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William Shakespeare, “La Tragedia di Amleto, Principe di Danimarca” VIII

Creato il 16 maggio 2013 da Marvigar4

Amleto Vignolo Gargini

William Shakespeare

LA TRAGEDIA DI AMLETO, PRINCIPE DI DANIMARCA

Titolo originale The Tragedy of Hamlet, Prince of Denmark

Traduzione di Marco Vignolo Gargini

ATTO TERZO

SCENA TERZA

Entrano il Re, Rosencrantz e Guildenstern

RE: Lui non mi piace, e non è sicuro per noi lasciare errare la sua follia. Perciò, preparatevi; io sbrigherò immediatamente la vostra missione ed egli verrà con voi in Inghilterra. Le circostanze del nostro stato non possono tollerare il pericolo così vicino a noi che d’ora in ora gli matura sul suo volto.

GUILDENSTERN: Ci prepareremo subito. È sacrosanto e religioso scrupolo pensare alla sicurezza di molti e molti corpi che vivono e si nutrono sotto la Vostra Maestà.

ROSENCRANTZ: Ogni singola e peculiare vita è tenuta, con ogni forza e armatura della mente, a proteggersi dal male; ma tanto più quello spirito, dal cui benessere dipendono e confidano le vite di tanti. La fine della maestà non muore sola; ma come un gorgo trae con sé ciò che le è vicino. È una ruota massiccia fissata in cima al monte più alto, sui cui raggi enormi ha infitte e aggiunte diecimila cose di minor conto; e quando cade ogni piccolo annesso, ogni trascurabile conseguenza, ne accompagna la sua violenta rovina. Mai solo sospirò un re, ma con un lamento generale.

RE: Armatevi, vi prego, per questo rapido viaggio, perché metteremo dei ceppi a questa paura che procede troppo a piede libero.

ROSENCRANTZ: Noi ci affretteremo.

(Escono Rosencrantz e Guildenstern)

Entra Polonio

POLONIO: Mio signore, sta andando nella stanza di sua madre. Dietro l’arazzo mi apposterò a udire lo svolgimento. Io garantisco che ella lo sgriderà a dovere, e come avete detto, e saggiamente fu detto, è bene che uno spettatore in più oltre a una  madre, dal momento che la natura le madri le rende parziali, porga l’orecchio al discorso con vantaggio. Addio, mio sovrano, verrò da voi prima che andiate a letto, e vi narrerò. ciò che so.

RE: Grazie, mio caro signore.

(Esce Polonio)

Ah, il mio delitto è lurido, nauseabondo fino al cielo; reca su di sé la più antica originale maledizione, l’assassinio di un  fratello. Pregare io non posso, sebbene l’inclinazione sia penetrante quanto il volere. La mia più forte colpa sconfigge il mio forte intento, e come un uomo legato a due compiti, indugio là dove dovrò cominciare per primo, e li trascuro entrambi. Ma se questa mano dannata fosse anche più intrisa di com’è del sangue di mio fratello non c’è pioggia abbastanza lassù nei dolci cieli per lavarla bianca come la neve? A che pro la pietà se non ad affrontare il volto del delitto? E cosa c’è nel pregare se con questa forza duplice, di trattenerci prima di commettere peccato o perdonarci avendolo commesso? Allora alzò gli occhi; la mia colpa è passata. Ma oh qual forma di preghiera può servirmi? “Perdona il mio turpe assassinio”? No certo, perché ancora posseggo i beni per cui commisi l’assassinio, la mia corona, la mia propria ambizione, la mia regina. Uno  può essere perdonato e conservare il delitto? Nelle corrotte correnti di questo mondo la mano aurea del delitto può spostare da una parte la giustizia, e spesso s’è visto che lo stesso premio malvagio rileva la legge. Ma non è così lassù, là non si accantona, là l’azione è al suo posto nella sua vera natura, e noi stessi siamo obbligati, perfino ai denti e alla fronte dei nostri peccati, a rendere di conto. E allora? Che resta? Tentare ciò che può il pentirsi – cosa non può? Ancora cosa può, se uno non può pentirsi? Oh infelice stato, oh petto nero come la morte, oh anima invischiata, che agitandosi per essere libera, sei più vincolata! Aiuto, angeli! Provate a farlo. Piegatevi refrattarie ginocchia, e cuore dalle corde di acciaio sii soffice come i nervi di un neonato. Tutto può essere bene.

