore che può, all’occorrenza giocare anche in mezzo. Ma dal giocare in mezzo all’essere un centrocampista ce ne passa. Ci vogliono i piedi buoni, ma non solo. Bisogna avere la capacità di dettare i tempi di gioco, prerogativa dei grandi registi. Bisogna sapere impostare e avviare le azioni, metabolizzare gli automatismi. Insomma non ci si improvvisa. E il Thiago visto martedì pareva spaesato, affannato, non ancora padrone di un ruolo tanto delicato.

A deludermi maggiormente è però stato Gattuso. E non soltanto per l’ignobile zuccata rifilata nel dopopartita al vecchio “squalo” Joe Jordan. Un “guerriero” – come Ringhio si vanta di essere – non può abbassarsi ad aggredire un sessantenne, a prescindere da quello che il vecchio squalo possa avergli detto. Ma a prescindere dall’episiodio, Rino mi ha deluso per come ha interpretato la partita dal primo all’ultimo minuto. Passi la grinta, ben venga la rabbia agonistica, ma il giocatore che abbiamo visto in campo con la fascia da capitano assomigliava più alla caricatura di se stesso che ad un leader degno di portare la nostra fascia. Già, perché indossare quella fascia comporta onori e oneri, implica un’assunzione di responsabilità nei confronti di tutta la squadra. Il capitano deve infondere grinta e coraggio, ma deve anche saper tenere ben saldi i nervi, fare dell’autorevolezza la propria forza. Il Gattuso sceso in campo a San Siro è invece parso isterico e istrionico, quasi compiaciuto nel recitare la parte del Rino furioso, di quello che ad ogni contrasto batte il pugno a terra, del diavolo dagli occhi di brace che incenerisce l’arbitro ad ogni occhiata. Bramoso di scatenare il boato della curva anche a costo di penalizzare – nei fatti – la squadra. E i risultati si sono visti.

Sarò forse impopolare, ma io ero tra quelli che in estate speravano che le strade tra Rino e il Milan si dividessero una volta per tutte. Allegri ha invece deciso di puntare su di lui e il vice capitano lo ha ricambiato – e questo va riconosciuto – con alcune ottime prestazioni. Ma i limiti caratteriali dell’uomo e il logorio fisico del calciatore hanno creato un mix devastante che ha portato all’imbarazzante risultato di martedì. A costo di risultare antipatico voglio sostenere ancora una volta la mia posizione: il tempo dei “grandi vecchi” al Milan è finito. E’ ora di dare un taglio netto al passato, di salutare i grandi campioni che ci hanno portato tante volte alla vittoria e di intraprendere con coraggio nuove strade. Guardando l’acerbo entusiasmo e l’ancora immaturo talento dei vari Merkel e Strasser penso che un nuovo Milan sia possibile. E che per gli antichi “Dei” dell’Olimpo rossonero sia giunta l’ora di farsi da parte. Perché se è innegabile che la gratitudine  per i protagonisti di mille battaglie deve essere sempre riconosciuta, è altrettanto vero che prima o dopo arriva il momento di svoltare, di lasciarsi alle spalle quello che è stato per investire su quello che potrà essere e che sarà.

A mio giudizio, questo momento è giunto.

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