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Zadig e Candido, Ovvero Quando il Destino Incontrò l’Ingenuità

Creato il 12 dicembre 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

 

Mario Turco 12 dicembre 2013

In eccezionale anteprima pubblichiamo uno scritto postumo di Voltaire che, dall’alto del suo cielo deistico, ci ha lasciato l’inedito racconto tra due dei protagonisti dei suoi racconti filosofici, Zadig e Candido. L’autore francese comincia questa novella dalla frase finale di Zadig o il destino fino a intrecciarlo con le vicende narrate in Candido o l’ottimismo.

Zadig e Candido, Ovvero Quando il Destino Incontrò l’Ingenuità

Tutti benedicevano Zadig e Zadig benediceva il cielo. Ma il cielo lo maledì ben presto concendendogli la vita eterna, non richiesta e soprattutto non desiderata. La gloria del suo regno fu infatti peritura, come tutte le glorie: pochi anni dopo il suo avvento al trono Babilonia fu spogliata di tutte le sue ricchezze, depredata da una vasta messe di ladroni senza insegne e senza partito che spoliarono lo Stato per pura brama criminale. La testa della regina Astarte divenne trofeo del più zotico dei predoni che la issò nella sua personalissima bacheca di caccia onusta di prede celebri, accanto a quella di un selvatico cinghiale che gli aveva divorato tre dei suoi cinquanta figliuoli prima di venire catturato durante una mitologica battuta di cento giorni. Zadig ridivenne schiavo dopo esser stato re; così accadrebbe a tutti i sovrani se subissero l’onta di dover vivere per sempre. Così accadde anche al Dio dei cristiani quando volle farsi bizzarramente uomo: ché il destino delle creature è questo e il Creatore lo capì immolando una delle sue tre personalità. Dopo la morte della signora, e di Babilonia e del suo cuore, Zadig lavorò per un certo tempo alla corte del re di Serendib e della bella Falide che gli resero il privilegio di diventare loro domestico come ringraziamento per averli fatti sposare. Egli decise di stabilirsi da Nabussan fino a quando fosse stato possibile poiché un conto è essere umiliato da un mercante plebeo come Setoc, un conto dal monarca di una rorida isola. È destino degli eventi che essi, a un certo ma inesorabile punto, precipitino: accadde anche quella volta. Serendib fu invasa dalle navi di un piccolo potentato locale e l’ormai senescente Nabussan, figlio di Nussanab, fu detronizzato dopo che metà degli abitanti della sua nazione fu sterminata. Zadig questa volta riuscì a fuggire anche grazie all’aiuto dell’angelo Jesrad che lo avvolse in un pulviscolo di nebbia rendendolo invisibile agli occhi, peraltro già invasati, degli invasori. Errando di errore in orrore per le terre del globo Zadig giunse dopo qualche secolo in una piccola fattoria nei pressi di Costantinopoli. Ivi, stremato dal lungo viaggio, si accasciò alla porta della modesta ma dignitosa abitazione che era il cuore di quell’appezzamento di terra. Uno sparuto gruppo di persone si precipitò attorno al corpo emaciato del vagabondo proveniente dall’Oriente.