(Si inginocchia)

Entra Amleto

AMLETO: Adesso potrei proprio farlo, adesso che sta pregando; e adesso lo farò – e così va in cielo; e così sono vendicato. Bisognerebbe pensarci; un furfante ammazza mio padre, e per questo, io suo unico figlio, questo stesso furfante mando all’altro mondo.

Ma questo è un lavoro stipendiato, non la vendetta. Lui ha preso mio padre con indecenza, sazio di cibo, con tutti i suoi misfatti in pieno sboccio, freschi come il maggio, e come sta la sua resa dei conti chi lo sa se non il cielo?

Ma nel nostro caso e linea di pensiero, sono gravidi per lui; e allora sono vendicato se lo prendo mentre si purifica l’anima, quando è assolto e maturo per il suo trapasso?

No.

Su, spada, studia un’azione più orrida, quando lui ronfa ubriaco, o è fuori di sé per l’ira, o nel piacere incestuoso del suo letto, al gioco, nella bestemmia, o in qualche atto in cui non c’è sentore di salvezza – Allora fagli lo sgambetto, che i suoi calcagni prendano a calci il cielo, e che la sua anima possa essere dannata e nera come l’inferno dove andrà. Mia madre attende.

Questo farmaco fa solo prolungare i tuoi giorni malati.  

(Esce)

RE (Rialzandosi): Le mie parole volano, i miei pensieri restano a terra. Parole senza pensieri non raggiungono mai il cielo. (Esce)

SCENA QUARTA

Entrano la Regina e Polonio

POLONIO: Verrà subito. Guardate di sgridatelo a dovere, ditegli che le sue stramberie sono andate troppo oltre per sopportarle, e che vostra grazia ha fatto da schermo e s’è posta in mezzo tra e una gran collera e lui. Io resto zitto proprio qui. Vi prego di essere franca con lui.

AMLETO (Da dentro): Madre, madre, madre

REGINA: Ve lo garantisco, non abbiate paura. Andate, lo sento venire.

(Polonio si nasconde dietro un arazzo)

Entra Amleto

AMLETO: Allora, madre, cos’è stato?

REGINA: Amleto, tu hai molto insultato tuo padre.

AMLETO: Madre, voi avete molto insultato mio padre.

REGINA: Su, su, tu rispondi con vana lingua.

AMLETO: Su, su, voi domandate con viziosa lingua.

REGINA: Che? Che c’è, Amleto?

AMLETO: Qual è adesso il problema?

REGINA: Hai dimenticato chi sono?

AMLETO: No, per la croce, niente affatto: voi siete la regina, la consorte del fratello di vostro marito, e, se non fosse così, siete mia madre.  

REGINA: No, allora ti metterò davanti a chi ti può parlare.

AMLETO: Andiamo, andiamo, sedetevi; non vi muoverete; non andrete via finché non vi avrò messo davanti lo specchio dove potrete vedere la parte più intima di voi.

REGINA: Che vuoi fare, non vorrai uccidermi? Ah, aiuto, aiuto!

POLONIO (dietro l’arazzo): Che succede? Aiuto, aiuto, aiuto!

AMLETO (sguainando la spada): Cosa c’è? Un topo! Morto per un ducato, morto!

(Trapassa con la spada l’arazzo)

POLONIO (dietro): Oh, mi ha ucciso!

REGINA: Ahimè, che hai fatto?  

AMLETO: No, non lo so, è il re?

REGINA: Oh che follia sanguinaria è questa!

AMLETO: Follia sanguinaria, malvagia quasi come, buona madre, uccidere un re e sposarsi con suo fratello.

REGINA: Come uccidere un re?

AMLETO: Sissignora, ho detto.

(Solleva l’arazzo e scopre Polonio

Tu disgraziato, imprudente, ficcanaso cretino, addio.

Ti ho scambiato per uno più grande di te. Prendi la tua sorte.

Ti sei reso conto che è pericoloso essere troppo intraprendenti.

