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Vola alto il piccione di roy andersson

Creato il 08 settembre 2014 da Kelvin
VOLA ALTO IL PICCIONE DI ROY ANDERSSON
Nella Mostra qualitativamente migliore degli ultimi anni c'è gloria per Roy Andersson, cineasta dell'assurdo e genialmente surreale, che trionfa meritatamente con un film profondo e visivamente bellissimo, sarcastica e stralunata riflessione sulla società odierna. Ma anche il resto del palmarès non è da meno: i riconoscimenti alla Russia poverissima e desolata di Koncalovskij e al toccante The Look of Silence di Oppenheimer denotano una spartizione dei premi finalmente oculata e (quasi) inattaccabile. Dispiace un po' per l'Italia, presente con tre ottimi film e che deve accontentarsi della Coppa Volpi ad Alba Rohrwacher. Peccato, ma questo deve far riflettere sul 'provincialismo' del nostro cinema...

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una scena de 'A Pigeon sat on a branch reflecting on existence', Leone d'oro 2014

E' stata complessivamente una bella Mostra, che ci ha riconciliato con il cinema e ha fugato i dubbi delle ultime edizioni. Lo avevamo già detto in tempi non sospetti: ad Alberto Barbera poco interessavano i lustrini e le paillettes del glamour, rinunciando (un po' per scelta sua, un po' degli altri...) ai filmoni americani e alle star in passerella per portare al Lido titoli interessanti e variegati, qualitativamente validi. La cosa gli era riuscità a metà nei primi due anni della sua gestione, mentre questa terza esperienza veneziana si chiude con un palmarès di tutto rispetto: i premi principali a Roy Andersson, Andrej Koncalovskij e Joshua Oppenheimer sono quanto di meglio potevamo aspettarci. Per una volta, quindi, pochi dubbi e poche discussioni sui film premiati: addirittura, gli unici malumori vertono sui mancati riconoscimenti a pellicole belle e altrettanto valide rimaste a bocca asciutta (pensiamo al nostro Martone, a Inarritu, ad Abel Ferrara). Problemi di abbondanza ai quali non eravamo davvero abituati...
Nessun dubbio però, almeno per chi scrive, sul vincitore: la vittoria di Roy Andersson con A Pigeon sat on a branch reflecting on existence è sacrosanta e meritata, giusto riconoscimento a questo bel personaggio (una sorta di 'Malick svedese', appena cinque lungometraggi diretti in quasi mezzo secolo di carriera, documentari esclusi) che ha conquistato il Lido con un film 'folle' e genialmente nonsense, stralunata e sarcastica riflessione sulla società moderna e l'insensatezza della vita... Andersson, omone paffuto e corpulento, dalla faccia rassicurante e simpatica, che si è presentato alla 'prima' veneziana in tuta da ginnastica, ha regalato al pubblico un'opera originale e non inquadrabile, assolutamente fuori dagli schemi: ne parleremo a brevissimo, stay tuned!

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'The postman's white nights' di Andrej Koncalovskij

Nulla da dire anche sul Leone d'argento, arpionato dal veterano Andrej Koncalovskij e fino all'ultimo in odore di vittoria: il suo The Postman's white nights (Le notti bianche di un postino), film ultra-indipendente e girato con mezzi di fortuna (certe parti perfino con uno smartphone), ambientato in uno sperduto villaggio lacustre nelle immediate vicinanze di una base missilistica, ci mostra con eleganza e tratto poetico una Russia poverissima e segnata dalle enormi disparità sociali, vista ovviamente dalla parte dei derelitti che vivono nelle squallide casupole sull'acqua. Ma il film non è nè retorico nè pietistico: lo sguardo del regista è profondamente umano, quasi naif nel descrivere una comunità di persone relegate ai margini della civiltà. Molto bello.

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Adam Driver e Alba Rohrwacher, migliori attori in 'Hungry Hearts'

E gli altri premi? Si discuterà molto sulla doppia Coppa Volpi assegnata ai protagonisti di Hungry Hearts, ovvero Adam Driver e Alba Rohrwacher. Diciamolo subito: è un premio che sa più di 'resa dei conti' interna alla giuria piuttosto che per i meriti effettivi dei due attori. In termini strettamente artistici, infatti, è indubbio che c'era di meglio: a cominciare dal 'nostro' Elio Germano (ottimo Leopardi ne Il giovane favoloso) e, mi dicono (sulla fiducia, dato che non ho visto il film) del Michael Keaton di Birdman, alla cinese Lu Zhong di Red Amnesia. Ma è chiaro che l'aver premiato due attori per lo stesso film (cosa rarissima per la kermesse veneziana) sa di premio 'politico', ovvero si è voluto in qualche modo riconoscere l'importanza di un film come quello di Saverio Costanzo, che altrimenti rischiava di restare a mani vuote dopo i tanti elogi... i maligni, poi, obietteranno che a Venezia l'Italia deve vincere qualcosa 'per contratto' e che dopo il Leone d'oro dell'anno scorso questi erano gli unici premi possibili. Vabbè. Fattosta che, credetemi, Hungry Hearts è stato il più bello e sorprendente tra i film italiani. E che, premi o non premi, merita assolutamente la visione una volta uscito nelle sale. Fidatevi.

