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"You Really Should See These" - Day 1: Noir

Creato il 13 febbraio 2012 da Elio


Le classifiche sono per certi versi uno strumento troppo semplicistico, è vero. Costringono a scegliere, quindi a scartare prodotti degni di nota, originali e distinguibili solo perché nel complesso non sono magari superiori ad altri che nella maggior parte dei casi sono anche quelli più conosciuti. È vero anche che, tuttavia, quando ho bisogno di una prima infarinatura su un genere specifico e a me sconosciuto, mi rivolgo spesso a classifiche di appassionati per cercare di individuare potenziali colonne portanti che mi permettano se non altro di muovere i primissimi passi all'interno dello stesso. Ed è difficile che una delle pellicole presenti in tali classifiche non sia effettivamente efficace e riuscita. La loro utilità e la loro immediatezza, tutto considerato, sono quindi innegabili. Si amplificano, anzi, se all'interno di una rete di appassionati com'è quella dei blogger, che essendo peraltro varia anche all'interno di un unico ambito, cinematografico in questo caso, può fornire linee guida assi funzionali se si vuol aprire finestre su generi o correnti di cui non si sa quasi nulla. Del resto il cinema ne conta un'infinità.
Sulla scia delle varie iniziative che qualche blogger tira fuori ogni tanto (ultima, ma solo in termini temporali, il “This is my Boomstick Award” di Hell) ho deciso di proporne una a mia volta: il “You Really Should See These”. Le regole:
1) Essendo difficile scegliere un unico genere o filone cinematografico, non lo     si farà. Se ne possono scegliere 3, ed ogni giorno sarà dedicato ad un genere   diverso.
2) Ogni classifica dovrà contare solo ed esclusivamente 7 pellicole.
3) Il genere dovrà essere introdotto, brevemente o meno, e le scelte dovranno    essere giustificate, sì da rendere ulteriormente utili le singole classifiche.
Chiunque dovesse decidere di farlo, oltre a rispettare le regole appena scritte, dovrà semplicemente riportare l'identificativa e fantastica immagine ad inizio post.
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Ciò detto, passo quindi ai miei primi cinque. Il genere scelto è quello che personalmente mi ha spalancato le porte di un cinema, assai lontano, di cui non conoscevo e non immaginavo la potenza. Un cinema dal fascino unico ed irripetibile nel suo essere eterno, capace di immortalare il fascino di decadi lontane e permettere di rivivere atmosfere che 60 anni più tardi è per ovvie ragioni impossibile ricreare. Il noir anni '40 - che è poi l'unico vero noir, nonostante il termine ad oggi venga usato in maniera, salvo casi rari, del tutto fuori luogo - diede un volto all'hard boiled letterario e creò pellicole e personaggi che sono ormai storia del cinema, con la loro disillusione, la loro visceralità, oltreché con la loro inconfondibile struttura. Di seguito i 7 noir per me più riusciti di sempre:
7) “I Gangsters (The Killers - 1947)
Quelli in classifica sono tutti capolavori, è ovvio, al di là della posizione che occupano, questa però resta in ogni caso l'ultima. Se ad occuparla è “The Killers”, tuttavia, non è perché sia un film meno potente degli altri, ma perché non può definirsi un noir a tutti gli effetti, essendo per metà vicino anche al poliziesco tipico della decade successiva. Se l'inizio è forse la cosa più noir che si sia mai vista al cinema, per fotografia, dialoghi e sceneggiatura, il prosieguo assume tratti meno accentuati, pur restando assolutamente classificabile, la pellicola, come appartenente al genere in questione. Del resto basterebbe anche solo quella meraviglia di Ava Gardner a renderlo tale. E Siodmak alla regia è uno che potrebbe far scuola ancor ora.
Basato su un racconto di Hemingway, verrà ripreso da Don Siegel, che gli darà un volto in parte diverso ma ugualmente notevole.

6) “Vertigine (Laura - 1944)
Noir atipico quello di Otto Preminger, che proprio per questo si impone come uno dei migliori mai girati. Rispetta per certi versi i codici che delineano il genere e li rifiuta per altri. Manca una delle figure principali, quella della Dark Lady, che diviene in questo caso il motore immobile dell'intera sceneggiatura; al tempo stesso però mostra elementi caratteristici, quali dialoghi serrati, struttura investigativa e caratteri torbidi ma affascinanti. Su tutti un impareggiabile Lydecker, interpretato enormemente da Clifton Webb.È sufficiente riportare un solo scambio per giustificarne la presenza all'interno di questa classifica:
- “Lei ha mai amato?
- “Una volta... una maschietta; mi scroccò una pelliccia”.
5) “Touch of Evil (1958)
È il caso di mettersi a parlare di un genio fuori di testa come Orson Welles? Del resto ha girato questo noir anni '40, anch'esso atipico per certi versi, nella decade successiva. Il suo “Touch of Evil” mischia parentesi oniriche, atmosfere fra le più suggestive che si ricordi, una regia abituata ad osservare dall'alto perché sopra di essa non c'è nulla da guardare, interpretazioni semplicemente perfette e una fotografia a tratti irreale. Quest'ultima in particolare dovrebbe in teoria cozzare con il realismo diretto e spiccato di una sceneggiatura tipicamente noir, e invece no, non accade neanche per sbaglio. Al contrario permea la stessa non privandola della sua identità ma valorizzandola con tratti diversi dal solito.
Un pianosequenza che è praticamente un libro di testo, una Dietrich bellissima e un Welles in stato di grazia anche come attore.
Impietoso e potente il titolo originale.
4) “Il Terzo uomo (The Third Man - 1949)
Il termine che ho sempre associato alla pellicola di Carol Reed è “magnetico”. Il fascino qui non si limita a toccare vette conosciute, ma crea quelle che poi qualcun altro si sforzerà anche solo di sfiorare. Che punti principalmente su di esse lo si capisce anche e soprattutto dalla scelta di usare un unico, ipnotico motivo capace di rendere la ridondanza un (il) valore aggiunto. Ma di aspetti sublimi in “The Third Man” ce ne sono parecchi, a partire dalla fotografia che esalta il più possibile il contrasto (si gettò dell'acqua sulle strade perché riflettessero la luce). La sceneggiatura, ripresa dal libro di Greene, è avvincente come poche, lo spessore introspettivo assai efficace, più di una scena è ormai storia del cinema e il finale ritrae l'anima più nera del noir.

