Magazine Diario personale

Vivere in una scatola di fiammiferi – aka il mio mini-appartamento a Barcellona

Da Giulia Calli @30anni_Giulia

Quando ho comprato il biglietto sola andata per Barcellona, quasi 3 anni fa ormai, non avevo assolutamente idea di dove sarei andata a vivere. Non conoscevo nessuno in città (e sinceramente, , l'ultima cosa che desideravo era appoggiarmi al classico "amico di") e non sapevo quale fosse il miglior quartiere in cui cercare casa: avevo un ricordo sfumato di una Barcellona che avevo visitato durante un fine settimana di gennaio anni prima e che non mi aveva particolarmente accattivato. Ero pronta a rivalutarla, visto il mio stato d'animovolevo vivere in una città di fronte al mare, sapevo solo questo .

Da buona ricercatrice web quale sono, avevo avviato un'intensiva operazione "cose che devo sapere su Barcellona prima di andarci a vivere", e avevo cercato casa tramite AirBnb, la soluzione che a mio parere era la più sicura e meno dispendiosa. Il piano era caricarmi lo zaino in spalla, atterrare in città, avere una camera in cui appoggiare le mie cose, e poi boh. Condividere casa con sconosciuti? Cercare un appartamento in cui vivere da sola? Rifugiarmi in un ostello con altri scappati di casa? Ogni opzione mi sembrava allo stesso tempo possibile, paurosa, entusiasmante, adrenalinica, incredibile e senza speranza. Già, non ero esattamente la persona più equilibrata del mondo, a quel tempo [mia madre continua a sostenere che nemmeno ora, comunque...].

L'opzione che la ebbe vinta fu, per i primi 3 mesi, condividere casa con sconosciuti. L'appartamento AirBnb che avevo scelto dall'Italia, sfidando la sorte, era un porto di mare. Subaffittato in barba alle leggi cittadine (cosa che scoprii poi essere l'attività principe dei giovani titolari di un contratto d'affitto a Barcellona) nel quartiere di Fort Pienc, a pochi metri dalla Sagrada Familia, l'appartamento era abbastanza grande da ospitare me, Paquita - la titolare dell'affitto - e una ruota infinita di turisti di passaggio in città. Furono mesi definibili schizofrenici, in cui mi ritrovai a passare serate a bere gintonic con amabili coppie inglesi, backpackers che facevano il giro del mondo, donne che viaggiavano sole alla vigilia del loro divorzio (avevo una calamita per questa tipologia femminile), soldati americani mormoni astemi, e una specie di coach astrale che interpretò la mia personalità e i miei punti deboli seguendo una teoria di cui ora non riesco a ricordare il nome.

Questa iniezione di umanità mi restituì una certa fiducia nel genere umano, non fosse altro per la quantità di gente squilibrata che attraversò il mio cammino, facendomi capire che - ebbene sì - c'era chi stava peggio di me. Non tutto era perduto, insomma. Fu così che non appena guadagnai il mio primo stipendio, con un contratto di lavoro stabile in mano, decisi che era ora di passare al livello 2 della : mia personale Second Lifeandare a vivere da sola. Lasciai senza remore la mia stanzetta con vista al patio interno, che grazie a un mai riconosciuto ristorante ai piani bassi, odorava di pesce fritto già dalle prime ore della mattina.

La mia ricerca di un appartamento si basava su due elementi fondanti: 1. mai più patio interno 2. luce naturale, di grazia. Ora, chi di voi conosce Barcellona sa che questi due elementi sono di difficile compatibilità nella zona della Ciutat Vella, ma fortunatamente più semplici da trovare nella zona in cui in cui io avevo deciso - irrevocabilmente - di dover andare a vivere: la Barceloneta.

La Barceloneta storicamente era il quartiere dei pescatori e degli operai. Prima delle Olimpiadi del 1992 era una specie di sede staccata di Barcellona, schifata da tutti e patria di pescivendoli e schiere di disperati. Uno di quei quartierini facili, insomma. Dopo le Olimpiadi, lavori di ristrutturazione e riabilitazione e soldi spesi in tante altre attività che finiscono in -zione, il barrio della Barceloneta si è pian piano riscattato dalla mala fama. L'unico neo del quartiere (a parte le cucarachas, l'afflusso turistico degenerato durante l'estate e la quantità ancora considerabile di famiglie disagiate che fanno tanto pueblo de mala onda - come direbbe il Guerriero) è la dimensione dei suoi appartamenti. I palazzi della Barceloneta, rigorosamente senza ascensore (a meno che non vi abbiano recentemente aumentato l'affitto), sono quasi tutti della stessa dimensione: 35 mq. Loro li chiamano cuarto de casas, io scatola di fiammiferi .