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Willem Dafoe in 'Pasolini' di Abel Ferrara

E siamo all'Italia, dunque. Che, è bene dirlo, mai come quest'anno si presentava al Lido con una selezione così forte e artisticamente validissima. Tre pellicole belle, coinvolgenti, accurate, degne della massima considerazione, come non se ne vedevano da tempo. Punta di diamante era naturalmente Il giovane favoloso di Mario Martone, elegante e potente ritratto di un poeta mostratoci nelle insoliti veste di 'rivoluzionario' e ribelle: il film è appassionante, stilisticamente perfetto, con un protagonista impeccabile (Elio Germano, come si diceva) e un'ottima colonna sonora. Tuttavia in certi punti affiora un po' di schematismo scolastico e una costruzione fin troppo classicheggiante, che lo pongono un gradino più in passo rispetto a Noi Credevamo, presentato al Lido nel 2010. Anche Anime Nere di Francesco Munzi è un gran bel film: teso, ruvido, raggelante come il più 'scafato' dei noir. Un ritratto scarnificato di una terra aspra e difficile, costretta a convivere con la criminalità organizzata.
Alla fine però, come detto, l'unico film italiano a vincere qualcosa di importante è stato Hungry Hearts di Saverio Costanzo, vera sorpresa del Concorso: un film allo stesso tempo umanissimo e duro, delicato negli argomenti ma dal ritmo serrato come quello di un thriller, che racconta una storia universale ambientata a New York ma che potrebbe svolgersi ovunque: quella di una mamma vegana che intende (de)nutrire il figlio appena partorito con gli unici alimenti da lei considerati salutari, contro il parere dei medici e, soprattutto, del proprio compagno... trama attuale e comprensibile a ogni latitudine, che fa riflettere sull'eterno 'provincialismo' del nostro cinema: è indubbio che di fronte a una giuria internazionale, con un solo membro italiano all'interno (il buon Carlo Verdone), pellicole come quelle di Martone e Munzi scontino inevitabilmente la loro 'tipicità', ovvero il fatto di essere comprensibili appieno solo al pubblico di casa nostra. Ha ragione, purtroppo, chi dice che il nostro cinema non è vendibile oltre la frontiera di Chiasso: speriamo che questo risultato 'veneziano' spinga i nostri cineasti a costruire storie dal respiro più ampio, meno localiste e più aperte al mondo. Per il bene del cinema italiano stesso.

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'Birdman' di Alejandro Gonzalez Inarritu


Per il resto, si diceva, la 71. Mostra del Cinema ha proposto tanti titoli interessanti e di qualità, che tratterò esaurientemente nei prossimi post e cui scriverò le recensioni man mano che usciranno in sala. Al netto infatti dei 'soliti' 2-3 titoli insulsi, inutili e fisiologici, che ci sono in ogni festival (penso al retorico e stereotipato Good Kill di Niccol, la delusione più cocente, al trucido Nobi di Tsukamoto, al bolso The Cut di Fatih Akin) il concorso veneziano è stato di buon livello: da segnalare, oltre ai film premiati, il discontinuo ma affascinante Pasolini di Abel Ferrara, l'iraniano Ghesse-ha (premiato per la miglior sceneggiatura), il cinese Red Amnesia, oltre a due titoli apprezzati da pubblico e critica ma che il sottoscritto, purtroppo, non è riuscito a vedere: parlo di Birdman di Inarritu e The look of silence di Oppenheimer, il primo a detta di tutti ingiustamente ignorato nel palmarès, l'altro premiato col Gran Premio della Giuria, e che mi riprometto di recuperare prima possibile.
A questi titoli si aggiungono poi i tanti bei film, piccoli e grandi, disseminati nelle sezioni collaterali e come spesso accade assolutamente degni del concorso: a cominciare dal bellissimo La zuppa del demonio di Davide Ferrario (documentario sugli anni del 'boom' economico), dal frizzante ritorno del maestro Peter Bogdanovich, che omaggia Lubitsch nel carinissimo She's funny that way, del poliedrico James Franco, che prosegue nella sua rilettura dei grandi classici americani del passato con una convincente versione de L'urlo e il furore di Faulkner, della bella favola di The President, toccante riflessione sulla dittatura firmata Moshen Makhmalbaf, degli ottimi film francesi di Laurent Cantet (Ritorno a Itaca) e Christophe Honore (Methamorphoses), ben più interessanti di quelli in concorso, del discusso, forse discutibile, certamente interessante La Trattativa, altro film-inchiesta firmato Sabina Guzzanti. E scusate se è poco...
TUTTI I PREMI DI VENEZIA 71 :
Leone d'oro per il miglior film
A PIGEON SAT ON A BRANCH REFLECTING ON EXISTENCE di Roy Andersson (Svezia)
Leone d'argento per la miglior regia
THE POSTMAN'S WHITE NIGHTS di Andrej Konchalovskij (Russia)
Gran Premio della Giuria
THE LOOK OF SILENCE di Joshua Oppenheimer (Danimarca)
Coppa Volpi miglior attore
ADAM DRIVER per Hungry Hearts di Saverio Costanzo (Italia)
Coppa Volpi migliore attrice
ALBA ROHRWACHER per Hungry Hearts di Saverio Costanzo (Italia)
Osella per la migliore sceneggiatura
GESSE-HA (TALES) di Rakhstan Bani-Etemad (Iran)
Premio Speciale della Giuria
SIVAS di Kaan Mujdeci (Turchia)
Premio Mastroianni attore o attrice emergente
ROMAIN PAUL per Le dernier coupe de marteau di Alix Delaporte (Francia)

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