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Voci dal Kosovo/ Un mosaico etnolinguistico

Creato il 30 settembre 2012 da Antonio Conte

 

di Lucia Cristina Larocca*

Cittadini di una terra multiforme, gli Europei non possono che essere in ascolto del grido polifonico delle lingue umane. L’attenzione all’altro che parla la propria lingua è preliminare se si vuole costruire una solidarietà che abbia un contenuto più concreto dei discorsi propagandistici.

(C. Hagège, Le Souffle de la langue, 1992, p. 273)

1. Dalla “via kosovara” alla pace, un esempio per la costruzione della comune identità europea

Voci dal Kosovo/ Un mosaico etnolinguistico
Specchio della cultura di un popolo, la lingua rappresenta la più autentica manifestazione dello spirito di un Paese. Terra di conflitto e di frontiera, terra di incontri e di scontri, il Kosovo emerge nel contesto europeo per il suo naturale multilinguismo e la sua variegata interculturalità.

Quale panorama glottopolitico presenta il Kosovo, Paese europeo di più giovane nascita e crocevia di numerosi incontri internazionali, nella odierna realtà eurolinguistica? Un caleidoscopio di lingue, etnie, religioni e culture anima la cosiddetta «terra dei merli», la cui immagine è già evocatrice di una sorta di arcana musicalità. Che il Kosovo sia caratterizzato da una società multietnica e multilingue, lo si comprende già osservando, di primo impatto, i vivaci colori e i suggestivi simboli della bandiera che lo rappresenta. Le sei stelle bianche, che spiccano luminose e fiere sul drappo di fondo blu (orgogliosamente evocativo di un “sogno europeo”), simboleggiano, infatti, le sei principali etnie del Paese: la maggioranza albanese (88% circa) e le cinque minoranze costituite da Serbi, Bosniaci, Turchi, Gorani e Rom.

Anche la Costituzione del Paese, adottata nel 2008, si fa testimone di questa variegata identità etnico-culturale. L’articolo 1 afferma, infatti, che «il Kosovo considera la diversità nazionale, etnica, linguistica e religiosa come una fonte di forza e di ricchezza nell’ulteriore sviluppo di una società democratica fondata sullo stato di diritto. Nell’evoluzione della Repubblica del Kosovo, il contributo attivo di tutte le persone appartenenti alle comunità è incoraggiato e curato». La legge sull’uso delle lingue (art. 4), già in vigore dal 2006 – e dunque prima della dichiarazione di indipendenza –, stabilisce come lingue ufficiali l’Albanese (parlato dal 90,2% della popolazione) e il Serbo (parlato solo dal 5,8%). Le lingue diffuse nelle altre comunità, che costituiscono complessivamente il restante 4%, sono parlate da Turchi, Gorani, Bosniaci, Egiziani, Ashkali, Rom, Croati e Montenegrini. Le etnie che parlano questi idiomi sono riconosciute come minoranze linguistiche e, in alcuni casi, le loro parlate sono ritenute lingue ufficiali a livello strettamente locale. Il quotidiano delle popolazioni è accompagnato pertanto da diverse questioni legate alla lingua: svariate identità linguistiche coabitano, infatti, su uno stesso territorio, contribuendo alla costruzione di un lento e difficile processo di assestamento identitario globale, ancora oggi in corso.

2.  L’identità albanofona e le cinque “stelle sorelle”

Quale varietà linguistica prevale di fatto sul territorio? Lingua ufficiale e più diffusa nel Kosovo, l’Albanese – individuato dai filologi tedeschi Franz Bopp e Gustav Meyer come una lingua indoeuropea –, è uno degli idiomi più antichi d’Europa, derivante dalla lingua illirica e da quella tracio-frigia, le quali si fanno tutte risalire alla comune matrice pelasgica (da cui discenderebbe anche il greco antico). Non a caso, lo studioso e filologo Zaharia Majani afferma magistralmente: «la lingua albanese è una lingua meravigliosa, dove certe volte basta abbassarsi per terra per trovare pepite d’oro… filologiche. In questa lingua certe volte, senza la minima fatica, scopriamo parole arcadiche che sono contemporanee con l’Iliade o Numa Pompilius».

