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Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite
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“Ci possono essere mille ragioni perché uno scrittore non scriva, e va bene così. A uno scrittore non si chiede di scrivere ogni minuto di ogni giorno. Tuttavia, quando uno scrittore ha il tempo e la voglia di scrivere, ma sceglie di non farlo, io credo che questo scrittore sia spaventato.”

Così comincia l’articolo di Icy Sedgwick pubblicato su Fuel your Writing.

Spaventato?

Lo scrittore ha paura che ciò che scriverà sarà così brutto che preferisce posare la penna, spegnere il computer o trascorrere la sua serata su twitter. O peggio ancora, lo scrittore comincia a leggere un romanzo: l’opera di un suo collega, magari illustre, sembra perfetta. Quasi si dimentica, lo scrittore, che ogni romanzo è frutto di ore e ore di lavoro, pagine strappate, frasi scritte e riscritte fino allo sfinimento. Se ne dimentica, lo scrittore. Se ne dimentica quando comincia a scrivere la prima versione del suo romanzo. Ma si chiama prima versione per una ragione: è la prima versione, appunto!, cambierà, sarà corretta, non rimarrà nulla uguale a se stesso. Ma lui, lo scrittore, se ne dimentica.

Succede anche a lei, dice Icy Sedgwick, e anche a me, a tutti: modificare in corsa il tempo della narrazione, il nome di una Città, o addirittura un personaggio che, proprio verso le ultime pagine, reclama per sé un’altra vita, anche se quella scelta dallo scrittore si abbinava perfettamente alla storia.

Nulla rimane uguale a se stesso: è questa la croce e delizia della prima versione.

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