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Volgendo gli occhi a un cielo impossibile e assurdo

Creato il 21 marzo 2015 da Thoth @thoth14

downloadOggi 21 marzo, primo giorno di primavera e Giornata Mondiale della Poesia, ringrazio le Muse per il lieto evento di questo giorno e per la fine del gelido inverno e le invoco perché, oltre al dono del canto, possano infondere, in me e in chi la Poesia ama, ancora e davvero, la dolce speranza di una calda primavera.

Le Muse, secondo Esiodo, erano figlie di Zeus e di Mnemosyne, la memoria, ed erano nate sulle pendici dell’Olimpo.

Pindaro racconta che gli dei, dopo aver sconfitto i Titani, pregarono Zeus affinché creasse degli esseri che, con il canto, celebrassero le loro gesta: le gesta degli dei. Zeus, signore dei Numi, acconsentì e generò le nove muse che sapevano cantare il presente, il passato e il futuro. Apollo, dio del sole e del canto, le accompagnava con la cetra ed esse rallegravano, così, l’animo degli dei. Apollo Musagete venne egli chiamato, perché guida del coro delle Muse. Insieme cantavano l’origine del mondo, la nascita degli dei e degli uomini, le loro imprese presenti, le profetiche e oscure gesta di un tempo ancora da venire. Benché le Muse si compiacessero, in special modo del canto, esse furono viste e pensate anche come suonatrici di strumenti musicali e messe in rapporto con i diversi generi della Poesia, quali divinità tutelari protettrici e ispiratrici del genere assegnato a ciascuna di loro.

In numero di nove (numero considerato simbolo di perfezione fin dall’antichità), associarono, in tal modo, i loro nomi al potere della creatività: Clio fu la musa del canto epico e, per estensione, anche della Storia; Urania della scienza e della didascalia in generale; Melpomene della tragedia; Talia della commedia; Tersicore della lirica corale; Erato della poesia amorosa e della mimica; Calliope dell’elegia; Euterpe del canto lirico e della musica auletica, ossia quella composta e suonata col flauto; Polimnia della danza e del canto sacri.

Chi può dire più se le Muse abitano ancora il mondo e ispirano veramente gli esseri umani?

Chi si volge più alle Muse chedendo loro l’ispirazione per scrivere un solo verso o un’intera poesia?

Chi le invoca più per riuscire ad avere, da loro, un aiuto nell’arte dello scrivere?

Chi si affida più alla loro protezione nei momenti in cui il foglio rimane bianco e la penna inerte sopra il foglio?

Forse in pochi. Forse qualcuno appena. Forse più nessuno.

La loro conoscenza, reminiscenza arcaica del passato mitico dell’uomo, non è più indispensabile a chi compone poesie e a chi scrive in genere. Si pensa che si possono comporre versi bellissimi e scrivere benissimo anche senza la protezione e l’ispirazione delle Muse. Importa più conoscere i loro nomi e il genere poetico loro associato? Domanda inutile, credo, e ancor più inutile una qualunque risposta.

Così l’oblìo è caduto sulla loro esistenza e sulla loro presenza reale nel dispiegarsi dei sentimenti e delle passioni. La dimenticanza le ha avvolte per sempre. E la memoria tace anche nel suo aspetto più pratico e funzionale.

Sarò una poetessa controcorrente o una poetessa sconosciuta e inascoltata; sarò una poetessa isolata e solitaria; sarò una poetessa incompresa e fuori da mode, modelli e schemi “moderni”; sarò anche una non-poetessa ma finché prenderò in mano una penna e un foglio di carta bianco per scrivere  pure un verso soltanto, banale e insignificante, o anche un solo rigo di scrittura pessima e disastrosa invocherò sempre le Muse… e cercherò di ascoltare un qualcosa di inascoltabile e inaudito che proviene da un altrove, e alzerò il capo volgendo gli occhi a un cielo impossibile e assurdo di un azzurro che forse non esiste… e forse non esisterà mai.

Francesca Rita Rombolà


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