Attualmente, la lingua albanese si suddivide in due gruppi linguistici, due dialetti principali: il Tosco, diffuso prevalentemente in Albania e il Ghego, variante dell’Albanese classico, parlato, oltre che in Albania, anche in Kosovo, Macedonia e Montenegro. Punto di demarcazione fra i due dialetti è riconosciuto essere il fiume Shkumbini, a nord del quale è parlato il ghego e a sud il tosco.

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L’Albanese parlato in Kosovo non è pertanto l’Albanese standard unificato: gli abitanti del luogo parlano principalmente la varietà ghega della lingua albanese. Va sottolineato, inoltre, che le differenze tra i due dialetti sono soprattutto legate all’aspetto fonetico, oltre che alle varie influenze lessicali di altre lingue subite nel tempo, talvolta persino impenetrabili all’indagine etimologica. In buona parte influenzato dalla fonetica e dal lessico serbo, il Ghego è una lingua dalle sonorità raffinate, caratterizzata fra l’altro dall’utilizzo di vocali nasali, dall’assenza di rotacismo (fenomeno presente invece nel dialetto tosco) e dai frequenti prestiti provenienti non solo dalla lingua serba, ma anche da quella turca.

Oltre che albanofono, come già accennato, il territorio kosovaro conta anche locutori di lingua serba, di lingua romaní (del ceppo indoario), croata e turca. I Serbi utilizzano la propria lingua ufficiale, così come i Turchi, i Croati e i Bosniaci fanno uso dei propri idiomi particolari. Un cenno specifico, a causa della sua peculiarità demo-etno-linguistica, va fatto a proposito della popolazione dei Gorani che appaiono come la quintessenza dei Balcani, un popolo d’Europa di antichissime origini, il cui idioma, il Našinski (un dialetto torlakiano), risulta essere frutto di un’ibridazione tra Serbo e Macedone, con numerosi prestiti provenienti dal Turco e dal Bulgaro.

I dati demolinguistici delineano, dunque, il Kosovo come una regione balcanica prettamente albanofona, in cui, tuttavia, la variegata stratificazione linguistica esistente è fortemente legata alla storia del Paese. Numerosi conflitti bellici e battaglie linguistiche si sono succeduti nel corso delle epoche, dove lingue, come armi, si sono incessantemente scontrate e combattute. La terra kosovara ha subito infatti, nel tempo, diverse ondate di albanizzazione, slavizzazione, ma anche di evidente croatizzazione e italianizzazione.

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Costumi serbi

Nel corso della storia dell’umanità, le guerre hanno, sin dai tempi più remoti, ampiamente influito sul linguaggio umano e, in particolar modo, sulla lingua degli individui. Ogni idioma si compone infatti di innumerevoli parole, un vastissimo contingente di vocaboli che subiscono evoluzioni nel tempo e nello spazio. Tali parole nascono spesso in momenti storici particolari, emergono fra le battaglie degli eserciti – dove i contatti interlinguistici si moltiplicano ininterrottamente – e si fanno strada nei tempi di pace, percorrendo luoghi e pensieri, per fissarsi infine nel logos di un popolo. Sorta di “linguaggi collaterali”, le parole emerse dai contesti bellici hanno, paradossalmente, da sempre contribuito all’arricchimento di una lingua. Questa realtà di scontro/incontro di parole ha generato, pertanto, diversi prestiti linguistici anche fra le varie lingue balcaniche.

3.  Dalla coscienza di un passato tragico, la volontà comune di costruzione della pace

A partire dalla grande sconfitta serba ad opera dell’Impero Ottomano, avvenuta nel 1389, fino alla liberazione del 1913 con tutti gli eventi ad essa collegati, il Paese ha attraversato una lunga sequenza di tumultuosi avvenimenti, che hanno prodotto, come naturale riflesso, la sua attuale e frastagliata geografia linguistica.

In origine, la fuga dei Serbi, conseguente alla sconfitta dell’epica battaglia della Piana dei Merli, consentì all’amministrazione dei conquistatori turchi di procedere, in pochi decenni, all’Islamizzazione della popolazione del luogo. In funzione della sua forte identità di terra di confine e di simbolico sacrario delle lotte del popolo serbo contro il nemico Ottomano, il Kosovo, nei secoli di dominazione islamica, rappresentò sempre, per tutti i Serbi, una culla di cultura e tradizioni, alla quale non intendevano rinunciare.