Con la speculazione edilizia e il boom turistico, questi mini-appartamenti che parcellizzano gli edifici della Barceloneta sono stati per la gran parte ristrutturati e resi vivibili e comodi. Quando l'impiegata dell'agenzia immobiliare mi fece salire i quattro piani (ricordate, senza ascensore) del palazzo e mi fece entrare in quello che sarebbe poi diventato il mio cuarto de casa, mi innamorai subito. Piccolo era piccolo, ma dentro c'era tutto quello che il più bravo designer Ikea avrebbe potuto incastrare : l'arredamento bicolore legno-arancio, una piano cottura in vetro-ceramica, un maxi schermo (che non uso mai ma fa figo) di fronte a un sofa (arancione), una camera da letto di dimensioni oneste e tre armadi, che all'epoca non sapevo come riempire ma poi mi sono ripresa. Per convincermi, l'agente si avvicinò alla porta-finestra e la aprì: " Affacciati " - mi disse.

E la vista era questa:

Vivere in una scatola di fiammiferi – aka il mio mini-appartamento a Barcellona

Le dissi va bene, la prendo. Manco avessi nella borsa il paccone di banconote pronte per pagare un mese di caparra, uno di commissioni e la mensilità in corso. Un breve calcolo mentale mi fece realizzare che ce la potevo fare, grattando dai risparmi che mi ero portata dietro dall'Italia. Ma calcoli a parte, avevo paura. Di finire sotto un ponte, di non riuscire a pagare, di sentirmi sola, di non riuscire a rifarmi una vita. La saga dell'ottimismo.

E invece il mio mini-appartamento, la mia scatola di fiammiferi arancione, è stato il primo pilastro della mia nuova vita : 35 mq in cui mi sono mossa da subito leggiadra e, per la prima volta (nonostante avessi già vissuto in 10 altre case precedentemente), provando una concreta sensazione di essere arrivata a casa .

Qualche tempo fa ho visto un'intervista realizzata in Sardegna, dove la gente si lamentava dell'aumento dell' Il signore intervistato diceva qualcosa del tipo " IMU, l'imposta municipale unica. Io pago un sacco di tasse e guardi che vivo in un appartamento piccolino, saranno appena 80 mq!". Ecco, in Sardegna quando dico che vivo in un appartamento di 35 mq la gente mi guarda con gli occhi pietosi , perché lo paragonano subito alle dimensioni del loro garage. Forse solo chi vive nel quartiere Marina, a Cagliari, mi può capire. Quando i miei genitori sono venuti a trovarmi la prima volta nella mia scatola di fiammiferi, a parte sfanculare per i quattro piani a piedi, hanno subito esternato la loro opinione: " Bellino è bellino, certo che quando pensavamo a dove avresti potuto vivere a trent'anni e qualcosa, immaginavamo un appartamento più grande e signorile... ".

Eppure io, fiammifero nella mia scatola, qui ci ho vissuto sempre benissimo. Nonostante le cucarachas che si sono permesse di entrare una volta e che sono state sterminate dal potere subdolo del gel ammazza tutto, nonostante i miei dirimpettai pakistani che preparano i mojitos da vendere in spiaggia, si svegliano con il canto del Mujaheddin e mi guardano ridendo quando ballo una salsa con il Guerriero, nonostante il vecchietto stralunato del primo piano che controlla i miei ospiti chiedendo loro se gli faccio pagare un affitto, terrorizzato com'è dalle multe per gli affitti abusivi ai turisti. Nonostante il vicino romantico e incazzoso con la nostalgia per la sua terra araba.

Con la vista del mare ogni giorno, il forn de pa in cui comprare il pane e il primo caffè del mattino, i bar della piazza del Mercato in cui bere al volo un vermut della casa, il vento che d'inverno si incanala nella mia strada e lascia la sabbia in balcone, le onde del mare che si fanno finalmente sentire nelle notti in cui i turisti sono già tornati nei loro paesi: io, alla mia scatola di fiammiferi sono molto affezionata. Anche se probabilmente presto sarà il tempo di cercare una scatola più grande.


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