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William Morris

Creato il 24 agosto 2015 da Gaia

Se questo post fosse una lezione, e voi che leggete una classe, inizierei chiedendo: quanti qui sanno chi fu William Morris? (alzino la mano) Forse qualcuno di voi si è interessato dopo che ho detto che avevo letto la sua biografia, ma in generale scommetto che non lo conoscete, perché io William Morris in Italia o da un italiano non l’ho praticamente mai sentito nominare, e va anche bene così, perché non si può sapere tutto e siamo già abbastanza anglosassonizzati, però resta il fatto che Morris non è una presenza nella nostra vita culturale nemmeno ai suoi margini e invece ha anche lui qualcosa da dirci e questo è un ottimo momento per scoprirlo.

La prima volta che ho letto il suo nome è stata a Torino, dove ero andata a vedere la mostra ‘Utopia della bellezza’, dedicata ai pre-Raffaeliti, in cui era esposto un suo quadro, La belle Iseult (Isotta). In realtà Morris non fu un pittore, anche se dipinse e passò la sua vita a disegnare.

Morris fu molto di più, fu moltissimo per un uomo solo, fu poeta, decoratore, artigiano, imprenditore, pioniere del socialismo, editore ed editorialista, attivista, precursore o forse inventore del genere fantasy, traduttore, fu un esperto del Medioevo e il sognatore di un mondo nuovo. Morris creò bellezza per tutta la vita ma, e questo è un fatto raro, dedicò una grande parte delle sue poderose energie a cercare di condividere questa bellezza con ogni singolo essere umano, e in questo sfidò tutto quello che gli stava intorno, tutto quello che la sua società e il suo tempo offrivano: l’alienazione, lo sfruttamento, lo squallore portati dalla rivoluzione industriale, la bassa qualità della produzione di massa, il consumismo, l’avidità della classe a cui apparteneva e al tempo stesso l’aridità delle promesse socialiste, persino la sua famiglia borghese e i suoi amici altolocati che quando lo videro predicare la rivoluzione letteralmente per le strade e inveire contro i suoi stessi ricchi clienti si perplessero e si imbarazzarono, ma non lo lasciarono mai, perché Morris oltre a tutte le altre cose era anche un uomo di compagnia entusiasmante e un grande amico.

Morris, infine, nonostante la sua generosità e il suo idealismo non fu mai del tutto coerente, anzi, e questo rende la sua vita ancora più ricca di spunti.

Io in realtà spero che voi non abbiate mai sentito parlare di William Morris, perché, se siete un po’ come me, la scoperta che sia esistito un uomo del genere, e che d’ora in poi la sua meravigliosa creazione può rivelarsi a voi un pezzo dopo l’altro finché lo vorrete, non può che essere esaltante.

Voglio parlarvi di William Morris per parlare di qualcosa di bello* – tra i tanti argomenti pesanti, tra le tante critiche che pubblico, tra i tanti dilemmi… a me anche tutto questo piace, ma so che a molti pesa, e quindi per cambiare voglio semplicemente celebrare una vita che fu dedicata alla bellezza e alla rivoluzione.

Non è frequente trovare un personaggio che seppe perdersi nella produzione di oggetti bellissimi e poesia sublime senza dimenticare la sofferenza dell’umanità attorno a sé, o che denunciò le ingiustizie del suo tempo e nell’alternativa ad esse propose non solo l’eguaglianza, ma anche i piaceri di tutti i sensi e la meraviglia dell’essere al mondo. Un uomo per cui la bellezza non era né lusso né escapismo, ma essenza stessa della vita, bisogno tanto fondamentale quanto il pane. Ogni uomo, ogni donna, ogni bambino doveva goderne. Per Morris la diseguaglianza e la competizione abbruttiscono non solo gli sfruttati, ma anche i ricchi che di questo sfruttamento dovrebbero godere, e l’unica bellezza possibile è una bellezza accessibile a tutti e non rinchiusa ma visibile, condivisa. A chi oggi dice che ci vogliono i ricchi per costruire cose belle risponderebbe contrapponendo alle ville pacchiane dei capitalisti l’armonia di un villaggio medioevale o l’emozione che provava entrando in una cattedrale gotica, nella costruzione della quale, come notò il suo maestro John Ruskin, ogni singolo artigiano poteva esprimersi individualmente lavorando la pietra secondo il proprio gusto e la propria fantasia.

Vi voglio parlare di William Morris principalmente perché se vi interessa quello che scrivo e faccio forse può interessarvi anche quello che scrisse e fece lui. Nelle sue aspirazioni, nella sua formazione, in quello che mantenne e in quello che rifiutò, nei dettagli, nel modo in cui lo vedevano gli altri, persino nei suoi rapporti e nell’immagine di sé, nei progetti, nella foga, nell’impazienza, nella sfida a tutto… io ho ritrovato qualcosa di me. Quello che sono e soprattutto quello che vorrei essere – e, nel fatto che visse una vita e ne scrisse altre, anche la possibilità di quello che deve ancora venire per noi che siamo vivi. Io non posso fare tutto quello che vorrei; lui potè. Io posso fare di più di quello che sto facendo, e leggere la vita di un uomo simile mi stimola a provarci finché sono viva.

Le cose sono molto diverse ore. Morris visse, come disse lui stesso, “nella città più ricca del paese più ricco nell’era più ricca del mondo”, ed era capitale, ed era il tempo dell’ascesa. Io sono nata in uno degli angoli più ricchi del mondo in un’era ancora più ricca, ma era provincia ed era l’inizio del declino. Questa è una grande differenza, ma rende i suoi progetti ancora più necessari. Noi ora sappiamo e vediamo cose che lui forse non poteva nemmeno vedere, e questo mi rassicura – trovarsi in disaccordo con un grande è sempre un brutto colpo, ma lo è meno se questo disaccordo è parzialmente spiegabile con la distanza temporale.

Nel prossimo post (o in uno dei prossimi) parlerò del suo libro oggi più famoso: News from nowhere.

*In realtà, vi parlo di William Morris perché ho detto che l’avrei fatto se a qualcuno fosse interessato, e a Mauro interessava, quindi adesso sono obbligata


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