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A partire dal 1918, anno in cui il Kosovo fu incorporato nel nuovo “regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni”, chiamato in seguito Yugoslavia, questa tormentata terra venne gravemente violentata nella sua identità etnica. Da questo momento, come risposta alla forzata “serbizzazione”, un energico spirito irredentista si diffuse tra la popolazione albanofona, culminando in frequenti scontri e rivolte nei confronti dello Stato Serbo. Le alterne vicende di questa complessa dinamica conobbero un momento di particolare significato durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, nel 1942, quando il territorio kosovaro fu integrato nella “Grande Albania”, progetto fortemente sostenuto, fra l’altro, dall’Italia fascista, nel suo ruolo di potenza occupante.

La situazione mutò nel 1945, quando l’esercito del Maresciallo Tito riuscì a sconfiggere la resistenza albanese: il Paese divenne nuovamente un’entità amministrativa sotto il dominio dei Serbi, dapprima a titolo di «regione autonoma» e successivamente, dopo gli scontri del 1968, ebbe l’assetto di provincia autonoma. Il Kosovo autonomo possedeva un parlamento e un governo propri, ma la presenza della maggioranza albanofona portò gradualmente all’intensificarsi della discriminazione nei confronti della popolazione serba. La politica linguistica messa in atto sotto il regime di Tito sancì l’applicazione di un bilinguismo ufficializzato: il Serbo-Croato e l’Albanese divennero le due lingue ufficiali, mentre alle minoranze linguistiche vennero riconosciuti diversi diritti. In particolar modo, il Turco era largamente parlato e diffuso e, in generale, ogni comunità parlava liberamente la propria lingua nelle sue comunicazioni interne, vivendo pertanto una situazione di relativa armonia sociopolitica.

La già difficile condizione andò via via complicandosi in seguito all’autonomia del Paese (1974-89). Infatti, si verificò l’accentuarsi di uno spirito xenofobo da parte delle classi dirigenti serbe, minacciate dalla presenza kosovara. Fu il neoeletto presidente serbo Milosevic che, nel 1989, abolì lo statuto autonomo della provincia, ponendone il territorio sotto il diretto controllo dell’esercito federale. In questo modo, venne inaugurata una politica autoritaria e di discriminazione nei confronti della popolazione albanofona, le cui peculiarità vennero umiliate in ogni ambito della vita civile, persino sul piano dell’uso della lingua.

Egli attuò, infatti, una dura politica etnica e linguistica, che prevedeva drastiche misure: i diritti linguistici degli Albanesi furono sistematicamente aboliti, reprimendo così qualsivoglia istanza di autonomia e di identità della popolazione albanese, con ripercussioni gravissime in ogni settore della vita civile e politica. Venne abolito il bilinguismo nel contesto amministrativo e venne fatto divieto di utilizzare la lingua albanese nei tribunali, negli ospedali e persino nelle istituzioni scolastiche, in cui l’insegnamento era riservato alla lingua serba e i relativi programmi scolastici erano stabiliti esclusivamente a Belgrado.

Voci dal Kosovo/ Un mosaico etnolinguistico
Fu esattamente la legge sull’impiego ufficiale delle lingue e degli alfabeti, emanata nel luglio 1991, a decretare il Serbo come lingua ufficiale della Repubblica e l’alfabeto cirillico come l’unico in uso. Conseguentemente, le lingue di ogni altra minoranza alloglotta vennero messe al bando e vietate negli affari di Stato. Finanche le attività culturali e i mass-media del Paese furono manipolati in questa direzione dal governo serbo.

Nelle scuole l’Albanese era considerato come una lingua straniera e gli insegnanti, ma anche i medici e i magistrati, avevano l’obbligo di conoscere il Serbo per continuare ad esercitare le loro professioni. Ci fu persino una grave ondata di licenziamenti del personale scolastico albanofono che, in tutta risposta, organizzò una sorta di “educazione parallela” clandestina, allestendo “scuole” in condizioni disagiate e con mezzi di fortuna. Molti giovani kosovari furono incitati ad emigrare, tra il 1990 e il 1993, così come prevedevano i piani di Milosevic. Nota dolente fu, inoltre, il duro colpo inflitto al prezioso patrimonio culturale della regione, in seguito alla distruzione di una cospicua parte della Biblioteca Nazionale Kosovara.