Piantatela di torcervi le vostre mani; calma, sedetevi, vi torcerò io il vostro cuore: perché farò così se è composto di materia penetrabile, se la dannata consuetudine non l’ha pietrificato a tal punto da farne un baluardo resistente contro il sentimento.

REGINA: Che ho fatto che tu osi scatenare la tua lingua in piazzate così triviali nei miei confronti?

AMLETO: Un tale atto che insudicia la grazia e il rossore della modestia, appella la virtù ipocrita, strappa la rosa dalla bella fronte di un amore innocente, e vi pone una vescica, rende i voti nuziali falsi come i giuramenti dei giocatori di dadi. Oh, un tale fatto che dal corpo del contratto svelle la stessa anima, e la dolce religione la fa diventare una rapsodia di parole. Arde il volto del cielo; sì, questa massa solida e compatta con viso accaldato, come dinnanzi al giorno del Giudizio, a tale atto perde la ragione.

REGINA: Ahimè, quale atto, che ruggisce così forte e tuona sin dal principio?

AMLETO: Date un’occhiata qui a questo ritratto, e a questo, la parata contraffatta di due fratelli.

Notate quale grazia era posta su questo volto, riccioli d’Iperione, la fronte di Giove stesso, un occhio come quello di Marte, per minacciare e comandare, una postura come l’araldo Mercurio, appena posato su di un colle che bacia il cielo, una combinazione e una forma su cui davvero ogni dio parve imporre il proprio sigillo per donare al mondo la sicurezza dell’uomo.  

Questo era vostro marito. Guardate adesso l’altro: questo qui è vostro marito come una spiga ammuffita, che distrugge il suo sano fratello. Avete occhi? Avete potuto lasciare il pascolo su questa bella montagna e rimpinzarvi in questa fossa? Ah, avete gli occhi?

Non potete definirlo amore, perché all’età vostra Il vigore del sangue è ammansito, è umile, e fa riferimento al giudizio; e quale giudizio andrebbe da questo a quello; ma certo avete i sensi, se no non potreste muovervi; ma certo quel senso è paralizzato, perché la follia non errerebbe così, né i sensi non sarebbero mai così soggiogati dall’estasi da non riservarsi qualche brano di scelta, da utilizzare per una tale differenza. Quale demonio fu a gabbarvi così giocando a moscacieca?

Occhi senza sentimenti, sentimenti senza occhi, orecchie senza mani e occhi, olfatto senza tutto, oppure una sola parte malata di un solo vero senso non potrebbe avvilirvi così.

Oh vergogna, dov’è il tuo rossore? Inferno ribelle, se ti puoi rivoltare nelle ossa d’una matrona, allora nella gioventù infiammata la virtù sia come cera e si fonda nel suo stesso fuoco. Non è più vergogna, se l’ardore costretto dà la carica, dato che il gelo stesso brucia così vivo, e la ragione fa la ruffiana del desiderio.

REGINA: Oh, Amleto, non parlare più. Tu volti i miei occhi verso la mia stessa anima, e là scorgo macchie così nere, che non perderanno la loro tinta.

AMLETO: Sì, ma  vivere nel sudore ripugnante di un letto lercio marcita nella corruzione, mielosa, e a fare l’amore in un osceno porcile.  

REGINA: Oh, non parlarmi più; queste parole penetrano nelle mie orecchie come pugnali; smettila, dolce Amleto.

AMLETO: Un assassino e un manigoldo, un servo che non è un ventesimo della decima parte del vostro precedente marito, un re buffone, uno scippatore dell’impero e della carica, che da una mensola ha rubato il prezioso diadema e se l’è ficcato in tasca.  

REGINA: Finiscila!  

AMLETO: Un re di stracci e toppe

Entra lo Spettro

Salvatemi e posate su di me sopra le vostre ali, voi guardiani celesti – Che vuole la vostra graziosa immagine?

REGINA: Oddio, è pazzo.

AMLETO: Non venite a rimproverare il vostro figlio pigro, che smarrito nel tempo e nella passione  trascura l’importante compito del vostro venerabile comando?

Oh, parlate!

SPETTRO: Non dimenticare. Questa visita è solo per riaffilare il tuo proposito quasi spuntato.

