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Volpi a guardia dei pollai. Quel “pasticciaccio brutto” dei Girolamini

Creato il 03 aprile 2013 da Robertoerre

 

Intrigo vesuviano tra ratti di biblioteca, rogatorie internazionali e coraggio civile

 

// Anna Vittorio

In questa storia, che sembra tutta italiana ma si ramifica lungo i canali di una globalizzazione di illeciti tra Monaco di Baviera, Inghilterra, Stati Uniti, Giappone, c’è un po’ di tutto: un patrimonio saccheggiato tanto antico e prezioso quanto fragile, querele, intrecci di politica e affari, interrogazioni parlamentari, calunnie, minacce, titoli universitari e nobiliari millantati, denunce tardive, decine di articoli su testate nazionali e Web, dal “Giornale dell’Arte” a “Repubblica” al “Fatto Quotidiano” al“Corriere della Sera” a www.patrimoniosos.it, firme prestigiose come il giornalista Gian Antonio Stella e lo storico dell’arte Tomaso Montanari (autore per i tipi di Einaudi del saggio “A cosa serve Michelangelo?” sul controverso crocifisso acquistato nel 2008 dallo Stato italiano per tre milioni di euro) , una petizione con migliaia di firme di intellettuali, docenti universitari, giornalisti, artisti, direttori di musei, ricercatori e funzionari pubblici, tra i quali Salvatore Settis, Giuliano Amato, Adriano La Regina, Stefano Rodotà, Rosario Villari, Edda Bresciani, Fausto Zevi, Tullio Gregory, Dario Fo e Franca Rame, Dacia Maraini, Alessandra Mottola Molfino, Oliviero Toscani, Nicola Bonacasa, Carlo Ginzburg, Mina Gregori.

 

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Il “luogo del delitto”, perché di delitto si tratta, è l’antica Biblioteca dei Girolamini, nata a Napoli dalla passione culturale della Congregazione di San Filippo Neri: un monumento nazionale che custodisce una raccolta libraria di circa 160.000 titoli, tra cui incunaboli, cinquecentine, manoscritti, edizioni del XVI e XVII secolo, un archivio musicale ed operistico. Quella dei Girolamini, aperta nel 1586, è la seconda biblioteca più antica d’Italia dopo quella Malatestiana di Cesena, che risale al 1454. Qui confluirono le prime edizioni di tutte le opere di Gianbattista Vico, donate alla biblioteca dallo stesso filosofo napoletano che ne frequentava le sale e che nel complesso religioso ha trovato sepoltura. Classici, archeologia, numismatica, storia, musica, filosofia, teologia, in uno scrigno settecentesco dove, dopo gli anni del degrado e della trascuratezza post terremoto, prende servizio un nuovo direttore, Marino Massimo De Caro. E’ la fine del 2011, ed il suo arrivo scatena molte polemiche. Il 19 aprile 2012, lo stesso giorno dell’apertura straordinaria del complesso, la biblioteca viene posta sotto sequestro giudiziario e De Caro si autosospende. Seguono le indagini del Nucleo Tutela del Patrimonio Artistico, la scoperta in provincia di Verona di un deposito con centinaia di volumi trafugati, mentre altri vengono rintracciati all’estero. De Caro viene arrestato insieme al conservatore padre Sandro Marsano, ma gli investigatori identificano altri indagati “eccellenti”.

 

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Il 15 marzo 2013 Marino Massimo De Caro viene condannato con rito abbreviato a sette anni ed all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, per peculato, un reato penale che può essere commesso soltanto da un pubblico ufficiale o da un incarico di pubblico servizio. L’accusa parla di migliaia di libri spariti: tre, o forse dieci, di questi (tra questi una copia dell’”Utopia” di Tommaso Moro) sarebbero stati “donati” al Senatore bibliofilo Marcello Dell’Utri, che si è difeso affermando di averli accettati senza conoscerne la provenienza. Ex portaborse parlamentare De Caro non vantava un curriculum del tutto immacolato; un’indagine del Nucleo di Tutela del Patrimonio Artistico, riguardante il romanzo allegorico Hypnerotomachia Poliphili, (“Amoroso combattimento onirico di Polifilo”), uscito a Venezia dalla tipografia di Aldo Manuzio nel 1499 e sottratto ad una biblioteca milanese, l’aveva già sfiorato, ma senza conseguenze. Lui così si raccontava nelle prime interviste «Padrino di battesimo di mio nonno Mario è stato Benedetto Croce che proprio qui, in questa biblioteca, ha trascorso lunghe giornate di studio»… «L'inizio è stato difficoltoso.