Dopo l’abolizione dell’autonomia, gli Albanesi denunciarono quindi una situazione di tipo coloniale, poiché la grande maggioranza albanese (82% circa) era letteralmente dominata da una piccolissima minoranza serba (che costituiva solo l’11% della popolazione). Secondo le statistiche più accreditate, prima dello scoppio della guerra, gli albanofoni formavano una forte diaspora di circa 5 milioni di locutori. Tale entità preoccupava in maniera rilevante la popolazione serba che, come ben noto, ha da sempre rinnegato e temuto il dilagante nazionalismo albanese, cercando, ad ogni costo, di attenuarne le dimensioni e ricorrendo persino a terribili atti di pulizia etnica.

I drammatici avvenimenti del 1991 resero i Balcani una vera e propria polveriera d’Europa, teatro di sanguinosi scontri etnico-religiosi. Lo statuto di autonomia venne annullato, il Kosovo venne occupato da forze serbe e le etnie minoritarie furono costrette con la forza ad abbandonare le loro dimore. Lo scoppio della guerra civile sfociò in episodi di crudeli pogrom, ripetuti massacri e costò la vita di oltre 200.000 persone, scrivendo così una tra le pagine più nere della nostra storia europea.

4.  Popoli fratelli tra presente e futuro per la costruzione di una comune speranza

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Costumi Albanesi

Con la proclamazione dell’indipendenza del febbraio 2008, il Kosovo ha assunto infine lo statuto di Repubblica democratica, secolare e multietnica, riflettendo, anche nella sua politica linguistica di regione indipendente, le stesse peculiarità etiche di non discriminazione. Un Paese che appare, dunque, una moltitudine di lingue e etnie alla ricerca dell’identità. Oggi, la situazione socio-linguistica è decisamente mutata e migliorata. I rapporti tra le numerose minoranze alloglotte e le diverse comunità etniche sono mantenuti in equilibrio da vari fattori catalizzatori. L’odierna complessa architettura sociopolitica del Paese è posta sotto l’egida dell’ONU che, con le forze di pace presenti sul territorio, garantisce il rispetto e il mantenimento delle prerogative culturali e linguistiche delle varie popolazioni autoctone. Anche l’Inglese si è largamente diffuso nella regione – identificandosi come una lingua veicolare, compresa e parlata dal popolo – per via della cospicua presenza di operatori ONU, UE e NATO, di membri dell’EULEX, dell’UNMIK, della KFOR, dell’OSCE, dell’ICO e del personale delle varie ambasciate.

In conclusione a queste brevi considerazioni sulle varie identità linguistiche presenti nella regione kosovara sin dalle sue origini e circa la sua accentuata connotazione di terra di confine e periferia, è utile evocare una suggestiva e appassionata riflessione sul potere della lingua, del celebre poeta russo Iosif Brodskij:

«Poiché le civiltà sono qualcosa di “finito”, nella vita di ognuna viene un momento in cui il centro non tiene più. Ciò che allora la salva dalla disintegrazione non è la forza delle legioni ma quella della lingua. Così fu per Roma e, prima, per la Grecia ellenica. Il compito di “tenere”, allora, ricade sugli uomini delle province, della periferia. Contrariamente a quanto si crede di solito, la periferia non è il luogo in cui finisce il mondo – è proprio il luogo in cui il mondo si decanta. È un fenomeno che riguarda la lingua non meno che l’occhio» [da «Il suono della marea» di Iosif Brodskij, Introduzione a Derek Walcott, Mappa del Nuovo Mondo, Milano, 1992].

Oggi, probabilmente, i vari gruppi etnici della regione kosovara potrebbero costituire, per alcuni versi, una di quelle periferie dove si sta decantando l’identità europea, in un crogiolo di lingue, identità e culture diverse.

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(*) Lucia Cristina Larocca è Dottore di Ricerca in Scienze Eurolinguistiche, Letterarie e Terminologiche presso l’Università degli studi di Bari “Aldo Moro”, con una tesi dal titolo Paroles de guerre et guerre de paroles. La militarité au miroir de la langue française et italienne. Già Cultore della materia di Lingua francese presso la stessa Università, si occupa attualmente del trattamento lessicografico riguardante la terminologia militare nei dizionari bilingue francese/italiano.

Durante il suo percorso di studi ha conseguito inoltre un Master francese (presso l’Università di Cergy-Pontoise) dedicandosi, in particolare, allo studio linguistico del gergo militare francese, storico e contemporaneo.

Le sue ricerche riflettono l’intrecciarsi di diverse tematiche linguistiche attinenti al lessico della guerra francese/italiano.


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