Ma guarda, lo stupore incombe su tua madre; Oh, mettiti tra lei e la sua anima in conflitto – la vanità opera con più forza nei corpi più deboli – Parlale, Amleto.  

AMLETO: Cosa vi prende, signora?

REGINA: Ahimè, che ti prende, che ruoti il tuo occhio nel vuoto, e parli con l’aria incorporea. Davanti ai tuoi occhi i tuoi spiriti spuntano violentemente, e come soldati colti nel sonno dall’allarme, i tuoi capelli lisci prendono vita, si alzano e si rizzano. O figlio gentile, sul calore e sulla fiamma del tuo turbamento scintilla una fredda pazienza. Su che cosa ti fissi?

AMLETO: Su lui, su lui! Ammirate con che pallore ci squadra. La sua forma e la sua causa unite, se predicassero alle pietre le smuoverebbero. Non fissatevi su di me, per timore di convertire con questa azione pietosa i miei fermi propositi; allora ciò che devo fare smarrirà il suo colore: lacrime, forse, al posto del sangue.  

REGINA: A chi dici questo?

AMLETO: Non vedete niente lì?

REGINA: Niente di niente, ma tutto ciò che c’è, lo vedo.  

AMLETO: E non avete udito niente?

REGINA: No, niente, solo noi. 

AMLETO: Ma guardate là, guardate come si ritrae – Mio padre nel suo abito come quando era vivo – E guardate dove va, proprio ora, fuori dal portone.

(Lo Spettro esce)

REGINA: Questa è pura invenzione del tuo cervello. Che l’ha inventato. Queste creazioni incorporee la follia è molto abile a crearle.

AMLETO: Follia!

I miei battiti del polso sono regolari come i vostri, e hanno un ritmo altrettanto sano. Non è follia  ciò che ho detto; mettetemi alla prova e io riformulerò l’argomento, mentre la follia lo salterebbe. Madre, per amor della grazia, non spalmate sulla vostra anima questo balsamo di lusinghe, che non sia il vostro peccato, ma la mia follia a parlare.

Sarebbe una pelle sottile sulla vostra piaga ulcerosa, mentre la cancrena putrida che mina tutto dentro v’infetterebbe non veduta. Confessatevi al cielo, pentitevi del passato, scansate il futuro, e non spargete il concime sulla malerba per renderla più putrida. Perdonatemi questa mia virtù, perché nella corpulenza di questi tempi obesi la virtù deve implorare perdono al vizio, sì, e curvarsi e chiedere il permesso di fargli del bene.  

REGINA: Oh, Amleto, mi hai spezzato il cuore in due.

AMLETO: Oh, buttate via la sua parte peggiore, e vivete più pura con l’altra metà.

No, a dispetto del buonsenso e del segreto, aprite la cesta sul tetto di casa, fate volar gli uccelli, e come la scimmia della fiaba, per arrivare a delle conclusioni, cacciatevi nella cesta e rompetevi il collo cadendo.

REGINA: Stai certo, se le parole sono fatte di fiato, e il fiato di vita, non ho vita per dare fiato a ciò che m’hai detto.

AMLETO: Debbo andare in Inghilterra, lo sapete?

REGINA: Ahimè, l’avevo dimenticato. Così è stato stabilito.

AMLETO: Hanno sigillato lettere, e i miei due compagni di scuola, di cui io mi fido come di aspidi velenosi, portano il mandato; loro mi spazzano la mia strada e mi devono mettere in trappola. Ma che facciano, è un divertimento vedere far saltare in aria l’artificiere con il suo stesso petardo, e dovrebbe andarmi buca se non scavo una iarda sotto le loro mine e li faccio saltare fino alla luna. Oh è molto dolce quando in una linea due marchingegni si scontrano direttamente.

Quest’uomo mi spingerà a far fagotto o trascinerò le sue budella nella stanza qui accanto.

Madre, buonanotte. Questo consigliere davvero è ora molto taciturno, molto riservato, e molto solenne, e in vita era un cretino pettegolo furfante.  

Venite, signore, per concludere con voi.  

Buona notte, madre!

(Esce Amleto tirando via Polonio)



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