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Woody Allen e le malattie dell'abbondanza

Creato il 29 dicembre 2014 da Stupefatti
Woody Allen e le malattie dell'abbondanza
Woody Allen conosce personalmente l’angoscia della morte e dell’assurdo, il sentimento della colpa, la paura di essere andati fuori strada e di aver fallito nella propria vita; ed è convinto, in ogni caso, che un’opera artistica o letteraria che manchi di affrontare le grandi “questioni esistenziali” – secondo lui “le uniche veramente degne di interesse” – sarebbe un’opera mutilata a cui mancherebbe una dimensione. (…)
Il gusto di mescolare la finezza psicologica e lo humor è comunque un tratto d’epoca: il ricorso all’autoderisione permette oggi a molti membri delle società liberali avanzate tanto di esprimere la preoccupazione ossessiva che hanno di se stessi, quanto di beffarsene, perchè per quanto siano narcisisti, sanno bene che in fondo i loto problemi psicologici sono un lusso da privilegiati, e che hanno comunque la possibilità di vivere nella loro prospera e pacifica civiltà.Per questo motivo i film di Allen non possono che essere considerati insieme all’epoca che descrivono, dato anche che uno dei loro principali interessi è proprio quello di offrirci un riflesso della grande svolta individualistica prodottasi nelle società sviluppate intorno al terzo quarto del XX secolo.I personaggi contemporanei di cui Allen analizza finemente fantasmi, frustrazioni e ossessioni, hanno una psicologia assai differente rispetto a quella dei loro genitori e dei loro nonni, in quanto vivono in un quadro materiale e culturale che non ha un granchè a che vedere con il loro. Conosciamo , ad esempio, quello dei genitori di Allen, modesti ebrei di Brooklin, evocati in Radio Days (1987): condizioni di vita difficili che impongono abitudini di austerità e di economia; un lavoro, spesso duro e faticoso, appena sufficiente a sbarcare il lunario; la presenza rassicurante e soffocante insieme dell’ambiente familiare e del gruppo sociale, che fanno sentire la loro legge sui singoli; una consolidata valorizzazione della tradizione, della rispettabilità sociale e dei buoni costumi; una morale del lavoro e del rispetto ella legge che non riconosce nessuna leggittimità alla ricerca del piacere; un basso livello culturale congiunto ad una sostanziale sfiducia verso i discorsi troppo audaci, troppo “intellettuali” e “corrosivi”: “I valori dei miei genitori sono Dio e la moquette”, afferma Allen in uno sketch (…).Quarant’anni più tardi le cose sono profondamente cambiate: il livello di vita si è notevolmente elevato, il consumo si è banalizzato, si è assunta l’abitudine del comfort e del tempo libero, dello sport, dei ristoranti, degli spettacoli e dei viaggi, e nonostante l’insicurezza regni sovrana nel mercato del lavoro, nessuno di coloro che nei film di Allen si danno da fare per trovare un impiego teme davvero la miseria. (…)Le loro preoccupazioni sono fondamentalmente individualistiche. Lo scopo che questi personaggi si danno nella vita non è più quello di inserirsi nell’ordine sociale tradizionale, di conservare il loro ruolo nel gruppo e di farsi apprezzare per la loro passione nel lavoro e per il loro senso morale, e non è neanche, al contrario, quello di edificare una società più giusta: è semplicemente di arrivare a crescere e realizzarsi individualmente (…)
Essi aspirano a vivere una vita sessuale e amorosa gratificante. Il sesso, di cui secondo Allen nessuno parlava nella sua famiglia, e che quasi non si praticava più, è oramai completamente scolpevolizzato e riconosciuto come una delle fonti di felicità più evidenti e naturali, al punto di essere divenuto un’ossessione esplicita e da essere commentato senza falsi pudori: i personaggi alleniani si complimentano ben volentieri per le loro performances a letto, o altrimenti si scusano delle loro eventuali dèfaillances; le loro battute sono spesso crude: “Il sesso è sudicio? Solo quando è ben fatto”. (…)Questa preoccupazione ossessiva di sé che caratterizza l’individuo contemporaneo sotto alcuni aspetti è spia del sentimento che la felicità terrena, a lungo creduta inaccessibile, appare ormai possibile in una società in cui il livello di prosperità e libertà non ha eguali nella storia.Ma ciò genera anche delle nuove inquietudini e delle nuove malattie: innanzitutto perchè nella corsa alla realizzazione è impossibile che ci siano solo vincitori, e sono in tanti a restare bloccati, frustrati da quelle soddisfazioni di cui sembra che i loro simili siano colmi, con la sensazione, talvolta, di essere dei semplici falliti, inutili e senza valore.Lo scarto tra l’aspirazione a una felicità che sembra essere divenuta un diritto e una realtà spesso deludente accresce perciò l’insoddisfazione e le tendenze depressive.“La filosofia di Woody Allen”, Roland Quilliot, 2011

