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Viva Yara

Creato il 06 dicembre 2010 da Maurizio Lorenzi

Oggi proponiamo questo articolo di pochi giorni fa, a firma di Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa

Viva Yara

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Quanto mi piace l’Italia di Yara, la ragazzina scomparsa una settimana fa. Mi piace il suo cellulare con soli dieci numeri in rubrica: un mondo piccolo di affetti seminati in profondità, perché voler bene richiede tempo e troppi amici significa nessun amico. Mi piace la sobrietà dei suoi genitori che non fanno appelli, non si affacciano ai talk show e respingono la fiaccolata proposta dal parroco: il dolore è una cosa seria, metterlo in piazza non significa condividerlo, ma svenderlo. E mi piace il contegno del suo paese, Brembate, dove nessuno rompe la consegna del silenzio. Ogni tanto spunta un microfono sotto qualche naso infreddolito, ma la reazione è sempre un diniego, un passo che accelera.

E’ una storia priva di emozioni e gonfia di sentimenti, quindi poco televisiva e molto viva. Il parallelo con il circo di Avetrana sembra inevitabile, ma non è il caso di farne l’ennesima puntata di un derby Nord-Sud. Il nonno-padre-marito delle vittime di Erba era lombardo, eppure il giorno dopo stava già in televisione a perdonare tutti, come se il perdono fosse un vino novello che gorgoglia dall’uva appena pestata anziché un barolo da lasciar riposare per anni affinché sgorghi saporito e sincero. Nessuno si sarebbe appassionato ai mondi cavernosi dello zio e della cugina di Sarah Scazzi se la televisione non li avesse resi popolari prima che si accertassero le loro responsabilità. A quel punto è stato come se la polizia avesse arrestato due vip.

A Brembate va in scena un’altra storia, un’altra Italia a cui ci stringiamo in silenzio, come piace a lei.


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