La biblioteca aveva molti "buchi neri", siamo stati costretti a ricostruire gran parte della storia dei volumi…sono stati scoperti anche molti furti avvenuti nel recente passato: Chi si è impossessato dei libri è stato accorto. Oltre ai volumi ha sottratto anche le schede. Praticamente ha cancellato le tracce della presenza dei volumi». Il “caso”, esploso per l’inopportunità di una nomina dirigenziale non suffragata da competenze professionali o manageriali, si allarga velocemente alle segnalazioni di strani movimenti notturni all’interno della struttura. Da più parti si richiede l’attivazione di una commissione pubblica d’inchiesta sulla gestione e su certe “vicinanze”che paiono imbarazzanti anche ai più disinibiti garantisti, si inoltrano istanze per garantire una guida “ferrea ed irreprensibile” a fronte delle crescenti preoccupazioni degli addetti ai lavori, che notano segnali di incresciose derive. «Quei libri erano già rovinati e con i timbri cancellati.

Io ho cercato solo di recuperarli. Non sapevo arrivassero dalla biblioteca. Ho ricevuto ottanta volumi da Massimo De Caro e non avevo idea che potessero essere della biblioteca dei Girolamini». Così l'interrogatorio di uno degli arrestati. Secondo il Procuratore di Napoli, che si è occupato dell’inchiesta, e che a vario titolo ha contestato agli indagati le accuse di associazione a delinquere e peculato, si è trattato di «un brutale saccheggio del patrimonio culturale dell'Italia intera». Sulla vicenda, però, aleggia un sospetto: che gli indagati abbiano agito con le stesse modalità criminose anche in altre biblioteche. Per questo gli inquirenti hanno attivato verifiche su varie collezioni, tra le quali l’Abbazia di Montecassino, le raccolte della Biblioteca Capitolare a Padova e della Biblioteca del Seminario a Verona. Scoperte le trattative per vendite internazionali, si ricostruiscono le vicende de “Le operazioni del compasso geometrico e militare” di Galileo Galilei, edito a Padova nel 1606 e dedicato a Cosimo II, conosciuto in Italia solo in due esemplari, uno conservato nell’Abbazia di Montecassino ed uno nella Biblioteca dell’Università di Padova.

Le copie risulterebbero sparite, sostituite da fac-simile, e a quanto pare nessuno se ne sarebbe mai accorto se nell’ambito dell’indagine non fosse stata resa in merito puntuale confessione. Quello che emerge è un vero e proprio sistema di spoliazioni strategicamente operate da predatori seriali della cultura, che hanno agito senza alcuno scrupolo, certi dell’immunità. Muovendo fiumi di denaro tra mediazioni, cartelli per decuplicare i prezzi, tecnici specializzati nel rimuovere microchip e timbri, facsimili sostituiti agli originali, agivano in base a veri e propri tariffari. Il costo dei volumi variava da 30.000 euro per la “Cronaca di Norimberga”, incunabolo stampato in lingua latina nel 1493 e dedicato alla storia illustrata del mondo, a 90.000 euro per un’opera di Isaac Newton. Lo scenario che affiora è inquietante: insabbiamenti, connivenze, delegittimazioni, mancate assunzioni di responsabilità, incredibili debolezze nel sistema dei controlli, inammissibili trascuratezze nei comportamenti. Volpi messe a guardia dei pollai, in questa storia che ancora una volta ha umiliato la cultura italiana con uno scandalo che un giorno dopo l’altro rivela nuove scelleratezze.

 

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Nella palude dove i valori più elementari sembrano perdenti rispetto all’arroganza dell’illegalità splende però un raggio di sole. Anzi i raggi di sole sono due, sono due bibliotecari precari presso la Biblioteca dei Girolamini: Mariarosa e Piergianni Berardi, fratello e sorella, recentemente nominati Cavalieri al merito della Repubblica italiana dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Cavalieri e servitori dello Stato, perché non hanno voltato la faccia, ma hanno avuto il coraggio civile di resistere e smascherare i colpevoli, di farsi baluardo della legalità rinnegata, di raccontare dei sistemi di sicurezza staccati, delle visite notturne, delle chiavi trattenute a difesa dell’ultima trincea e poi consegnate per ordine del Ministero. Quanta solitudine nel loro esporsi in prima persona, per vincere l’omertà, per credere nello Stato nonostante tutto, con ostinata dedizione. Schivo, Piergianni Berardi ha rilasciato un’unica dichiarazione: “Denunciai, ma non sono un eroe”. Ai due neocavalieri va la riconoscenza di tutti; anche se non ne hanno bisogno. Chi risponde alla propria coscienza, non ha bisogno di essere ringraziato. Perché agisce secondo imperativi morali che seguono logiche di valori assoluti. E non potrebbe agire diversamente.

 


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