Zadig e Candido, Ovvero Quando il Destino Incontrò l’Ingenuità

“Chi sarà?” – chiese l’eminente filosofo Pangloss – “Perché è giunto qui da noi dopo un presumibile spossante viaggio?”. “Sempre a discutere su cause ed effetti” si lamentò Martino. “Aspettiamo che questo sfortunato riprenda i sensi e chiederemo lumi direttamente a lui invece di congetturare sui pochi elementi che abbiamo. In ogni caso conosciamo già la vostra filosofia, che qualcuno in Francia comincia a chiamare disprezzatamente panglossismo. Egli è qui perché non poteva essere altrove. Tutto è necessario visto che viviamo nel migliore dei mondi possibili”. Zadig a questo punto prese la parola, stupendo gli astanti che lo credevano svenuto. “Perdonate un povero viaggiatore che ha ascoltato la vostra conversazione simulando un mancamento. Tale atteggiamento di prudenza mi è stato indotto da un’esperienza presso gli umani oramai secolare. Non potevo tacere però di fronte alla scempiaggine che voi avete chiamato panglossismo. Di ogni popolazione vivente su questo pianeta di sputo e fango io ho testato i costumi: dappertutto ho trovato il male, in rari casi la compassione, in un unico caso la generosità, mai il bene”. “Aspettate nobile straniero” lo interruppe Candido che fino a quel momento aveva fissato quasi stolidamente la venerabile barba bianca di Zadig. “La stoffa dei vostri abiti, ricamata, malgrado l’evidente usura, con impareggiabile maestria asiatica, unita ai vostri tratti mediorientali, mi suggerisce una vostra nascita molto più a est dei qui presenti interlocutori. Pertanto, prima di addentrarci in una speculazione filosofica, facciamo una preliminare chiarezza terminologica: cosa intendente voi per bene? In che maniera lo distinguete dalla compassione e dalla generosità?”. Pangloss approvò l’obiezione del suo allievo ammiccando con l’unico occhio rimastogli, Martino rimase impassibile come uno scettico, Cunegonda si lisciò la pappagorgia, il barone apostrofò la sorella per la rozzezza del suo gesto, la vecchia sputò in terra, Cacambo si grattò la testa, fra Giroflé si tolse la cispa dagli occhi e Paquette si scoprì il seno cercando di esercitare il mestiere più antico del mondo (anche i vagabondi possono nascondere tesori e lei non faceva più distinzioni di classe dalla perdita della sua avvenenza). Zadig si erse in piedi, si lisciò l’ampia veste, si schiarì la gola e con voce profonda disse: “Ho tanto discusso con i sapienti del mondo che la mia ignoranza ha forse preso un velo di saggezza. Di ciò mi scuso. Non sono un dotto anche se posso sembrarlo.

Zadig e Candido, Ovvero Quando il Destino Incontrò l’Ingenuità

La mia lunga storia di vita non è maestra di nulla. Premessa l’inconsistenza culturale del mio pensiero voglio precisare che la gradazione che per me sussiste tra bene, generosità e compassione è parallela, anzi, non può prescindere da quella che si crea nel rapporto tra umani superiori, pari e umili. Insomma, la compassione è quella forma di bene liofilizzato che ha il potente nei confronti dei subordinati. E si badi bene che pochissimi sono i veri sfortunati, molti si atteggiano a tali. La compassione è scontata negli animali ma non negli umani che hanno reso financo questa qualità naturale un capriccio della volontà. Io non la sminuisco ma nemmeno la lodo alla maniera di certe religioni rivelate. La generosità è invece quella forma di bene che si ha tra pari. Essa è più sporadica della già rarefatta compassione e, come dicevo, solo una volta io l’ho vista esercitare”. “In quale mirabile popolo si praticava tale speciale virtù?” intervenne Candido. “In un piccolo Stato protetto da altissime montagne nell’antica patria degli Incas”. “L’Eldorado” proruppero all’unisono Cacambo e il suo padrone dando alla loro esclamazione un simbiotico tono di nostalgia, rammarico, malinconia e tristezza. “Non avete bisogno di spiegare il resto della vostra filosofia, in questa sperduta fattoria lo condividiamo tutti” disse Martino facendo un ventaglio con la mano che comprendeva i suoi compagni, dalla vecchia al barone a fra Giroflé a Paquette a Cunegonda a Cacambo a Candido fino a se stesso. A quel gesto e a quelle parole tutti ricordarono le disavventure della loro vita e si unirono in un sol sospiro di disperazione, compreso Zadig. “Ma” – protestò flebilmente Candido – “il male non è l’unico destino dell’uomo. Concedo che, appurate le storture delle nostre esistenze e, in senso lato, quelle dei nostri simili, lo è stato finora. Ciò non significa che esso debba avvenire necessariamente nel futuro dell’umanità”. Io non mi spiego ancora come avvenne un simile fattaccio, una simile esplosione di violenza così celere e brutale. Probabilmente i luttuosi ricordi che erano sopraggiunti in quelle persone durante la discussione avevano esasperato i loro animi a tal punto che una simile obiezione li aveva resi pazzi di furore. Fatto sta che essi si scagliarono in un impeto omicida di collettiva efficacia verso Candido. Ognuno lo colpì a suo modo, chi con un pugno chi con una pedata chi con un morso, infine Zadig sguainò la spada da una tasca nascosta dell’abito e gli mozzò il capo.

Fu così che il destino incontrò l’ingenuità.

 

Zadig e Candido, Ovvero Quando il Destino Incontrò l’Ingenuità

     

     

     


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