3) “Autostrada per l'Inferno (Detour - 1945)
Ma come? Un b-movie tra i grandi? Sì, un b-movie tra i grandi. Quelli di Ulmer sono 67 minuti allucinanti, nel senso più letterale del termine. Un noir così atipico che quasi rischia di non rientrare nel genere; così atipico che non ne vedrete un altro simile. “Detour” non è che il racconto di un incubo che sfiora prima e supera poi il surreale, attraverso un ritmo incalzante e in crescendo. A scandirne i tempi una voce narrante, quella del protagonista, meravigliosamente noir. Cinico, irriverente e nero.




2) “La Fiamma del Peccato (Double Indemnity -1944)
Bene, con questa pellicola si va leggermente oltre. Wilder tira fuori dal cilindro, e dal libro di Cain, un noir pazzesco, così vivo che a guardarlo si ha l'idea di essere stati morti fino a quel momento. Estremamente classico, sfrutta flashback, voce narrante, dialoghi potenti e accattivanti, struttura investigativa, ritmo serrato e Dark Lady. Quella della Stanwyck, epica, non è però una DL qualsiasi, è La DL per antonomasia, la stessa che con assoluta riverenza ha ripreso 50 anni dopo David Lynch in quell'altro capolavoro che è “Strade Perdute”. È una figura dalla quale chiunque si sarebbe fatto raggirare, ai piedi della quale si sarebbe ritrovato anche il più granitico degli uomini. Phyllis Dietrichson è il desiderio malsano fatto donna, con quella sua cattiveria nascosta da un fascino fuori dal comune. Quasi non è reale, è un istinto, e proprio in quanto tale è devastante. I comprimari sono MacMurray e Robinson, che si mostrano per quello che sono, ossia due attori capaci di rendere i loro ruoli indimenticabili come l'intera pellicola. Al primo è affidata una frase capace di racchiudere il film in un'unica battuta, forse per me quella cinematograficamente più potente di sempre:
... non sento più i miei passi”.

1) “Il Grande Sonno (The Big Sleep - 1946)
Raymond Chandler è l'hard boiled (insieme a Dashiell Hammett, padre del genere). Philip Marlowe, il suo investigatore, è l'hard boiled. Humphrey Bogart è l'hard boiled (noir al cinema). Howard Hawks è colui che li ha resi parte di un'unica opera. “Il Grande Sonno” è semplicemente, come si evince dalla posizione, il noir più bello di sempre, riduzione del libro forse più significativo del genere. È tutto anima. Non che in termini tecnici non sia strepitoso, chiaramente, del resto non è che una pellicola il risultato di scelte tecniche, ma durante la visione l'unica cosa che si riesce a fare è lasciarsi ammaliare da atmosfere grige, disilluse ma terribilmente pulsati. Ancor più che dei personaggi, della storia, sono loro le vere protagoniste della pellicola. Ed essendo visceralità e atmosfere i codici principali del genere, si può ben capire perché “Il Grande Sonno” sia così riuscito. Non è un caso, infatti, che spesso non sia un problema per il lettore/spettatore l'intreccio poco credibile, perché troppo intricato, fintanto che si riesce a godere il più possibile di una dimensione dalla quale non si vuole uscire. E quella dimensione Hawks la inquadra perfettamente. Concede però, allo stesso tempo, pari attenzione anche agli altri elementi distintivi del genere, ossia personalità (investigatore e presenza femminile) e dialoghi, facendo entrare il Marlowe di Bogart e la Vivian della Bacall nella leggenda.È così tanto noir, il capolavoro di Hawks, che è tale in ogni sua sequenza, in ogni suo fotogramma. Non ci si dimentica neanche di una parentesi solo appena aderente alla trama principale come quella della biblioteca, meravigliosa, in cui Marlowe/Bogart mette in scena tutto il suo fascino, fatto di linee incalzanti, veloci, gesti riconoscibili e ormai solo suoi.
Unico.

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