La grande popolarità della psicanalisi in Occidente, e particolarmente negli Stati Uniti, fin dagli inizi degli anni trenta ha indubbiamente la stessa base sociale. Ecco una borghesia per la quale la vita ha perso significato. Non hanno nessun ideale politico o religioso, eppure sono in cerca di un significato, di un’idea alla quale dedicarsi, di una spiegazione della vita che non richieda fede o sacrifici (…)Si deve notare che in principio, dal 1900 agli anni venti, la psicoanalisi era molto più radicale di quanto non lo sia diventata dopo aver ottenuto la sua grande popolarità. Per la borghesia cresciuta nell’età vittoriana, le affermazioni di Freud sulla sessualità infantile, sugli effetti patologici della repressione sessuale etc, erano violazioni radicali dei loro tabù, e ci voleva coraggio e indipendenza per violarli. Ma trent’anni più tardi, quando gli anni venti portarono con sé un’ondata di erotismo e un diffuso abbandono degli standard vittoriani, le stesse teorie non erano più traumatizzanti o provocatorie. Così la teoria psicanalitica ottene l’acclamazione popolare in tutti quei settori della società che erano avversi all’autentico radicalismo, cioè all’andare “alle radici”, pur essendo desiderosi di criticare e trasgredire le consuetudini conservatrici del diciannovesimo secolo. In questi circoli – vale a dire, tra i liberali – la psicoanalisi espresse la desiderabile via di mezzo tra i li radicalismo umanistico e il corservatorismo vittoriano.

La psicoanalisi divenne la soddisfazione surrogatoria d’una profonda aspirazione umana, quella di trovare un significato per la vita, di essere autenticamente a contatto con la realtà, di eliminare le distorsioni e le proiezioni che pongono un velo tra realtà e noi stessi. Essa divenne un surrogato della religione per la media e alta borghesia che non desiderava fare uno sforzo più radicale e comprensivo.Qui, nel Movimento Psicanalitico, trovarono tutto: un dogma, un rituale, un capo, una gerarchia, la sensazione di possedere la verità, di essere superiori ai non iniziati; e tuttavia senza grande sforzo, senza una profonda comprensione dei problemi dell’esistenza umana, senza sapere vedere dentro e criticare la loro stessa società e gli effetti deformanti sull’uomo, senza dover cambiare il proprio carattere in quegli aspetti che importano, e precisamente sbarazzarsi della propria avidità, irosità e follia. Tutto ciò di cui si cercò di sbarazzarsi furono certe fissazioni erotiche e la loro traslazione, e sebbene talvolta questo possa essere importante, esso non è sufficiente per il conseguimento di quella trasformazione caratteriologica che è necessaria per essere in pieno contatto con la realtà.Da un’idea progressista e coraggiosa la psicoanalisi si trasformò in un sicuro credo di quei membri impauriti e isolati della media borghesia che non trovavano rifugio nei movimenti religiosi e sociali più convenzionali del loro tempo. La decadenza del liberalismo è espressa nella decadenza della psicanalisi.
“La missione di Sigmund Freud”, Eric Fromm, 1975

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